Imbarazzo europeo: l’Unione degli interessi nazionali volta le spalle al popolo curdo

, di Filippo Sartori

Imbarazzo europeo: l'Unione degli interessi nazionali volta le spalle al popolo curdo
Bandiera del Kurdistan

Da quando la crisi curda è iniziata, gli occhi di tutto il mondo si sono rivolti verso l’Unione Europea: gli USA avevano appena annunciato il ritiro delle loro forze dal confine nord della Siria, sancendo quindi l’abbandono del sostegno ai combattenti curdi e, di fatto, girando le spalle a ciò che sarebbe successo di conseguenza. Naturalmente, quindi, quando il presidente-dittatore turco Recep Tayyip Erdogan ha deciso di inviare le truppe oltre il confine, per dare la caccia ai combattenti curdi, tutti si sono affidati all’Unione Europea in cerca di una presa di posizione dura, attiva nei confronti della Turchia. Questo perché? I combattenti curdi si sono schierati in prima linea nella guerra al sedicente “Stato islamico” (Isis), sacrificandosi in una lotta al terrorismo che ha ricevuto elogi profusi dai rappresentati dei vari Paesi europei.

La reazione, riassumibile nelle conclusioni del Consiglio europeo del 14 ottobre scorso, è l’ennesimo proclama privo di significato, parole vuote di condanna alle quali non è riuscita a seguire una decisione unanime neppure nello stop (di facciata) alla vendita di armi alla Turchia. Questo provvedimento, adottato da alcuni Paesi in maniera autonoma, ha molto di “pubblicitario”, ma gran poco di effettivo e concreto, considerando che i contratti in essere non vengono toccati e che l’interruzione riguarda solo il momento attuale di tensione.

L’ennesima crisi internazionale pone l’Europa di fronte alle sue mille contraddizioni: culturalmente (auto)destinata a guidare il pianeta intero, si ritrova schiava delle singole posizioni ma, ancor peggio, della dura e cruda politica della convenienza. In un continente dove i movimenti di estrema destra spopolano e sfruttano un pericoloso vento, i rappresentanti di tutti gli schieramenti si trovano nell’imbarazzo di dover gestire la questione migratoria senza però poter perdere troppi voti. E in questa questione, la Turchia rappresenta una potenziale bomba per l’UE: 4 milioni di profughi, quasi tutti provenienti da paesi dilaniati da conflitti e dunque possibili beneficiari dello status di rifugiato, vengono trattenuti entro i confini turchi, concedendo di fatto ad Erdogan la possibilità di effettuare qualsiasi sospensione della democrazia a suo piacimento, di invadere un Paese limitrofo e sterminare un popolo che, a sentire le dichiarazioni di qualche anno fa, sacrificava la vita per difendere valori comuni a tutti.

La situazione, nel frattempo, ha raggiunto il culmine con i bombardamenti effettuati dalle forze armate turche e l’accusa di utilizzo di armi chimiche sulla popolazione civile. Solo l’intervento della Russia sembra aver posto qualche incertezza al dittatore turco, che nonostante il cessate fuoco non smette di chiedere la testa dei comandanti curdi. Ancora una volta, sono Russia e Stati Uniti, nel bene e nel male, ad avere l’influenza necessaria per alterare gli equilibri internazionali – ovviamente secondo le convenienze dell’uno o dell’altro.

L’Unione resta ostaggio dei singoli membri, soffocata dall’incapacità di adottare una strategia a lungo termine di sostegno agli Stati di partenza dei migranti, in imbarazzo nella gestione di disperati già presenti sul territorio – a Lesbo e nel Mediterraneo, sono i volontari e le Ong a salvare quel che resta della reputazione del Vecchio continente –, tenuta in ostaggio dal Regno Unito nella questione Brexit, teatrino che si prolunga oramai da tre anni e che ha ampiamente superato il limite della decenza, scadendo nel tragicomico.

