Il momento della verità (e dell’azione) per il federalismo europeo è adesso, o mai più

Torniamo a parlare di futuro e di federalismo

, di Arturo Mariano Iannace

Il momento della verità (e dell'azione) per il federalismo europeo è adesso, o mai più
Fonte: Image by PayPal.me/FelixMittermeier from Pixabay

La gravità della situazione attuale per l’Europa è davanti gli occhi di tutti. Gli elementi della crisi sono noti, e basterà qui una sommaria lista per elencarli: l’ascesa della seconda amministrazione Trump, per ciò che essa rappresenta non solo per gli ideali liberaldemocratici e la loro implementazione, ma forse soprattutto per gli effetti sulla tenuta dell’alleanza transatlantica e le relative politiche di difesa, deterrenza, e sicurezza.

Il contemporaneo rischio della scalata al potere di forze fortemente anti-europeiste nei maggiori Paesi dell’Unione, che va ben al di là dell’opposizione politica destra-sinistra, e sfocia piuttosto nel consegnare le redini di interi Paesi nelle mani di gruppi di potere legati a movimenti ideologici, e a Stati che di tali movimenti sono la promanazione, completamente e risolutamente anti-liberali ed anti-democratici; la possibilità di una resa dell’Ucraina ‘a sua insaputa’, scelta a tavolino da un autocrate (il presidente della Federazione Russa) ed uno che autocrate vorrebbe essere (il presidente degli Stati Uniti).

L’Unione Europea, e le liberaldemocrazie che al suo interno si collocano, si trovano ad affrontare una crisi che non si dovrebbe esitare a definire esistenziale. La partita che si gioca ha come posta finale non solo la tenuta dell’Unione, ma la sopravvivenza stessa della liberaldemocrazia europea e, in alcuni casi (si pensi soprattutto agli Stati baltici) probabilmente la sopravvivenza tout court.

Dinanzi a tale sfida, qualche timido segnale a livello politico pure è arrivato, sotto forma del consiglio tenutosi a Parigi. Il quale consiglio, tuttavia, ha rivelato (semmai ce ne fosse stato bisogno) come le forze che lottano per un sostanziale ‘addomesticamento’ dell’Unione, per un suo depotenziamento quale forza attiva della politica internazionale e, quindi, in ultima istanza quale forza in grado di promuovere e proteggere la sicurezza dei suoi cittadini all’interno del quadro delle garanzie liberaldemocratiche, non si celino solo in Ungheria o in Slovacchia (che a quel consiglio non hanno partecipato) ma anche all’interno di uno degli Stati fondatori dell’Unione, quale l’Italia.

L’atteggiamento della Presidente del Consiglio Meloni, che giunge con un’ora di ritardo a suddetto consiglio solo per ribadire poi che ogni soluzione che escluda gli USA di Trump sia controproducente e dannosa, quasi che non fossero proprio quegli stessi USA, o meglio quella stessa amministrazione, parte integrante del problema da affrontare, significa proprio questo. È probabilmente inopportuno stabilire un’eguaglianza completa tra un governo Meloni ed un governo Orban. Ma le conseguenze della loro azione, a livello di politica di difesa e sicurezza dell’Unione, sono quasi pressocché le stesse.

Le forze antieuropeiste, che meglio sarebbe definire apertamente e chiaramente come forze traditrice della liberaldemocrazia e dei valori sanciti nella nostra Costituzione e nei trattati dell’Unione Europea, non si celano certo solo all’interno dei circoli governativi. In tutti i Paesi dell’Unione essi hanno un nome ed un cognome, parlano liberalmente (e spesso a vanvera, in maniera confusionaria, volutamente distorcente) sui media. In Italia essi sono i vari Travaglio, Santoro, esponenti di spicco del Movimento Cinque Stelle (a cominciare dal suo ‘capo’ Giuseppe Conte), gli Orsini, i Montanari, e la lista potrebbe continuare a lungo. La loro voce, in un momento di importanza cruciale come questa, assume tanto più valore quanto più ad essi è concesso un campo praticamente libero d’azione.

È importante rilevare che qui non si tratta di libertà di critica o di opinione, che della liberaldemocrazia costituiscono uno dei pilastri fondanti e fondamentali. Si tratta di adottare uno sguardo spassionato alle azioni e alle parole di persone e gruppi politici che, ormai da tre anni (ma anche da ben prima) si sono comportati a tutti gli effetti come casse di risonanza di vere e proprie campagne di influence warfare, di attacchi non solo e non soltanto al diritto all’indipendenza ed alla libertà di un popolo sovrano, quello ucraino, ma anche al diritto fondamentale dei cittadini (in questo caso italiani, ma il discorso è facilmente estendibile al resto d’Europa) di vedere tutelata la propria stessa libertà, la propria stessa indipendenza.

