Il rapporto tra uomo e ambiente nel pensiero di Ortega y Gasset

, di Domenico Moro

Il rapporto tra uomo e ambiente nel pensiero di Ortega y Gasset
José Ortega y Gasset.

Il libro (Meditazione sulla tecnica e altri saggi su scienza e filosofia) di Ortega y Gasset, uno dei filosofi del XXo secolo che si sono espressi a favore degli Stati Uniti d’Europa, si sviluppa attorno alla risposta che egli dà alla domanda: Che cos’è la tecnica? e la sua importanza per la vita umana. La risposta viene discussa, da un punto di vista filosofico, con particolare riferimento al rapporto tra uomo e ambiente, un tema che, peraltro, è stato affrontato anche da altri pensatori. La frase contenuta nel libro, secondo cui “La tecnica è il contrario dell’adattamento del soggetto all’ambiente, visto che consiste nell’adattamento dell’ambiente al soggetto”, ne riassume il punto centrale. Alla luce della crescente consapevolezza a livello mondiale della crisi ambientale, le considerazioni di Ortega y Gasset sono quanto mai attuali e, soprattutto, illuminano il senso del cammino percorso dall’uomo fino ad oggi e che solo la politica mondiale può portare a termine.

Ortega y Gasset commenta due attitudini dell’uomo che, per qualche ragione, lo distinguono dagli animali e che spiegano l’evoluzione progressiva del rapporto tra uomo e ambiente: lo stare nel mondo e lo stare bene nel mondo. Se, nel caso degli animali, è l’istinto che li spinge a soddisfare i bisogni primari, come l’alimentarsi e, quando necessario, di riscaldarsi, nel caso dell’uomo è invece un atto di volontà, in quanto, secondo Ortega y Gasset, l’uomo “è l’unico ente conosciuto in possesso della facoltà […] di potersi annichilire smettendo di stare lì, nel mondo”. Il soddisfacimento dei bisogni primari non è quindi un fine in sé, ma la condizione per vivere. L’animale non possiede dei bisogni nel senso soggettivo che questo termine possiede per l’uomo: quando l’animale non può soddisfare i suoi bisogni primari non fa nulla e si lascia morire. L’uomo, invece, dà inizio ad una serie di atti nuovi: se non trova il fuoco per scaldarsi lo produce, oppure costruisce una caverna per ripararsi, o coltiva il terreno per nutrirsi. Questo tipo di attività mira a soddisfare i bisogni primari, ma presuppongono una capacità che manca all’animale. Gli atti nuovi cui dà luogo l’uomo presuppongo l’invenzione di un procedimento che permette entro certi limiti di ottenere “ciò che in natura non è presente, ma di cui abbiamo bisogno”. “L’insieme di questi atti, costituisce la tecnica, che possiamo pertanto definire come i cambiamenti che l’uomo impone alla natura in vista della soddisfazione dei propri bisogni”.

Secondo Ortega y Gasset, però, i cambiamenti che l’uomo impone alla natura non sono limitati a soddisfare i bisogni biologici: il concetto di bisogno sviluppato dal filosofo spagnolo, appoggiandosi anche sulle scoperte archeologiche, non comprende solo il necessario ma anche il superfluo (rispetto ai bisogni primari), “oggi come nell’epoca paleolitica”. Quindi, lo sforzo che l’uomo compie per cambiare la natura, non è dovuto al desiderio di “stare al mondo”: quest’ultimo è “un bisogno solo nella misura in cui rende possibile lo stare bene” nel mondo. Si tratta, in sostanza, della ricerca della felicità. Con questa osservazione egli chiarisce meglio le diverse finalità dell’animale rispetto a quelle dell’uomo: “da un lato gli atti istintivi servono la vita organica, che consiste nell’adattamento del soggetto all’ambiente, cioè stare semplicemente nella natura. Dall’altro, gli atti tecnici dell’uomo servono la buona vita, lo stare bene, che implica l’adattamento dell’ambiente alla volontà del soggetto”. Se gli “atti istintivi” dell’animale e gli “atti tecnici” dell’uomo servissero unicamente per la soddisfazione della vita biologica, non vi sarebbe alcuna differenza tra l’animale e l’uomo.

Ma se l’atto tecnico serve all’uomo per stare bene nel mondo, va da sé che quest’ultimo è un termine “illimitatamente variabile” e che lo conduce a porre in essere atti tecnici che per Ortega y Gasset arrivano ad includere: la soddisfazione dei bisogni basilari; conseguire questa soddisfazione con il minimo sforzo; produrre progressivamente oggetti che non sono nella natura dell’uomo, come il navigare, il volare e il parlare da una parte all’altra del mondo con la radiocomunicazione (possibilità, quest’ultima, oggi realizzata in misura esponenziale). In definitiva, la tecnica “è destinata a eseguire quel compito che è la vita; s’impegna, è chiaro, a far sì che, in questa o quella limitata misura, il programma umano si realizzi”.

Ci sono, infine, due passaggi del libro di Ortega y Gasset su cui ci si sofferma. Il primo è l’evoluzione del rapporto tra gli atti non tecnici e quelli tecnici che è a fondamento dell’esistenza dell’uomo e il secondo è il passaggio, cruciale, dalla tecnica dell’artigiano a quella del tecnico (o, come la chiama il filosofo spagnolo, la “tecnica del tecnico”), in senso stretto, di oggi. All’inizio dell’esperienza umana, l’uomo primitivo ignorava la propria tecnica in quanto tecnica. Gli atti tecnici che eseguiva – accendere il fuoco, cacciare, coltivare un pezzo di terreno, costruirsi un riparo, ecc. – non erano tali da dargli la consapevolezza che erano una capacità in grado di riformare la natura in funzione dei suoi desideri. Questo repertorio di atti tecnici non era un corpo di dimensioni tali da fargli acquisire la consapevolezza di una differenza sostanziale dagli atti naturali. Non era neppure consapevole che nell’eseguire quegli atti tecnici compiva un’”invenzione”. Solo in una fase successiva, quando il numero degli atti tecnici aumenta e diventano più complicati, al punto che non possono essere esercitati da tutti, ma è necessario che solo alcuni uomini se ne facciano carico, dando vita alla categoria degli artigiani, l’uomo comincia ad acquistare la coscienza che la tecnica è un’attività speciale.

