Il sasso lanciato a Vladimir Putin da Evgenij Prigozhin, leader del Gruppo mercenario Wagner, ha sconvolto il mondo. Non è la prima volta che l’ex-chef del Cremlino si è scagliato contro i vertici russi per questioni su quella che questi ancora chiamano «operazione militare speciale», dalla scarsità delle munizioni alle scelte operative. E la proposta di includere il gruppo mercenario nelle forze regolari russe ha spinto Prigozhin a compiere una “Marcia su Mosca”, con qualche scontro e le popolazioni che hanno accolto i mercenari come eroi.
Stando a quanto detto dal Generale americano David Petraeus in un’intervista al Corriere della Sera, un’avanguardia del gruppo Wagner si trovava vicinissima a Mosca. Il golpe (o guerra civile) è stato sventato dalla reazione di tutte le forze di sicurezza che hanno deciso di difendere il Cremlino, costringendo Prigozhin a fare dietro-front e fuggire in Bielorussia, dove Lukashenko si propose come mediatore tra le due parti.
Nonostante i dubbi se questo episodio sia stato una farsa, molti giornali e servizi mediatici affermano che sono emerse le crepe del regime che Putin si è costruito: un’autocrazia a malapena mascherata in una “Repubblica federale democratica”, con un capo politico (il Presidente o “Zar”) e un’economia (primo fra tutti il gas) controllata dagli oligarchi. Non mancano mine vaganti come il Gruppo armato ceceno di Kadyrov e il Gruppo Wagner, forte anche dei successi in Africa e in Medio Oriente. Il fatto che questi soggetti sfuggano al controllo del regime, non è molto gradito ai vertici russi.
Questo fatto porta una serie di implicazioni. Innanzitutto all’interno, oltre alla fine dell’invincibilità di Putin, il rischio di prossimi tentativi di golpe diventa sempre più grande, insieme a una grossa instabilità politica (il timore di “piccole russie” con forte carattere identitario) e il timore del ricorso alle armi nucleari [1], a cui si aggiunge l’ipotesi che questo arsenale distruttivo cada in mano ad altri. E non si tratta solo del Gruppo Wagner, ora in esilio in Bielorussia (e forse al sicuro dai propositi di vendetta di Putin), ma anche dei Gruppi interni di resistenza armata. In questo caso “resistenza” e “democrazia” non sono sinonimi è un esempio lo troviamo nel Corpo dei volontari russi di ispirazione neonazista, quasi una via di mezzo tra il Battaglione Azov e Casapound [2]. Insomma, dei “partigiani nazisti”: ciò che in Italia sembrerebbe un ossimoro. Un altro gruppo è la Legione Libertà per la Russia composto da disertori. Le due formazioni hanno preso la Regione russa di Belgorod, al confine con l’Ucraina. Inoltre, si aggiunge anche il Consiglio Civico, che riunisce persone di diversi orientamenti, ma che credono nella Convenzione europea dei diritti umani, il diritto dei popoli all’autodeterminazione e delle società all’autogoverno. Il suo scopo è di formare un “esercito di liberazione russo”, operativo anche in Ucraina e che collabora anche con gruppi etnici nel Caucaso.
Sul fronte esterno, quasi in modo inaspettato, la Bielorussia si è fatta avanti per mediare tra Putin e Prigozhin. Un gesto politico molto forte, che svincola il suo rapporto subordinato con Mosca e (forse) potrebbe rafforzare il regime di Lukashenko, il quale pone due condizioni:
- Non coinvolgere ulteriormente la Bielorussia nella guerra: cioè, invio di truppe e uso del territorio come testa di ponte per l’Ucraina;
- Ritardare o fermare l’integrazione tra la Russia e la Bielorussia.
Non si sa quanto durerà questo rapporto “paritario” con la Russia, ma se questi dovesse crollare, Minsk teme un effetto domino. Ma se il suo regime riuscisse a reggere dove potrebbe cercare un altro appoggio esterno?
Un discorso simile andrebbe fatto per la Siria: il regime di Assad rischiava di essere travolto dalle rivolte delle “Primavere arabe” nel 2012, ma la minaccia dell’ISIS che aveva preso l’Iraq e la Libia, spinse la Russia a sostenere il regime sirirano, come “un male minore e necessario”. Con l’appoggio di Mosca, lo Stato Islamico è stato sconfitto, Assad è ancora in piedi, ma i conflitti nel paese tra governativi, ribelli e curdi del Rojava continuano. E in caso di caduta sia di Putin e sia di Assad non è detto che queste tensioni finiscano. Anzi, potrebbero peggiorare destabilizzando ancor di più il Medio Oriente.
