Per la Francia è ora di tornare alle urne. A quasi cinque anni dalle storiche elezioni che posero un freno ai cosiddetti partiti tradizionali, il popolo d’Oltralpe dovrà decidere se confermare o meno la fiducia nel Presidente in carica, Emmanuel Macron.
Uscito vittorioso al primo turno e trionfante nel ballottaggio, doppiando i voti ricevuti dalla sfidante Marine Le Pen, il leader de La République En Marche, dal 2017 a oggi, ha ottenuto sì tanti applausi, ma anche fortissime critiche, alcune delle quali potrebbero essergli fatali nella prossima tornata. In primis, ci sono l’aumento delle tasse sul carburante e l’applicazione della tassa sul carbonio, oltre alla poca attenzione posta sulla diminuzione del potere d’acquisto, che scatenarono l’ira del movimento dei gilet gialli tra il finire del 2018 e l’inizio del 2019. Seguono le dichiarazioni discordanti sull’Europa e sull’ambiente, i provvedimenti non in linea con gli ideali del partito di cui è alla guida e, ovviamente, la gestione della pandemia.
I sondaggi registrano in calo il gradimento di Macron, tuttavia, quello del Presidente in carica rimane il nome su cui la maggioranza dei francesi sembra intenzionata a puntare. Motivazione sta anche nel fatto che ancora non si conoscono i candidati degli altri partiti. Nemmeno nel Rassemblement National, legato fin dalla sua fondazione alla famiglia Le Pen, c’è la certezza di presentare Marine, figlia di Jean-Marie, quale concorrente alla poltrona più ambita di Francia. Ciò si deve alla rapida e prepotente ascesa politica di un nuovo personaggio: Éric Zemmour.
Giornalista di professione, polemista per talento, Zemmour è un volto noto dell’editoria francese, specialmente per i suoi articoli taglienti pubblicati sul quotidiano conservatore Le Figaro e per i suoi libri politicamente, certe volte anche umanamente, scorretti. Si dice contrario all’immigrazione, al multiculturalismo e alla globalizzazione della società francese, convinto che le rivolte del Sessantotto abbiano dato il via a un declino mai interrotto del Paese e sicuro di ruoli naturali per gli uomini e per le donne. Un polemista, appunto, tanto da definire Marine Le Pen “una donna di sinistra, non politicamente diversa da Montebourg e Mélenchon”.
Con un sapiente uso della parola, del patriottismo (si è definito gollista-bonapartista in un’intervista a BFMTV), e attraverso la manipolazione delle più importanti trasformazioni della società recente, Zemmour è stato in grado di stregare non solo gran parte della popolazione, ma anche rilevanti esponenti di partiti politici che lo vorrebbero all’Eliseo. Pare che proprio all’interno di Rassemblement National ci siano numerose persone stuzzicate dall’ipotesi Zemmour. D’altronde, correre contro un nome che nei sondaggi tampona e talvolta, addirittura, scavalca Le Pen sarebbe decisamente svantaggioso per l’ex FN, mentre averlo nei propri ranghi avvicinerebbe il partito sempre di più a Parigi.
Presidente di Rassemblement National è però ancora Marine Le Pen, una che non si fa mettere i piedi in testa facilmente. “Il programma di Zemmour è segnato da un ultraliberismo" - ha dichiarato - “mentre RN ha come obiettivo quello di preservare il sistema sociale francese”, allontanando di fatto l’outsider dal logo che difende in prima persona da ormai dieci anni e, con ogni probabilità, spronando il direttivo di partito ad annunciare la sua nuova discesa in campo.
Quindi, come si presenterà Zemmour alle elezioni di aprile? Innanzitutto è da vedere se effettivamente si presenterà. Di nuovo, tanti francesi sono dalla sua, tanti politici lo vogliono a palazzo, ma il giornalista non ha mai ufficialmente dichiarato la propria candidatura. Il rumor dell’emittente radiofonica Europe 1 è che lo farà questo weekend, per poi riunire a fine mese i suoi sostenitori più significativi e scegliere il nome della propria formazione politica. Niente ingresso in movimenti già blasonati dunque, ma un partito ad personam; prevedibile vista l’impossibilità di trovare nelle istituzioni francesi gruppi più nazionalisti e protezionisti di quello di Le Pen. Non è da escludere però che sia tutto un bluff.
Uno dei motivi per cui Zemmour ha così tanto seguito, oltre al parlare alla pancia della gente, è il fatto che in vent’anni non si sia mai contraddetto, contrariamente a quanto fatto dai politici che hanno guidato la Francia, siano essi di destra, di sinistra o di centro. Tale lode appare fragile, è ovviamente più facile non contraddirsi lavorando dall’esterno, e il rischio di perdere il culto della personalità per una simile sciocchezza potrebbe portarlo a rinnegare la volontà di candidarsi attraverso qualche ben riuscita perifrasi. Inoltre, da politico, dovrebbe fare sempre i conti con quanto professato nei suoi scritti, specialmente riguardo alle esternazioni per cui è additato di xenofobia e misoginia. Ha più volte dichiarato di non sentirsi tale, di ragionare di scienza e di cultura. Ma si ponga il caso che si presenti alle elezioni e che le vinca, che diventi Presidente. Avrà allora l’onestà, davanti a un caso di violenza razzista o misogina, di condannare tale atto, restando coerente e quindi puro come ama apparire, o svierà l’argomento ben conscio che l’eventuale aggressore e i suoi sostenitori potrebbero essere voti preziosi?
Incognite che vedranno risposte solo nel momento in cui la candidatura di Zemmour si concretizzasse. In tal caso, questa mina vagante non dovrà essere in alcun modo sottovalutata.
La Francia ha oggi, forse più che mai, un ruolo fondamentale nel panorama europeo. Guiderà il prossimo semestre del Consiglio dell’Unione europea, che esce dalla presidenza slovena del populista Ivan Janez Janša, e si vedrà in stretta collaborazione con il primo Governo tedesco privo di Angela Merkel da sedici anni a questa parte. In più, nel momento cruciale della Conferenza sul Futuro dell’Europa, una doppia chance di euroscetticismo alle elezioni presidenziali del secondo Paese per abitanti dell’Unione ha il dovere di preoccupare ogni difensore della sovranità europea. Anche perché la storia ci insegna che un estremismo tira l’altro.
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