«L’altare della libertà vacilla se cementato con il solo sangue». Con queste parole Daniel O’Connel, storico politico di Dublino, cercò di spiegare al movimento repubblicano e pro-cattolico irlandese che la violenza non avrebbe fatto prevalere moralmente (e realisticamente parlando) la loro causa nel conflitto con gli inglesi. Avrebbe fatto invece scaturire altra repressione e odio, giustificate, agli occhi dell’opinione pubblica inglese, dalla violenza compiuta dagli irlandesi stessi per far valere le proprie, oltre che giuste, rivendicazioni.
Violenza e lotta politica: due realtà che per tutta la storia della società civile si sono avvicinate e allontanate, strette e recise, odiate e amate. Il conflitto nord-irlandese, l’ultima guerra di religione d’Europa, ci può raccontare qualcosa su tutto questo.
Una giornata storica
Sabato 3 febbraio è stato un giorno storico per l’Irlanda del Nord poiché è avvenuto un importante evento sul cammino della per la sua convivenza pacifica e la tenuta democratica. Michelle O’Neill (nella foto con il Primo Ministro scozzese Humza Yousaf), leader nell’Irlanda del Nord dello storico partito repubblicano e indipendentista Sinn Féin, ha giurato come nuova Prima Ministra dell’esecutivo, raccogliendo i voti intercomunitari necessari (dei più grandi partiti, quello nazionalista e quello unionista) nella Northern Ireland Assembly, interrompendo così uno stallo politico di ben due anni dalle elezioni politiche del maggio 2022.
L’elezione di O’Neill segna un punto di svolta per la storia nord-irlandese, vedendo per la prima volta, dalla partizione del 1920 (con il Government of Ireland Act del 1920 approvato dal parlamento britannico), lo scranno più alto detenuto da una repubblicana e “nazionalista” (un po diverso dal senso continentale del termine, ma volto a significare l’orgoglio irlandese rispetto alla repressione secolare britannica).
Nel discorso di insediamento, rivolto sia tanto all’Irlanda del Nord quanto al Governo britannico, ha chiarito che “tutti i partiti dell’Assemblea si sono uniti per chiedere al Governo britannico di porre fine ai finanziamenti inadeguati e di investire adeguatamente nei servizi pubblici”. Questo aspetto è un tassello di unità, anche all’interno della diversità della composizione politica nord-irlandese, delle pretese verso Londra.
Ha continuato, rispetto anche alla sua forte identità politica dello Sinn Féin (partito marcatamente di sinistra), dicendo che “in qualità di Primo Ministro per tutti, lavorerò insieme a tutti i partiti e sindacati per difendere i servizi pubblici e investire nei lavoratori”. Dando così uno slancio progressista al Governo, solitamente e tendenzialmente moderato o conservatore.
Dopo le elezioni del 2022 tutto si era bloccato
Le elezioni nordirlandesi del 2022 videro per la prima volta il partito repubblicano Sinn Fein prevalere sull’unionista Democratic Union Party. La continuità esecutiva veniva impedita poiché la vittoria dello Sinn Fein significava che a questo sarebbe stata attribuita la poltrona del Primo Ministro fino ad allora occupata dal DUP. Anche la contrarietà degli unionisti al Protocollo sull’Irlanda del Nord siglato dal Regno Unito e dall’Unione europea in virtù della Brexit ne impediva la prosecuzione (foto).
Mediante l’Accordo del Venerdì Santo del 1998 siglato tra Regno Unito e la Repubblica d’Irlanda, con il benestare della maggior parte dei partiti irlandesi (tranne l’unionista DUP), si mise di fatto fine al secolare conflitto. I due maggiori partiti nordirlandesi delle rispettive comunità dovevano far parte del Governo esprimendo la carica di Primo Ministro (del partito arrivato primo di una delle due comunità alle elezioni) e del Vice-Primo Ministro (del partito arrivato primo nell’altra comunità).
A partire dalle elezioni del 1998, il Primo Ministro è sempre stato espressione del maggiore partito unionista nel quale convergevano protestanti e pro-UK che vantavano indubbia forza numerica. Col passare degli anni le posizioni politiche sono mutate e, nel maggio 2022, abbiamo assistito alla vittoria dei repubblicani, schieramento composto da cattolici e anti-UK molto forte nelle sei province dell’Ulster che compongono l’Irlanda del Nord. Questo schiaffo all’unionismo pro-UK ha consentito, insieme al Protocollo Regno Unito-Unione Europea, al DUP di boicottare la composizione del Governo.