Per quanto riguarda la guerra in Ucraina, apparentemente gli schieramenti non cambiano. Il fronte russo potrebbe diventare più “bielorusso”. Se le condizioni (descritte sopra) di Lukashenko dovessero essere soddisfatte, la macchina da guerra russa, di per sé arretrata e indebolita, si troverebbe con uno spazio di manovra più ristretto e il gruppo Wagner a essere “sempre più jolly” per Mosca, a maggior ragione ora che è in esilio in Bielorussia. Il gruppo di Prigozhin precisamente si trova a Osipovichi (vicino al confine con l’Ucraina), dove Prigozhin sta creando un campo per i suoi uomini. Forse gli equilibri sono cambiati, però non è detto che i rapporti tra Russia e Bielorussia saranno tranquilli.
La guerra comunque non si è interrotta. Oltre alla faticosa controffensiva ucraina, in Europa, la Polonia, la Finlandia e la Lituania (più come paesi NATO che come stati membri dell’Unione Europea) hanno rafforzato i controlli ai confini con la Bielorussia. E l’invio delle armi continuerà ad essere una richiesta incessante. Questione che comunque a fine guerra dovrà trovare una sua via d’uscita: queste armi resteranno all’Ucraina? Saranno restituite? Oppure saranno dimenticate, finendo forse in mani sbagliate?
E l’Unione europea? Ricordandoci che non ha una sua politica estera e di difesa, che restano in mano agli Stati membri, questi ultimi, presso il Consiglio degli Affari Esteri, hanno concluso che l’ammutinamento della Wagner è “una questione interna” alla Russia, evidenziando comunque che l’indebolimento del regime di Putin è preoccupante. Stessa posizione l’ha presa il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel. La complessità che si è creata, secondo l’Alto Rappresentante Borrell, impedisce la possibile azione dell’Unione Europea, la quale non ha ancora preso in considerazione la presenza del gruppo Wagner in Bielorussia. In parole povere, stanno a guardare cosa succede. E senza nemmeno elaborare possibili linee di intervento alternative.
In un’intervista su Formiche.net, l’ambasciatore Riccardo Sessa suggerisce di lasciarli “litigare tra di loro. Abbiamo solo da guadagnarci. Dobbiamo resistere alla tentazione di schierarci [con Putin o con Prigozhin]. Da cittadino del Mediterraneo allargato, non posso non tener presente che la Brigata Wagner è diventata un attore importante[...]”.
La politica estera è molto complessa, un terreno instabile in cui i valori vengono messi da parte, per mantenere il potere o per il nudo desiderio di sopravvivenza. Diventa difficile per chi sostiene i valori di democrazia, libertà, stato di diritto e rispetto dei diritti, prendere le parti di chi quei valori li calpesta anche. Un caso simile era la lotta contro l’ISIS in Siria, dove Assad qualche anno fa sembrava il prossimo a cadere all’onda (purtroppo fallimentare) delle Primavere arabe.
Sempre Sessa dichiara: “Credo che sia arrivato il momento che si debba parlare seriamente anche con Zelensky e ragionare con lui su quale sia realisticamente il percorso politicamente più sano nell’interesse dell’Ucraina”. Ed evidenzia che l’Unione Europa (o meglio, l’Europa dei governi) ha altri problemi da affrontare, non ultimo la questione strutturale delle migrazioni legato al problema del controllo delle frontiere. “Ma in quella materia dovremo fare chiarezza e spiegare, prima di tutto a noi stessi, che cosa si intende per sicurezza delle frontiere dell’Unione europea”. Una questione che va oltre il discorso migratorio.
Per concludere, se la situazione dovesse cambiare, molto probabilmente non ci sarà un miglioramento. Per capire che la situazione in Russia (e non solo) non andrà per il meglio, potrebbe bastare questo passaggio di un altro articolo sul Corriere della Sera:
“Questo tentativo di colpo militare non aveva nulla a che vedere con l’illusione occidentale di liberarsi per vie interne di Putin e di arrivare alla fine delle ostilità [...]. Prigozhin è un ultranazionalista, [...] un falco estremista, che rimprovera alle autorità una eccessiva morbidezza sul campo di battaglia.”
Per non parlare del già citato Corpo dei volontari russi.
I regimi cambiano, anche i loro capi (dittatori, ma non solo), ma le genti restano. E con loro le rispettive memorie storiche, soprattutto se convivono in zone che sono state teatri di guerre e altre atrocità.
Gran parte del mondo pagherà le conseguenze: la Russia per le sue rinnovate ambizioni di potenza, ma anche per la sua arretratezza. L’Occidente - in particolare gli Stati Uniti - per aver sottovalutato la Russia post-sovietica e per la grande illusione della “Fine della Storia” e l’Europa per la sua assenza.
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