Atlantismo in calo
Nel 2016, il mondo era in stato di shock quando ha scoperto che Trump aveva vinto le elezioni. La gente si dimenava a cercare un nuovo leader per un mondo libero. Questa era la prima volta, dalla Seconda guerra mondiale, che l’Europa si interrogasse ampiamente sull’affidabilità degli Stati Uniti e sull’importanza della NATO. Per un certo periodo, la classe politica parlò addirittura di un processo di integrazione militare in seno all’Unione Europea e la nuova circostanza aveva contribuito a diffondere un desiderio di autonomia strategica nelle tendenze politiche dominanti. Ed è in questo spirito che nel 2017 venne creata la Permanent Structured Cooperation. Nella pratica, però, la promessa di un’Europa autonoma non è stata mai mantenuta.
Ciò si può spiegare in parte con la successiva presidenza di Joe Biden: sarà stato criticato per la sua età, ma con sé ha portato anche lo spirito interventista della vecchia scuola della Guerra Fredda e si è sempre interessato alla sicurezza dell’Europa. Insomma, l’impegno americano nei confronti della NATO sotto il governo di Biden è stato totale e nessun Paese ha aiutato l’Ucraina più degli Stati Uniti.
Nonostante ciò - e malgrado l’iniziale accordo bipartisan con gli oppositori - il Partito Repubblicano ha recentemente iniziato a bloccare la votazione per gli aiuti destinati all’Ucraina. Orbán ha fatto lo stesso in Europa, anche suggerendo più volte che una pace è possibile tramite concessioni da fare alla Russia; è stato recentemente a Washington per un evento organizzato dalla Heritage Foundation, un’influente lobby contraria al sostegno all’Ucraina.
Il colosso incatenato
Questo ci porta al progetto più importante della Heritage Foundation, il Progetto 2025, anche chiamato “Progetto per la transizione presidenziale”. Il Progetto 2025 mira a creare le strategie della futura amministrazione conservatrice, supponendo che i repubblicani vincano le elezioni presidenziali del 2024. Sebbene la fondazione pensi a una probabile vittoria di Trump, essa sottolinea che le sue idee non sono legate a un presidente in particolare.
Prima di scendere nei dettagli, è più che fondamentale comprendere che la Heritage Foundation non è una semplice lobby conservatrice: è uno dei più importanti attori in gioco e ha avuto un’enorme influenza durante l’amministrazione di Reagan. Oggi, il Progetto 2025 è supportato da più di 80 organizzazioni conservatrici e non c’è motivo di pensare che la fondazione non possa avere altrettanta influenza qualora il partito repubblicano dovesse vincere nel 2024.
Oggi come allora, la fondazione ha stilato un’esauriente agenda politica, contenuta in un libro di quasi 900 pagine, il “Mandate for Leadership”, che - tra le altre cose - tenta di combattere “i guerrieri della Woke culture” (“stare svegli”, movimento per la consapevolezza di fronte a ingiustizie sociali o razziali) e “l’élite globale”. Oltre a negare completamente l’esistenza delle persone LGBTQ+ - in alcuni casi, etichettando il solo fatto di parlarne come “pornografia”, la quale dichiarano dovrebbe essere proibita - e ad enfatizzare i cosiddetti valori della cristianità, famiglia e comunità, la promessa principale del testo è lo smantellamento dello “stato amministrativo”. In gergo americano, con “stato amministrativo” si intende l’insieme di agenzie e dipartimenti, come l’Agenzia per la Protezione Ambientale o il Dipartimento di Giustizia (questi esempi sono anche menzionati nel documento). Il Progetto 2025 vede i gruppi “burocrati” e apolitici di queste istituzioni come minacce agli obiettivi conservatori. Sulla base della “Unified Executive Theory”, la Heritage Foundation afferma che tali dipartimenti rispondono al potere esecutivo e che il Presidente esercita un potere assoluto su di loro: un potere che la fondazione vuole usare per distruggere totalmente queste istituzioni. Poiché previsto del processo, il Progetto 2025 sta assumendo dei conservatori leali, che userà sin dal primo giorno per riempire le posizioni burocratiche. Qualora dovessero riuscirci, per rafforzare e attuare la propria visione dell’America, potrebbero rimpiazzare l’intera amministrazione statale con dei leccapiedi.
