L’Italia in questo momento storico gode di un’ottima rappresentanza ai vertici dell’Unione Europea. David Sassoli, Roberto Gualtieri e Paolo Gentiloni svolgono ruoli distanti (letteralmente), ma nelle loro mani, nell’ultimo anno (e per i prossimi quattro) sono passati, e passeranno, i dossier e le decisioni economiche più importanti d’Italia e d’Europa.
Gentiloni e Sassoli sono rispettivamente il Commissario gli Affari Economici e il Presidente del Parlamento Europeo. Entrambi di formazione cattolica ed entrambi accomunati dalla sconfitta, nel 2013, alle primarie come candidati sindaci della Capitale. Dopo quella data Sassoli inizia il suo lavoro al gruppo parlamentare PSE al parlamento europeo, mentre Gentiloni rimane in Italia al PD, seppur in disparte.
Esercitò il suo ruolo fino al 2015, quando Sergio Mattarella negò a Matteo Renzi nuove elezioni, indicando Gentiloni come potenziale Presidente dei ministri, riuscendo a ottenere una fiducia superiore al predecessore.
Il crollo del PD nel marzo 2018 segna il divorzio tra Gentiloni e Renzi. Dati il risultati della Lega alle ultime europee nessuno si sarebbe aspettato Gentiloni commissario ma una serie di casualità (le stesse per cui oggi abbiamo questo strano governo con Di Maio agli Esteri e Speranza alla Sanità) ha permesso il verificarsi degli eventi. Tra questi possiamo sicuramente citare l’“autogol” di Salvini che ha causato la fine del governo, la non-volontà di Grillo di andare a nuove elezioni, la posizione contraria di Renzi a un governo M5S-PD, il sì dei 5S a Gualtieri all’economia e, cosa più importante la decisione di Di Maio di “barattare” la conferma di Conte a palazzo Chigi per il posto italiano in commissione.
Gualtieri viene da un’altra scuola, quella accademica e del Parlamento Europeo (fu nella Commissione Bilancio e Negoziatore per il gruppo dei socialisti, presidente della Commissione per i problemi economici e monetari), ebbe un’influenza sulla creazione del MES stesso, nel 2016 il magazine Politico, che lo ha definito uno dei legislatori più efficienti dell’intero Parlamento, lo ha collocato tra gli otto deputati più influenti del Parlamento Europeo. Nel corso del suo mandato ha presieduto il numero record di 157 triloghi (le negoziazioni inter-istituzionali tra Commissione, Parlamento e Consiglio per definire le norme europee).
I tre condividono l’ età, un’esperienza politica consolidata, serietà e sobrietà nella dialettica.
Prima di quella che dai giornalisti e il resto d’Italia (con buona pace dei giuristi) viene chiamata seconda (o terza?) Repubblica, questo sarebbe stato un profilo ordinario; oggi, davanti all’incessante ribalta della democrazia social dominata dal discorso illiberale in chiave nazionalistica, rappresenta l’eccezione. Nonostante sia un trend diffuso a macchia di leopardo in tutta Europa è sufficiente dare un’occhiata al risultato delle ultime elezioni europee e al nuovo assetto politico stabilitosi per constatare quanto un approccio europeista e anti-populista abbia avuto la meglio. In un contesto del genere l’Italia è una delle poche a sedere in gran parte nelle file anti-Europa.
Secondo Cavalli l’indebolimento dei partiti è accompagnato da una tendenza che è possibile raffigurare in termini idealtipici (rifacendosi mentalmente anche a democrazie che sembrano averci preceduto su questa strada), e a cui si può ragionevolmente dare il nome di «personalizzazione della politica». Il cittadino elettore compie scelte di voto personali, sottraendosi ai condizionamenti di partito (spesso mediati da comunità di appartenenza, per esempio nel quartiere), vota in base alla fiducia personale nel candidato, e poi cerca di mantenere un rapporto personale con l’eletto, nel quadro di una visione pragmatica (non ideologica) della politica.Questi mutamenti hanno eroso le condizioni di vario ordine che (come, ad esempio, la struttura di classe) erano alla base del partito di massa, e del suo «regime».
Questo causa il rafforzamento della personalizzazione di vertice, come unico rifugio possibile della fiducia e, d’altro canto, lo sviluppo di associazioni, lobby e movimenti (single-issue movements) per la difesa di ben precisati interessi. Gli sviluppi nel campo delle comunicazioni facilitano considerevolmente questi sviluppi, a partire dalla formazione di gruppi d’interesse auto-selezionati . Se la spinta della personalizzazione avrà prodotto un adeguamento del sistema politico, il candidato presidente o premier, per essere eletto, dovrà farsi riferimento privilegiato di interessi compatibili e di organizzazioni (lobby, movimenti, o che altro) che già li rappresentano, ma elevando quella pluralità di interessi a una sintesi superiore, che costituisca un progetto nazionale. Deve cioè creare un’area politico-culturale, definita in ultima analisi da valori che trascendono gli interessi. Quanto ai residui dei principali partiti, contribuirebbero certamente ad innervare l’area politico-culturale. Ma il candidato presidente o premier ne è l’autore e il garante. Per mesi l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica si concentra sui due antagonisti, considerati sotto ogni aspetto; e la campagna stessa si organizza inevitabilmente in una serie di prove atte a vagliare il possesso delle qualità di leadership che la carica richiede.
