L’insicurezza alimentare e l’urgenza di soluzioni concrete a una questione complessa

, di Claudia D’Antonio

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L'insicurezza alimentare e l'urgenza di soluzioni concrete a una questione complessa
ZeroHungerMural#2, 2C2KPhotography, flickr.com, CC BY 2.0 DEED. Zero Hunger Mural, Located on the back side of the Hampton Inn & Suites. Downtown Houston, TX. 10-24-21. Mural Artist: @dragon76art.

La questione dell’insicurezza alimentare, fino a dieci anni fa considerata di livello di preoccupazione quasi nullo, è oggi un problema concreto. I leader europei e mondiali ne parlano, anche alla COP28, ma mancano azioni specifiche.

Con l’avvento della guerra in Ucraina, inizia a serpeggiare il timore che la minaccia dell’insicurezza alimentare possa incombere anche sull’Europa. A dimostrarlo è il fatto che, da qualche anno, tale questione ha iniziato a rivestire una notevole rilevanza nel dibattito tra i leader europei.

Ma non è sempre stato così: nel 2011, infatti, Valentin Zahrnt in un documento redatto per il Centro Europeo di economia politica internazionale (ECIPE), ridicolizzava a tal punto la questione dell’insicurezza alimentare da considerarla tanto preoccupante quanto un attacco dei marziani o un’invasione di mummie killer dalle piramidi.

A distanza di poco più di un decennio tuttavia, la profezia di Zahrnt è stata ampiamente smentita da eventi come la pandemia di Covid 19 e la guerra in Ucraina, che hanno messo a dura prova la sicurezza alimentare globale. Questi sconvolgimenti, più che essere la causa scatenante dell’insicurezza alimentare, hanno contribuito a gettare luce su un fatto già ben noto da alcuni anni: la fragilità dei sistemi di produzione alimentare. Le catene di produzione, oltre ad essere poco diversificate, non sono in grado di far fronte a shock come conflitti e i cambiamenti climatici. In tal senso la food insecurity è il sintomo di problemi strutturali insiti nel sistema alimentare globale. Molti Paesi a basso reddito producendo beni alimentari esclusivamente per l’esportazione, non solo non sono in grado di soddisfare la domanda interna, ma si trovano anche in una condizione di estrema precarietà dal momento che dipendono quasi interamente da importazioni di beni di prima necessità da altri Paesi, come Russia e Ucraina. Se per i Paesi dell’Unione europea lo shock della guerra in Ucraina si è tradotto in un vertiginoso aumento dei prezzi, per gli stati del Sud globale esso ha contribuito a inasprire l’insicurezza alimentare. I dati forniti dal World Food Programme (WFP) sembrano confermare questa tendenza, riportando che dal 2019 al 2022 il numero delle persone che si trovano in una condizione di “fame acuta” è aumentato di 2.6 volte. Così Il numero di persone che si trovano in una situazione di insicurezza alimentare grave si attesta a 345 milioni di persone.

Inoltre, se si considera che l’insicurezza alimentare si registra in un contesto di tensioni geopolitiche, si comprende bene il fatto che essa possa rientrare tra le cause scatenanti di flussi migratori verso i Paesi del Nord globale. Di conseguenza, ci si aspetterebbe che i Paesi maggiormente interessati dalla questione migratoria, in primis quelli dell’Unione europea, giochino un ruolo cruciale nella risoluzione di tale sfida. Al momento, una delle strategie individuate in seno alle Istituzioni europee per far fronte a questa problematica - come sottolinea Francesco Petrelli, policy advisor per la sicurezza alimentare di Oxfam Italia - è stata quella dell’incremento della produzione agricola, approccio che però non contribuisce a risolvere il problema. Viene quindi spontaneo chiedersi quale possa essere la strategia da adottare per rispondere a questa sfida globale.

Appare evidente la priorità strategica rappresentata dall’elaborazione di politiche che – come si legge nel framework strategico 2022-2031 prodotto dalla FAO – siano in grado di “sviluppare soluzioni a lungo termine che affrontino le cause strutturali dell’insicurezza alimentare”. In questo stesso rapporto emerge il fatto che la sfida sia senza precedenti e che non possa essere portata a termine senza uno sforzo congiunto. Si dovrebbe pertanto mirare ad una cooperazione non solo con i Paesi fuori dai confini europei, ma anche con organizzazioni regionali e subregionali così come quelle non governative e della società civile. Solo così si potranno fare dei significativi progressi nel raggiungimento del secondo obiettivo di sviluppo sostenibile (SDG) dell’Agenda 2030, ossia quello della zero hunger, strettamente legato al concetto di food security.

La questione alimentare si è rivelata una delle questioni più rilevanti all’interno dell’agenda politica della COP28, la conferenza internazionale sul clima delle Nazioni Unite che ha luogo a Dubai e che si prefigge di giungere ad accordi diplomatici per contrastare il cambiamento climatico. In questa sede i leader politici di più di 130 Paesi hanno siglato la Dichiarazione sull’Agricoltura Sostenibile, Sistemi Alimentari Resilienti e Azione sul Clima, che rappresenta un primo passo in direzione dell’adattamento e della trasformazione dei sistemi alimentari nell’alveo di una più ampia azione sul clima. Tuttavia, per quanto sia innegabile la centralità che i sistemi alimentari hanno rivestito nelle negoziazioni, ad essere altrettanto evidente a molti esperti è il fatto che - come ha evidenziato Lim Li Ching, presidente di Ipes food del Panel internazionale di esperti sui sistemi alimentari sostenibili – “il linguaggio del testo della dichiarazione rimane troppo vago. Mancano accenni ad azioni specifiche e obiettivi misurabili”. Nella dichiarazione infatti non viene fatta né menzione a obiettivi legalmente vincolanti, né tantomeno a un impegno per l’adozione di pratiche sostenibili che potrebbero aiutare intere comunità ad adattarsi al cambiamento climatico e a diventare più resilienti.

A detta degli esperti, si è trattata quindi dell’ennesima occasione perduta per riflettere sui problemi che causano ingiustizia, vulnerabilità e cambiamenti climatici nei nostri sistemi alimentari. La COP28 fa molto riflettere sulla mancata capacità (o volontà) di rimuovere gli ostacoli che impediscono una transizione globale verso modelli di produzione alimentare resilienti in grado di assicurare la sovranità e autonomia alle comunità più svantaggiate. Ciò che rimane di questo incontro sono le promesse vuote di una politica internazionale miope e incapace di formulare delle soluzioni per far fronte a problemi complessi. Ancora una volta quindi, la sfida della garanzia di una sicurezza alimentare globale viene rimandata a latere.

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