Mentre nel momento in cui scriviamo, il libro della Heritage Foundation deve essere ancora pubblicato, la fondazione sta lavorando a una strategia di 180 giorni per lanciare il proprio piano autoritaristico e, fondamentalmente, trasformare il Paese prima di affrontare il rischio di una significativa opposizione dei democratici. L’Europa è da sola?
Tutto ciò potrebbe culminare in uno scenario peggiore: nel 2025, il supporto americano all’Ucraina cessa e ciò farebbe temere per la sicurezza europea in generale. Infatti, il “Mandate for Leadership” vede nel futuro della NATO un coinvolgimento americano in gran parte limitato dall’ombrello nucleare, mentre gli europei schierano le proprie forze militari necessarie a difendersi. Data la poca credibilità dell’ipotesi secondo cui gli Stati Uniti provocherebbero una guerra nucleare sugli Stati baltici, tutto ciò rappresenta de facto un impegno alla sicurezza europea notevolmente indebolito. L’Europa non è affatto pronta a questa eventualità: dal 2016 non è stato fatto alcun passo significativo che potesse rendere l’Unione Europea una potenza militare o un garante della sicurezza credibile, né l’Unione Europea riuscirà a compensare i mancati aiuti per l’Ucraina.
Al contrario, l’atteggiamento di chi sostiene la guerra si è già inasprito in alcuni Paesi, con il costo della vita subito diventato una priorità politica in seguito al taglio russo del petrolio. Mentre la guerra continua senza vedere la pace all’orizzonte, il numero di coloro che sono disposti ad accettare una pace umiliante, a discapito dell’Ucraina, continuerà a crescere. A creare un terreno fertile per il populismo in Europa sono le speranze di un rinnovato commercio con la Russia o anche semplicemente la frustrazione per gli aiuti inviati all’estero nel periodo di difficoltà economica. Essere invischiati in questa guerra diventerà molto impopolare, specialmente nei Paesi distanti dalla Russia e senza un suo precedente storico di dominio.
Mentre l’impegno americano nella NATO vacilla, potrebbe rinnovarsi l’attenzione al rispetto degli obiettivi di spesa della NATO - che spesso acquista equipaggiamento americano -, ma ciò non renderà l’Europa considerevolmente più capace di difendersi, tenendo conto che la sua debolezza principale non è un budget esiguo, ma la divisione politica e istituzionale in Stati separati con eserciti e politiche estere statali.
Se, a causa delle pressioni economiche e di quelle legate alla sicurezza, gli obiettivi di politica estera dei governi europei divergono significativamente - guardandosi con sospetto e dando priorità alla propria gente, industria, costo di vita e riarmo -, allora il progetto europeo potrebbe trovarsi in una posizione mai così precaria.
Non è possibile mettere indietro le lancette dell’orologio. Le riforme istituzionali, il riarmo, un esercito militare europeo sono cose che richiedono tempo e che avremmo dovuto cominciare a costruire quando ne avevamo l’opportunità. Certo, meglio tardi che mai per avviare una riforma ma, persino adesso, è improbabile che la classe dirigente europea sia capace di, o voglia, guardare in faccia la realtà e prendere le decisioni necessarie per tenerci al sicuro.
Se le cose dovessero peggiorare e l’Europa restasse da sola, allora noi europei dobbiamo dare origine a una storica missione di protezione della libertà e dei diritti dell’essere umano, sia a livello locale che internazionale. Se - com’è probabile che sia - la nostra classe politica non riesce o esita a fare i passi necessari, noi federalisti dobbiamo richiamarli. E più di tutto, noi federalisti dobbiamo avere una visione audace dell’Europa ed essere pronti a prendere l’iniziativa. Dobbiamo essere pronti a offrire, chiedere e - nel caso - a implementare la soluzione di cui l’Europa ha disperatamente bisogno.
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