Con l’aggravarsi della situazione a livello internazionale, rappresentato dall’inizio dei colloqui tra USA e Russia a Riad, diventa quindi prioritario che tutte quelle forze politiche che, al contrario, si riconoscono nella liberaldemocrazia e nei valori europei, inizino a parlare ad alta voce, a presentare una volta per tutte, nero su bianco, la loro narrazione della situazione, e la loro ricetta per il futuro dell’Europa. Tale futuro, per queste forze, ha un nome, una definizione chiara: si tratta del federalismo. Si tratta della Federazione Europea, sovrana, e dotata di tutti quegli apparati di difesa e conduzione di una propria, pienamente autonoma, politica estera che della sovranità sono i requisiti forse più importanti.

In altre parole, è questo il momento per il federalismo europeo, finalmente, di parlare. Stride il silenzio dei federalisti con l’ampio spazio concesso alla narrazione filo-putiniana, filo-autoritaria, anti-europeista ed anti-liberaldemocratica. È facile riconoscere come vi sia un chiaro sbilanciamento, a favore di queste ultime, e che tale sbilanciamento renda più difficile far emergere le voci federaliste. Sicuramente ciò corrisponde alla verità. Ciononostante, non può essere una scusa per non innalzare il livello della sfida.

Si scenda in strada, si ascoltino gli elettori.

È giunta l’ora che i federalisti europei, ed italiani in primis, visto il loro vivere in un Paese che dell’antieuropeismo rischia di divenire un baluardo, lancino il loro guanto di sfida con una mobilitazione generale, con il chiamare all’appello, chiaramente e senza mezzi termini, le forze politiche, senza lasciare spazio di manovra a distinguo, ambiguità, mezze risposte. Il movimento federalista non deve solo riprendere la parola, deve urlarla. Non deve solo interloquire con le forze politiche, deve costringerle a prendere posizione, rendendo più netta ed evidente la separazione tra coloro che promuovono i valori della Costituzione e coloro che, invece, li svendono senza problemi a potenze straniere ed autoritarie.

Il federalismo europeo gode del vantaggio di avere una base giovanile che, certamente non vasta, con le poche risorse a disposizione ha finora fatto miracoli nel mantenere in vita un ideale che, nel migliore dei casi, l’elettore medio neppure percepisce. Bisogna capitalizzare tale forza. L’operazione delineata poco sopra non può certo compiersi in un giorno, ma per esser realizzata deve pur essere avviata.

È difficile immaginare che, con il rapido e costante mutare delle circostanze cui stiamo assistendo, l’occasione di oggi possa ripresentarsi. Questo potrebbe davvero essere il proverbiale ‘ultimo treno’ per cambiare l’assetto attuale. E che tale assetto sia platealmente non consono alla crisi attuale, ce ne dà prova la stessa Federazione Russa. Perché nel momento in cui un rappresentante russo arriva a dire, come pure è stato fatto in questi stessi giorni, che l’entrata dell’Ucraina nell’Unione Europea è un suo “diritto sovrano”, significa due cose. La prima, che agli occhi della Russia l’Unione, a prescindere da quello che piace raccontare a noi stessi, non fa minimamente paura. La seconda, che la medesima Russia ha, molto probabilmente, l’intenzione ed i mezzi di usare la stessa Ucraina come ulteriore pedina nel suo gioco per neutralizzare l’Unione, complici le prossime elezioni a Kiev.

Entrambi questi scenari sono inaccettabili. E l’unico modo per contrastarli è cambiando l’assetto europeo, ad un tempo neutralizzando la minaccia di blocchi filorussi all’interno, e rendendo l’Unione una Potenza in grado di attuare una propria politica di sicurezza e, soprattutto, di deterrenza efficace verso l’esterno.

Lo si ribadisca un’ultima volta: tutto ciò va fatto adesso. Prima che la conclusione fisica delle ostilità tra Ucraina e Federazione Russa faccia emergere, rafforzate dall’arroganza dei ‘vincitori’, le voci piene di auto-compiacimento che arriveranno a distorcere la situazione venutasi a creare per farla apparire come una vittoria europea, degli sforzi europei, della diplomazia europea. Dopo i russi, la minaccia più pericolosa per l’Unione è, e sarà, l’auto-compiacimento e la finta, o presunta, sicurezza. Sarebbe la sicurezza della pecora, un istante prima di essere divorata dal lupo.

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