Se l’Europa fosse un soggetto capace di esprimere una propria politica estera e di sicurezza oggi la Turchia non starebbe bombardando il nord della Siria. Nessuno si sarebbe nemmeno permesso di valutare questa opzione. Perché la questione del futuro assetto dell’area interessa anche (non solo, certo) l’Europa. Per stabilizzare un’area ad alto rischio di conflitti, per le emergenze umanitarie che ne possono derivare, per dare spazio ad un popolo, i curdi, che sta disperatamente cercando da decenni di affermare il proprio diritto all’esistenza; e lo ha fatto negli ultimi anni combattendo una battaglia altrui (che qualcuno gli ha spacciato per loro, salvo poi girarsi da un’altra parte): contro il terrorismo internazionale di Daesh.
Se l’Europa esistesse come soggetto politico, attore di politica internazionale, membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu al posto dei suoi relitti nazionali, dotato di una capacità di intervento armato, oggi forse, dopo il ritiro degli Stati Uniti, ci sarebbe l’esercito europeo a garantire una zona di pace fra Siria, Turchia, Iraq, Iran, Armenia. Solo un esercito con alle spalle una potenza nucleare può oggi ricondurre le altre potenze a più miti consigli. Le prese di posizione dei Capi di Stato e di Governo europei contro l’intervento armato della Turchia sono semplicemente patetiche. Ed anche ipocrite. Ciascuno di essi sa bene che in guerra i proclami servono solo a tener buona (o fomentare) l’opinione pubblica; quello che conta sono le bombe. Così come sa che aver delegato alla Turchia (comprandola) la gestione delle frontiere esterne verso quell’area, senza una visione strategica sul suo futuro assetto, senza uno straccio di politica migratoria e di sviluppo coerente, è stata una mossa meschina; e che ci esponeva ai ricatti di Erdogan, come egli stesso ha ventilato in queste ultime ore.
Quindi, quantomeno, che i rappresentanti politici dei paesi europei abbiano il pudore di tacere per una guerra che la loro assenza ha contribuito in maniera decisiva a consentire; lascino che il massacro dei curdi si compia, che Erdogan perfezioni la sua operazione politica interna contro il PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan), che la Turchia si prenda in carica i rifugiati che ne seguiranno (e si appresti ad un ricollocamento massiccio di popolazioni oggi sul suo suolo) naturalmente con lauti finanziamenti europei, e che Assad torni al potere in Siria per la maggior serenità di Putin e per rispettare l’accordo già raggiunto con Trump.
L’Europa ha avuto decine di occasioni e decenni interi per crescere, diventare adulta, assumersi le sue responsabilità globali, creare una politica estera unica con un unico braccio armato, rivendicando un ruolo fra le potenze mondiali. Se non lo ha mai fatto è perché, contro qualsiasi evidenza, ciascuno pensa ancora di potersi continuare a nascondere dietro l’ombrello sempre più virtuale della Nato e portare avanti una politica estera nazionale per la difesa dei propri interessi (così ridotti al lumicino, nella loro dimensione nazionale, da dover elemosinare briciole ai grandi del mondo). Possibile che non si rendano conto, gli omuncoli alla guida delle nostre celebrate democrazie, che dietro l’attacco turco ai curdi si cela la sconfitta di un’idea di Europa sovrana, capace di agire al proprio interno e sul piano globale, che a parole (quasi) tutti dicono di volere?
Ricapitolando: USA (con problemi più pressanti sul fronte cinese, rispetto ai tradizionali interessi sullo scacchiere medio-orientale) e Russia (che invece ha un costante e rinnovato, diretto, interesse strategico sull’area) hanno in mano la regia dell’area; la Turchia fa il lavoro sporco, tutelando al tempo stesso gl’interessi del governo oggi al potere (possibilmente in fretta, prima che le pressioni internazionali ed interne costringano qualche grande attore a mutare orientamento); e l’Europa paga le spese, per evitare ogni coinvolgimento diretto.
Bene. Ma che almeno paghi in silenzio, nella piena consapevolezza della propria assenza sul piano strategico e politico internazionale; senza fingere di indignarsi. Perché questo è veramente insopportabile.
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