Tuttavia, questo passaggio non consente ancora di acquisire la consapevolezza che questa sia una funzione generica ed illimitata, in quanto l’artigiano si avvale e produce strumenti e non macchine e quindi non si stacca dall’uomo, in quanto la sua attività è manipolazione e manodopera. L’attrezzo dell’artigiano è solo il supplemento dell’uomo. Solo con la costruzione delle macchine, “lo strumento passa in primo piano e non è esso ad aiutare l’uomo, ma l’opposto: è l’uomo che semplicemente aiuta la macchina e funge da suo supplemento”. Da questo momento in poi, l’uomo acquisisce la consapevolezza che “ciò che possono fare le macchine che l’uomo può inventare è, in linea di principio, illimitato” e il rapporto tra la quantità di atti tecnici e quelli naturali, aumenta a dismisura e “l’uomo non può vivere senza la tecnica cui è giunto”. La vita dell’uomo è quindi diventata sempre più tecnica e sempre meno naturale.

Ciò che Ortega y Gasset non poteva ancora vedere, ma che aveva intuito, in quanto osservava che se fino a tempi recenti l’uomo ignorava il proprio potere di invenzione, “oggi, al contrario, il tecnico si dedica al compito d’inventare come alla più normale e prestabilita delle attività”, era il fatto che si stava operando una nuova grande trasformazione, vale a dire il passaggio da una civiltà fondata sulle macchine ad una fondata sulla scienza. Tanto che, se vogliamo ricorrere ad un indicatore economico grezzo, possiamo notare che nell’arco degli ultimi 70-80 anni, l’incidenza degli investimenti in R&S (capitale immateriale) è progressivamente diventata prevalente rispetto a quella in macchinari (capitale fisico) (J. Haskel, S. Westlake, Capitalims without capital – The rise of the intangible economy). Lo sviluppo scientifico, consentendo il passaggio all’automazione industriale, tendenzialmente, permette oggi di liberare l’uomo dal lavoro manuale. Ortega y Gasset non poteva vedere neppure che il “processo di adattamento dell’ambiente al soggetto” che lo sviluppo tecnico ha consentito, sta portando al degrado costante dell’ambiente ed in misura tale da mettere a rischio le basi stesse dell’esistenza umana e negare quindi la possibilità di “stare bene nel mondo”.

Nel concetto di “stare bene nel mondo”, Ortega y Gasset non prende in considerazione le guerre provocate dalla divisione del mondo in Stati sovrani, che non sono l’oggetto del suo libro, ma di cui occorre però tenere conto. Così come bisogna tenere conto del fatto che tra i compiti della tecnica e della scienza vi è oggi anche quello di difendere, se non quello di ricostruire, l’ambiente, il cui degrado è causa, tra l’altro, della diffusione di epidemie trasmissibili da una parte all’altra del pianeta. Affrontare questi due problemi, è una responsabilità della politica, la quale deve saper adottare quelle soluzioni istituzionali che possono dare una risposta a problemi che, per definizione, sono mondiali.

Ortega y Gasset, nel suo libro più famoso, La ribellione delle masse, aveva affermato che “già è accaduto nella storia che una grande civiltà morisse per non aver potuto sostituire la sua tradizionale idea di Stato”. Sul continente europeo, con la fondazione dell’Unione europea, è già stato compiuto un passo avanti gigantesco verso il superamento dell’idea tradizionale dello Stato nazionale accentrato, consentendo agli europei di affrontare problemi che a livello nazionale non sono più risolvibili. Con il programma politico della nuova Commissione europea ne è stato compiuto un altro altrettanto importante, per l’Europa e per il mondo. L’UE, con il Green deal non vuole solo farsi carico della transizione economica verso un’economia sostenibile per sé, ma con l’idea di introdurre una border carbon tax vuole anche dare un’indicazione al resto del mondo, per spingerlo ad adottare le medesime iniziative.

Queste misure vanno nella giusta direzione, ma dovrebbero essere integrate, riprendendo la proposta di Vittorio Hösle (Filosofia della crisi ecologica), secondo il quale dovrebbe essere “presa in considerazione la proposta di integrare il parlamento con un’istituzione autonoma che in un certo qual modo rappresenti simbolicamente gli interessi delle generazioni future e della natura”. Però, perché questa proposta abbia senso, dovrebbe essere adottata a tutti i livelli di governo, da quello regionale a quello mondiale.

Il filosofo spagnolo, riflettendo sull’”abitare” nel mondo dell’uomo, ha osservato che, per le possibilità offertegli dallo sviluppo tecnico,” mentre tutti gli altri animali abitano in zone specifiche del globo, soltanto l’uomo abita in tutte”. “L’abitare – prosegue – non gli viene dato da subito, ma se lo fabbrica egli stesso, perché, nel mondo, nella Terra, l’uomo non è previsto, e ciò è il sintomo più chiaro del fatto che egli non è un animale, che egli non appartiene a questo mondo” (in termini filosofici). Si tratta, quindi, di umanizzare il mondo e non di naturalizzare l’uomo. E questo processo non può concludersi che con un piano mondiale, di cui le parziali misure europee non possono che essere solo un inizio.

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