In un passo del suo discorso, Macron afferma: “La sovranità [europea] è la potenza economica, industriale e monetaria”, in breve è l’Unione economica e monetaria. In altri punti propone una “Europa della difesa” e un “Fondo europeo per la difesa”. Nella parte finale, formula una sintesi delle sue proposte così: “Infine, l’essenza del progetto europeo è la democrazia. … Sovranità, unità e democrazia sono, per l’Europa, indissociabili. … È questo trittico indissociabile che dobbiamo sostenere”.
Qui, intendo mostrare che mentre “unità e democrazia” sono due dei pilastri portanti della costruzione europea, il concetto di sovranità europea è fuorviante, perché potrebbe essere più chiaramente sostituito dall’espressione “i poteri e le competenze che devono essere affidati al governo democratico dell’Unione dagli stati membri”. Il concetto di sovranità è una formula ideologica che è strettamente connessa alla nascita dello stato nazionale e che non può fungere da guida per il futuro dell’UE.
Presenterò le ragioni di questo approccio empirico in due tappe: nella prima indicherò alcune contraddizioni tra la politica estera della Francia, ancora basata sulla sovranità nazionale, e la nozione di una sovranità europea; in una seconda tappa discuterò della politica estera dell’Unione europea, una politica cruciale per arrestare e rovesciare la tendenza al disordine internazionale crescente, reso evidente dalle politiche nazionalistiche di Trump.
Nella recente intervista a Le Grand Continent (16/11/2020), alla domanda: “La sovranità westfaliana può coesistere con l’emergenza climatica?”, Macron risponde: “Sì, perché non ho trovato un sistema migliore di quello della sovranità westfaliana. Se ciò consiste nel dire che un popolo, in seno ad una nazione, decide di scegliere i suoi leader e di avere persone che votino per le sue leggi, penso che sia perfettamente compatibile, chi deciderebbe, altrimenti? Il popolo come potrebbe costituirsi e decidere? … Ormai da diversi decenni, le democrazie occidentali danno al loro popolo la sensazione di non sapere più come risolvere i problemi … la crisi delle democrazie è una crisi di scala e di efficacia. Ma non credo affatto che si tratti di una crisi della sovranità westfaliana … in tutto ciò che faccio a livello internazionale, per me l’elemento più importante è sempre la sovranità dei popoli”. Non vi è alcun dubbio che esista una crisi delle democrazie nazionali nel mondo, ma la risposta non può consistere solo nella ricerca di una maggiore efficacia delle democrazie nazionali, perché quando l’ordine internazionale si frantuma, com’è avvenuto tra le due guerre mondiali, i regimi democratici non riescono più a dare risposte efficaci alle sfide internazionali, siano esse la sicurezza economica (com’è avvenuto con la crisi del 1929) o la sicurezza militare (per frenare tentativi egemonici, come quello di Hitler). La democrazia diventa fragile quando l’autoritarismo nel mondo avanza. Il nazionalismo contemporaneo si è manifestato in forme sempre più aggressive dopo la caduta del Muro di Berlino e la disgregazione dell’URSS. Macron non comprende le cause profonde della crisi dell’ordine internazionale e pertanto sostiene una politica estera della Francia, come stato nazionale che, di fatto, impedisce la costruzione di un’Unione europea indipendente. La politica nazionale francese produce l’effetto di impedire il perseguimento di una “autonomia strategica” dell’UE, concetto da anni adottato come orientamento fondamentale della politica estera dell’Unione.
