Il Kazakistan, ex-Stato membro dell’Unione Sovietica, è stato recentemente interessato da sommosse civili sviluppatesi contro il Governo autoritario attualmente in carica, la crisi economica che lo pervade e la brutalità della polizia. Le proteste sono state represse con la violenza ricorrendo anche a un utilizzo letale della forza.
Questa è una nuova crisi dello Stato di diritto; una vera e propria violazione dello stesso alle porte dell’Unione, che già conta numerosi casi limite in cui alcune Istituzioni politiche si permettono di prevaricare i diritti dei cittadini e la democrazia stessa. Cosa fare? Quale soluzione è disponibile per risolvere questa crisi, oppure quella bielorussa, o ancora quella ucraina?
La risposta credo sia unica e comporta un passo ulteriore difficile, ma fondamentale, che gli Stati europei devono assolutamente fare, ossia mettere in comune la propria politica estera, così da potersi fare effettivamente portatrice - anche al di fuori degli attuali confini - dei suoi valori, tra i quali rientra la tutela dei diritti umani e dello Stato di diritto. Noi federalisti - essendo avanguardia - questa necessità la affermiamo già da tempo, con forza, e la Storia ci sta dando ragione.
Innumerevoli sono le occasioni in cui l’Unione, essendo incapace di muoversi nei termini di una politica sostanziale di tutela dei diritti, è rimasta solo a guardare ciò che stava accadendo, in balìa delle decisioni di altri Stati, di altre entità, cosa che spesso comunque non ha portato ai risultati quantomeno sperati. Basti vedere la rapidità con cui si è mossa la Federazione Russa sia nel caso kazako, che in quello bielorusso, appoggiando i Governi già esistenti, gli stessi che sparano sui civili in protesta, gli stessi che finanziano la polizia politica per soffocare ogni dissenso. Oppure, nel caso ucraino, facendo il bello ed il cattivo tempo sui confini europei sentendosi liberi di ammassare truppe ai confini senza voler dare spiegazioni.
In Kazakistan sono già presenti almeno 3000 soldati russi atti alla protezione e al controllo dei centri di potere e di interesse strategico. E noi? Noi europei dove siamo?
Siamo divisi in casa nostra, divisi perché impauriti di prendere una posizione unica, oppure perché gli interessi economici fanno da padrone sul sangue delle persone comuni, ma ugualmente divisi in casa, senza capire che questo attaccamento a una sovranità decisionale in affari esteri ormai solo fittizia non solo permette a Stati liberticidi e dittatoriali di continuare a calpestare cittadini e diritti, ma gioca anche contro ai suddetti interessi economici e questa tendenza - direi autolesionista - degli Stati stessi continua ciclicamente a rinnovarsi.
Essa va avanti almeno dal secondo dopoguerra, quando si decise di rimanere a guardare mentre gli europei ad est venivano uccisi e repressi perché chiedevano più libertà ai governanti. Parliamo della primavera del ’68 a Praga, parliamo del ’56 in Ungheria e parliamo oggi della Bielorussia, come parliamo del Kazakistan.
E quindi, mi chiedo, ancora fino a che punto dovremo arrivare prima che la classe politica continentale capisca ciò che noi federalisti diciamo almeno dagli anni ’50 del 1900 con la spinta verso la creazione della CED.
Le crisi estere, oltretutto, si ripercuotono fortemente su quelli che sono anche gli equilibri politici del continente e ogni fallimento, ogni istanza in cui l’Unione fa finta di agire oppure fallisce direttamente nei suoi tentativi di soluzione delle problematiche che si incontrano, non fanno altro che foraggiare la narrativa degli scettici, di chi pensa che fare un passo indietro rispetto al cantiere europeo sia la scelta giusta o che comunque vada bene la situazione attuale, dove ognuno è unito da una comune storia e un comune destino, a parole almeno, ma poi fa ciò che vuole in barba agli interessi del singolo così come della comunità. In barba ai principi democratici e ai diritti fondamentali che sono le fondamenta di questa Unione.
Per concludere, voglio solo ricordare ai lettori che queste discussioni, questi fatti elencati, queste osservazioni ci toccano da vicino. Anche noi siamo in prima persona chiamati a interessarci e agire attivamente perché le soluzioni esistono e possono essere applicate, ma devono essere richieste e pretese da tutti con vigore, rifiutando soluzioni di comodo e fatte a metà che troppo spesso vengono applicate con risultati assai scarsi.
Se noi cittadini europei e italiani per primi non lotteremo per i diritti degli altri, nessuno lo farà e queste crisi non avranno mai fine, rendendoci complici delle sofferenze di altri esseri umani e collaboratori dei regimi dispotici e totalitari come quello kazako.
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