Lo scenario politico nel nostro Continente preoccupa chi spera che, in un prossimo futuro, un’Unione forte possa intervenire nello scenario mondiale: la destra nazionalista spopola in molti Paesi, soprattutto nel blocco est e nei Paesi di confine, dove l’incapacità di gestire i flussi migratori ha creato malcontenti nella popolazione; la cosiddetta “spinta verde” rappresenta un fenomeno degno di nota soprattutto in Germania e Francia ma, in generale, i Verdi si mostrano in grado di smuovere le coscienze solamente sulle tematiche ambientali – importanti –, balbettando sulle altre questioni (anche qui, unica eccezione sono forse i Verdi tedeschi). E la sinistra europea? Da sempre dichiaratasi portatrice di una nuova idea di Europa, è incapace di esprimere una posizione su una crisi umanitaria e di democrazia di tale portata, incapace di raggruppare persone e organizzarsi, incapace di proporre quell’idea di Europa che millanta di avere, ma che in concreto nessuno sa come intenda realizzare. Oggi la sinistra si aggrappa alla figura di Greta Thunberg, cercando di cavalcare la piazza che manifesta contro il cambiamento climatico, per nascondere l’inconsistenza che la paralizza sulle tematiche storiche: diritti, lavoro, democrazia e, a suo dire, europeismo.

Gli ideali di alcuni si scontrano dunque con la dura realtà: ancora una volta l’Europa si dimostra inadeguata ai suoi tempi, un’accozzaglia di Stati che finge di riconoscersi sotto la bandiera a 12 stelle, ma che guarda esclusivamente alle proprie convenienze. Un’Unione ostaggio di veti nazionali, ostaggio di un tiranno che minaccia il continente di lasciare andare 4 milioni di disperati, che ad oggi rappresentano la più grande paura della politica europea: nel 2015 l’arrivo di migliaia di profughi siriani mise alle corde i leader europei, Germania in primis, con un boom della destra ultranazionalista. Tutti sanno che, se si dovesse ripetere un fenomeno di tale portata – se non maggiore – niente potrebbe impedire a AfD, Lega e altri partiti nazionali sovranisti di salire al potere, decretando la fine del progetto europeo. Progetto che va però rivisto sin dalle fondamenta, in fretta e bene, perché servono risposte. Sono parole che sono già state dette e che probabilmente verranno inascoltate e ripetute. La verità è purtroppo dura da accettare, ma allo stato attuale delle cose, nessuna forza politica, in nessun Paese, ha intenzione di abbandonare la strada degli interessi nazionali per percorrere una riforma strutturale che cambi radicalmente l’assetto comunitario. Ogni crisi ha visto le stesse scene: impegno da parte delle istituzioni europee al cambiamento, politici che si riscoprono europeisti convinti e via vai di interviste a mezzo stampa su quanto l’Europa debba guidare l’opinione mondiale. Tutto ciò per una settimana, due, o quanto basta perché qualcun altro intervenga a risolvere l’ennesima crisi o fin quando l’attenzione mediatica non si sia spostata su qualche altro tema. Allora tutti possono tornare nei palazzi dei propri Stati, ad occuparsi dei loro problemi e a cercare il consenso a furia di tweet e post su Facebook.

E il popolo del Rojava? A loro restano le stucchevoli parole di cordoglio, i proclami pubblici e la vuota solidarietà d’Europa, insieme ai sentiti ringraziamenti per il loro sacrificio a difesa dei valori comuni a tutto il mondo. Grazie, sì, ma ora che hanno svolto il loro compito di utilità, è tempo di tornare a piegarsi alla minaccia e alla sete di potere di un piccolo dittatore. Dei curdi, che ne faccia ciò che meglio crede, l’importante è che si tenga i migranti. Il trionfo della Realpolitik.

Articolo originariamente pubblicato su http://www.mfe2.it/verona/?p=677 e qui ripubblicato col consenso dell’autore

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