Possiamo constatare le conseguenze recenti della politica estera della Francia in due aree cruciali, il Mediterraneo e l’Europa orientale, Russia compresa. Per quanto riguarda la Libia, la Francia ha sostenuto il generale Haftar contro Al-Serraji, favorendo così l’intervento della Turchia e della Russia nella regione; nel Libano ha proposto la Francia come potenza pacificatrice, ma non l’UE, senza ottenere risultati; nella guerra del Nagorno-Karabakh – due stati che appartengono alla Eastern Partnership (EaP) promossa dell’UE – l’Unione europea ha brillato per la sua assenza, dando così di nuovo alla Turchia e alla Russia un’occasione per estendere la loro area di influenza nell’area caucasica. Perché l’UE è incapace di agire efficacemente in queste regioni? Secondo Macron: “L’Europa della difesa, che credevamo impensabile, l’abbiamo realizzata” (LGC). La realtà è diversa come dimostra con lucidità Josep Borrell: “In conflitti come il Nagorno-Karabakh, la Libia o la Siria, stiamo assistendo a una forma di ‘astanizzazione’ (con riferimento al Processo di Astana sulla Siria) che porta all’esclusione dell’Europa dalla risoluzione dei conflitti regionali a favore della Russia e della Turchia. La natura ha orrore del vuoto: rischiamo di vedere insediate basi militari russe e turche in Libia, a pochi chilometri dalle nostre coste. Per uscire da questa situazione e risolvere pacificamente i conflitti con questi nuovi imperi, costruiti su valori che non condividiamo, dobbiamo continuare a colmare le lacune delle nostre capacità di difesa comuni. Questo è il prezzo che dobbiamo pagare per far nascere l’Europa geopolitica che la Presidente von der Leyen e la Commissione europea si sono poste come obiettivo” (Le Grand Continent, 14/12/2929).
Esaminiamo ora il problema della difesa e della sicurezza dell’Unione, che implica una discussione sul futuro della NATO. Macron, nella sua intervista a LGC, era certamente consapevole della proposta della SPD tedesca per la creazione di un 28° esercito dell’Unione, vale a dire un esercito europeo a disposizione degli organi democratici dell’UE. Tuttavia, non ne parla, come se la questione della difesa europea fosse già risolta. Forse Macron pensa che la difesa della Francia, che include anche l’arma nucleare, sia sufficiente per garantire anche la sicurezza degli altri paesi dell’Unione, una dottrina che risale a de Gaulle. Questa opinione non è tuttavia condivisa dai paesi dell’Est europeo, come la Polonia o i paesi baltici, che si sentono protetti solo dagli Stati Uniti e dalla NATO. Macron critica l’insufficienza della NATO come ha fatto nel 2019 quando ha sostenuto che l’Alleanza Atlantica soffriva di “morte cerebrale”. La critica è corretta ma quale alternativa offre Macron? La proposta della SPD renderebbe effettiva una “autonomia strategica” dell’UE. Qui sarebbe troppo lungo entrare nei dettagli di una questione che è certamente importante per l’Europa e per la pace mondiale. Mi limito a richiamare i contenuti di un ‘Policy paper’ scritto da tre federalisti, A New Atlantic Pact. A Peaceful Cooperation Area from Vancouver to Vladivostok (The Ventotene Lighthouse, 7/10/2020), nel quale si prende in considerazione – e si aggiorna – la proposta di Gorbaciov del 1987 per una “Common European Home”. Questa proposta è stata abbandonata dopo la disgregazione dell’URSS, perché la politica europea e statunitense per l’allargamento della NATO a Est – nonostante che Kohl avesse promesso a Gorbaciov il contrario – ha compromesso i rapporti con la Russia che, in un primo tempo, era stata invitata a raggiungere la NATO nella Partnership for Peace (PfP), per avviare una più intensa cooperazione, economica e militare, in seguito interrotta dalla crisi dell’Ucraina, contesa tra Europa e Russia. Nel ‘Policy Paper’ si sostiene la necessità di riprendere la cooperazione pacifica con la Russia, invitandola a partecipare a un’area di libero scambio da Vancouver a Vladivostok, rientrando nella PfP sino a che i tempi siano maturi per passi ulteriori. Inoltre, nel ‘Policy Paper’ si propone anche la creazione di un sistema di sicurezza europeo basato su una “dual army”, una proposta simile a quella della SPD. In conclusione, una pacificazione tra UE e Russia contribuirebbe indirettamente a cambiare i rapporti internazionali tra UE, USA, Russia e Cina e ridurre il tasso di competizione nazionalistica tra grandi potenze.