In tutta Europa la crisi di legittimità delle formazioni politiche tradizionali favorisce l’astensione e l’affermazione di forme di contestazione di stampo populista sempre più frequenti. Inoltre la graduale devoluzione di sovranità da parte degli Stati membri su questioni strategiche, delicate e impattanti (come la disciplina monetaria e le scelte macroeconomiche), parte del processo di integrazione, diminuisce la percezione di controllo e contribuisce ad alla delegittimazione delle istituzioni da parte del cittadino. Tale processo non si è limitato alle sole élites politiche nazionali, ma si è tradotto in una crescita rilevante delle correnti euroscettiche in diversi paesi europei. Le sfide poste dalla globalizzazione, dalla crisi e dal progetto europeo e dalla difficile fase di transizione nella quale si trovano le democrazie rappresentative occidentali favoriscono il diffondersi di movimenti che si richiamano al popolo, rappresentato come tradito e oppresso da élites che ignorano le esigenze del cittadino.
Sicuramente le derive sopracitate favoriscono l’insorgere di populismi e derive nazionaliste. Risulta facile immaginare come sarebbe stato il tavolo sul MES se a “sbattere i pugni” ci fossero stati i vincitori delle elezioni europee in Italia, e non Gentiloni. È proprio il concatenarsi di queste coincidenze che sfuggono al controllo politico a garantirci un ottimo peso sul piatto della bilancia ed evitare derive populiste.
E qui la scommessa: vi sarà un cambio nel consenso elettorale italiano? O continueremo a essere in balia del fato?
Una vera sovranità democratica europea potrebbe essere la soluzione. Monnet propose la creazione del Consiglio Europeo – la riunione dei Capi di Stato e di governo nazionali – come una sorta di “governo europeo provvisorio” in attesa di creare un governo federale. L’attuale crisi sanitaria mostra come i governi Nazionali soli siano impotenti senza un fondo comune. Quindi perché non cedere il passo a un vero governo federale europeo? Oggi l’Unione Europea dispone di un’unione monetaria, ma non un’unione economia e politica, ovvero di una politica economica e fiscale comune. In questo modo l’unico margine d’azione resta la politica monetaria della BCE. In poche parole tasse europee e titoli di debito europei.
Dal Trattato di Maastricht del 1992, l’Unione europea non è più un ambito di politica estera, ma di politica interna. La politica europea viene decisa dal presidente del Consiglio e dal ministro dell’Economia, con l’aiuto del ministro degli Affari europei, e non più dal ministro degli Affari esteri. L’UE e l’Eurozona sono costituite anche da noi, il loro funzionamento richiede rapporti di reciproca fiducia tra gli Stati membri e le istituzioni comuni. Il nuovo governo è europeo in quanto è guidato da persone che sono consapevoli della compenetrazione tra Roma e Bruxelles. Quella governance produce effetti asimmetrici tra paesi del nord e del sud e soprattutto è divenuta (per via della sfiducia prodotta dalla crisi dell’euro) un sistema di crescente centralizzazione regolativa delle politiche economiche nazionali. La presenza di Paolo Gentiloni nella Commissione europea non è una garanzia per ottenere più flessibilità per l’Italia, bensì per fare avanzare la riforma della governance europea (i commissari, ricordiamolo, rappresentano l’UE e non già i loro Paesi di provenienza). I due processi riformatori (interno ed esterno) debbono andare avanti insieme. Soprattutto debbono essere reciprocamente coerenti.
La compenetrazione tra Italia e UE non riguarda solamente le politiche economiche, ma anche la struttura degli interessi. Dal punto di vista di quelli geopolitici, l’approccio sovranista del governo precedente aveva portato all’allontanamento dell’Italia dai nostri partner naturali (i Paesi dell’Europa occidentale-continentale insieme a cui abbiamo avviato il processo di integrazione), avvicinandoci a Paesi (come l’Ungheria e la Polonia) con una visione dichiaratamente anti-integrazionista. Ciò in nome di un’ideologia sovranista (che ha le sue radici nel nazionalismo) che ritiene inconciliabile la sovranità nazionale e quella europea. Una convergenza ideologica difficile da giustificare in un Paese, come il nostro, che ha inventato il fascismo e che dalla sua fine è tra i pilastri dell’integrazione Europea.
Biografia
Baldini G. (Inserire anno del pezzo o della rivista). Populismo e democrazia rappresentativa in Europa (Populism and representative democracy in Europe). (Inserire rivista, issue o numero). P. 11-29. https://doi.org/10.4000/qds.365
Cavalli L. 2000. La “personalizzazione”? Una tendenza inarrestabile. Caffè Europa, Archivio, 25 giugno 2000, http://www.caffeeuropa.it/attualita/89reset-cavalli.html.
Fabbrini S. 2019. Un governo europeo, non fatto in Europa. Il Sole 24 ore, 9 settembre, 2019. https://www.ilsole24ore.com/art/un-governo-europeo-non-fatto-europa-ACvukUi.
Welfare Cremona Network. 2020. Emerge la necessità di un vero governo federale europeo. 3 aprile 2020, https://www.welfarenetwork.it/emerge-la-necessita-di-un-vero-governo-federale-europeo-20200403/
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