La politica estera europea, tuttavia, non si limita alle relazioni euro-atlantiche. Vi sono sfide politiche globali, che devono essere affrontate con urgenza. L’Assalto squadrista al Campidoglio statunitense non è stato solo un volgare sfregio alla democrazia ma indica anche un ulteriore indebolimento della leadership statunitense nel mondo, perché gli USA saranno nei prossimi anni un paese lacerato da divisioni interne, sociali e politiche. Le istituzioni internazionali costruite dopo la seconda guerra mondiale erano state progettate dagli USA per garantire “un mondo sicuro per la democrazia”: lo statuto dell’ONU si basa sulla “sovranità westfaliana”, ma contiene norme per attenuare i conflitti, mediante il Consiglio di sicurezza, e una serie di agenzie per sostenere la stabilità economica (FMI, Banca mondiale, GATT), la salute (OMS), l’agricoltura (FAO), i diritti umani, ecc. Questa architettura fondata sul multilateralismo – voluta dagli Stati Uniti, e accettata originariamente da altri 40 paesi, compresa l’URSS – ha resistito alle crisi e alle turbolenze della guerra fredda. Tuttavia, la disgregazione dell’URSS ha aperto una fase di costante erosione dell’ordine post-bellico, perché era inevitabile che emergessero nuove potenze globali, quali Cina, Russia, India, Giappone, Brasile, ecc.; in breve, un sistema multipolare senza governo mondiale. La politica di Trump ha mostrato che gli USA preferiscono sostituire al multilateralismo il bipolarismo, un metodo che offre un vantaggio al paese più forte. Il ritorno a rapporti internazionali conflittuali continuerà in forme diverse anche con l’amministrazione Biden, perché anche nel partito democratico esistono correnti favorevoli al protezionismo e al nazionalismo.
L’Unione europea deve dunque affrontare una sfida mondiale che potrebbe avere un esito drammatico se non sarà in grado di contenere il nazionalismo delle grandi potenze. Una lotta senza quartiere per l’egemonia mondiale finirebbe per disgregare la costruzione europea. Se ogni paese europeo vorrà conservare la propria sovranità in politica estera, come auspica Macron, sarà attratto nell’orbita egemonica di questa o quella grande potenza mondiale. Per far fronte a questa sfida, l’Unione Europea deve dotarsi di una capacità effettiva di politica estera oltre a quella già esistente, come l’UEM; dunque una difesa europea (il 28° esercito europeo) e un rafforzamento del bilancio europeo, perché la politica estera richiede anche una capacità fiscale. La Commissione europea, dotata di nuovi poteri, sarà responsabile nei confronti di un Parlamento bicamerale (PE e Consiglio dei Ministri che vota a maggioranza).
Questa riforma è possibile, ma nel frattempo alcune sfide mondiali devono essere affrontate con le istituzioni esistenti. La prima è la Conferenza sul clima di Glasgow del 1-12 novembre 2021. A questo importante appuntamento l’UE si presenta come leader mondiale, grazie al lancio dello European Green Deal che – oltre ai risultati positivi conseguiti in passato (da Kyoto in poi) – rappresenta un’azione di politica estera d’avanguardia (emissioni mondiali di CO2: Cina 28%, USA 15%, EU 9%, India 7%, Giappone 3%). Il multilateralismo non potrà più essere garantito da una superpotenza egemone, ma sarà costruito gradualmente mediante la cooperazione pacifica – una global governance – tra i grandi protagonisti della politica mondiale. Tra questi, l’UE può presentarsi come potenza leader di un’avanguardia di paesi (circa un centinaio) favorevoli a un piano globale per lo sviluppo sostenibile del Pianeta. La politica della sicurezza, nel secolo XXI – il secolo dell’Antropocene – non dipende più solo dal potenziale militare di ciascuna potenza, ma dalla loro capacità di garantire un futuro sostenibile, come indicato dai Global Development Goals (ONU 2015). I governi nazionali negli scorsi decenni hanno scaricato il fardello degli aggiustamenti strutturali necessari per combattere il cambiamento climatico sulle generazioni future. Ora, i giovani di Fridays for Future e di Extinction Rebellion rivendicano un futuro sostenibile. La specie umana, come altre specie animali, potrebbe estinguersi se non si raggiungessero gli obiettivi concordati a Parigi nel 2015 (1,5° oltre il livello pre-industriale; ora stiamo superando i 2°; se questo trend non sarà arrestato alla fine del secolo la temperatura raggiungerà i 4°, con conseguenze devastanti per ogni forma di vita).
La preparazione della COP 26 di Glascow non sarà facile. Occorre che le grandi potenze mondiali accettino limiti severi. Il nuovo governo Biden ha assunto in proposito una posizione ambigua: mentre si è dichiarato a favore degli obiettivi di Parigi, lancia la proposta di un summit delle democrazie che potrebbe riproporre accenti da guerra fredda, se inteso come un’alleanza anti-cinese. Anche la politica ambientale della Cina presenta ambiguità: è positivo il suo impegno a raggiungere la neutralità nelle emissioni di CO2 entro il 2060, ma nel frattempo il governo cinese finanzia la costruzione di centrali a carbone sia in Cina (17 nuove centrali) sia al di fuori della Cina (qualche centinaio), grazie alla Belt and Road Initiative, in Turchia, Vietnam, Indonesia, Bangladesh, Egitto e Filippine. Le trattative in vista di Glasgow dovranno affrontare questi problemi. La battaglia è aperta. Se vi è la volontà, sarà possibile raggiungere l’obiettivo della neutralità di emissioni di CO2 verso la metà del secolo. Tuttavia, l’esperienza del passato suggerisce prudenza. Per quante promesse facciano i governi, senza un coordinamento vincolante su scala globale è difficile che i piani ambientali nazionali siano rispettati. La politica dello scaricabarile sulle generazioni future potrebbe continuare.
La Commissione europea è riuscita a rilanciare la coesione europea tra i 27 grazie al piano Next Generation EU, percepito dai cittadini europei come un bene pubblico europeo. Questa iniziativa ha fatto retrocedere il sovranismo nazionale negli schieramenti politici. Una proposta simile dovrebbe essere adottata in vista di Glasgow, affinché la coesione politica internazionale sia garantita da un evidente vantaggio alla cooperazione, un sovrappiù che ciascun paese dell’ONU potrà ottenere dalla sua leale partecipazione a un World Green Deal. Il piano mondiale si dovrebbe basare sull’uso dei Diritti Speciali di Prelievo (SDRs), una specie di moneta mondiale emessa dal FMI, come ha proposto il Segretario dell’ONU Guterres. A questa prima iniziativa, cruciale per la stabilità economica, si dovrebbe associare una tassa sui profitti delle imprese multinazionali per finanziare il World Green Deal. La sostenibilità mondiale diventerà effettiva solo se i paesi poveri e quelli emergenti potranno operare armoniosamente: allo sforzo di ciascun paese deve unirsi una speranza collettiva. Più aiuti allo sviluppo, al potenziamento delle energie rinnovabili e al rafforzamento della OMS, per una lotta efficace contro la pandemia, ridurranno il divario di ricchezza e di benessere tra ricchi e poveri nel mondo. Al contrario di quanto pensa Macron, l’attribuzione di poteri sovranazionali all’ONU è necessaria e possibile. È il primo passo verso un ordine post-westfaliano.
Il ritorno al multilateralismo non riguarda ovviamente solo le politiche ambientali. Esistono altri problemi cruciali, come il disarmo atomico e convenzionale, la regolazione del commercio e della finanza internazionali, il rispetto dei diritti umani, ecc. In definitiva, l’obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre i contrasti nazionalistici tra le grandi potenze mondiali per creare una global governance, un obiettivo decisivo per salvare la democrazia minacciata dal sovranismo in ogni paese.
In questo articolo ho deliberatamente evitato una discussione dottrinale sulla relazione tra i concetti di sovranità, stato e democrazia. I trattati di diritto internazionale e delle relazioni internazionali dedicano ampi capitoli a queste questioni. Ho voluto solo mostrare che si può affrontare il problema della politica estera e della sicurezza dell’Unione Europea senza ricorrere al logoro concetto di sovranità. Nel secolo dell’Antropocene, che senso ha proporre la difesa della sovranità per una nazione o per l’Europa, quando è a rischio il futuro dell’umanità? La sovranità è un concetto del pensiero politico sorto per favorire la nascita e il consolidamento degli stati nazionali. Oggi, lasciamo questo reperto archeologico in custodia ai nostalgici del passato.
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