Il Protocollo che aveva messo in crisi il sistema del 1998, osteggiato dal conservatore DUP, prevedeva che l’Irlanda del Nord avrebbe continuato a far parte del mercato comune europeo e sarebbe stata quindi soggetta alle stesse burocrazie e controlli doganali dei vari paesi dell’Unione nello scambio di merci con il Regno Unito. Tale decisione è stata presa per evitare di dover costruire un confine fisico con l’Irlanda, unico confine dell’Unione europea con il Regno Unito, ed evitare l’innesco di possibili conflitti violenti intracomunitari nell’Ulster.
Lo stallo si è sbloccato nelle settimane precedenti al giuramento di O’Neill, quando il DUP ha accettato di far parte del Governo, riconoscendo la vittoria dello Sinn Fein e accettando un compromesso con il Governo centrale sul Protocollo. Nello specifico è stata approvata l’introduzione di alcune misure sulla circolazione delle merci che transitano tra l’Irlanda del Nord e la Gran Bretagna (inizialmente il Protocollo regolava solo la diminuzione di controlli burocratici nello scambio di merci dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord), senza rafforzare il confine fisico con la Repubblica d’Irlanda, quindi con l’Unione europea.
Il muro di Belfast e Derry
Maggior simbolo del conflitto nord-irlandese, rimasto nella mente e nella storia della popolazione come una vera e propria cicatrice che divide due comunità, sono i muri di separazione costruiti nelle città di Belfast (foto) e di Derry. Città martiri dell’odio fanatico, religioso e politico, dove i sentimenti tragicamente si mescolano e generano violenze irreparabili. Interi quartieri cattolici (repubblicani e anti-britannici) e protestanti (unionisti e pro-britannici), vennero divisi nella stessa città per evitare violenze intracomunitarie. Un muro oltre alla sua fisicità è un simbolo, una rassegnazione al presente, che nega altre soluzioni ai problemi contingenti, che a volte solo la politica di dialogo e la comprensione dell’altro può trovare.
Belfast e Derry videro prima uno scontro intracomunitario quotidiano, saccheggi, violenze di quartiere, frasi scritte sui muri e ingiurie, per poi proseguire con scontri organizzati uno scontro organizzato con milizie, attentati e raccolta alle armi. I muri di cemento e metallo, sulla cui sommità troneggiano tiranni lunghi fili spinati, intervallati da grossi cancelli che vengono aperti di giorno e chiusi di notte, presidiati dalle forze di polizia, vennero chiamati “Peace lines”, nella mera illusione utopistica che un muro potesse veramente creare una pace solida. Le prime barriere rudimentali di separazione vennero costruite nel 1969, a seguito dei Troubles (gli scontri intracomunitari), successivamente implementate diventando ufficiali e irremovibili. Ad oggi sono ancora lì, a monito dei posteri nonostante il significato diverga tra le parti.
Radici religiose di un conflitto secolare
Alcuni storici e commentatori del conflitto nord-irlandese hanno definito lo stesso come “l’ultima guerra di religione d’Europa”, l’ultimo lembo di terra dell’europa occidentale dove sussiste e perdura un fanatismo che crea violenza e distrugge ogni tipo di dialogo (foto).
L’Atto di Unione del 1800 fuse i regni d’Irlanda e di Gran Bretagna dando origine al Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda. Ciò generò malcontenti e diverse figure cattoliche manifestarono insofferenza verso l’Atto stesso e verso le leggi britanniche del ‘600 e ‘700 che discriminavano fortemente i cattolici irlandesi rispetto agli anglicani. Una di queste figure fu il già citato Daniel O’Connel, detto “l’Emancipatore” per la sua lotta contro le discriminazioni britanniche e la mobilitazione cattolica in questo senso. O’Connell attuò una forma non-violenta di protesta nei confronti degli inglesi, perché sapeva molto bene che quando la violenza e la politica di mischiano creano danni irreparabili, anche nel perseguire le migliori delle cause.
Oggi l’Ulster, composta dalle sei storiche province, soffre ancora l’irrazionale e anacronistica suddivisione religiosa, contraria di fatto alla maggioranza della popolazione stessa, sempre più secolarizzata e poco o niente osservante. Forse l’Irlanda del Nord ci può ancora raccontare e insegnare due grandi lezioni: la violenza politica ha portato a poco o nulla e la suddivisione religiosa è un feticcio del passato inglorioso che l’Europa ha cercato di lasciarsi alle spalle.
L’Europa ha spento il fuoco della violenza
Il Referendum del giugno 2016 sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea ci raccolta tra le altre cose di come l’Europa ha contribuito, per quella parte di Irlanda, a placare il fuoco della violenza intracomunitaria e la sofferenza per la non-riunificazione. Il mercato comune, l’abbattimento delle barriere doganali, il costante flusso e scambio di cittadini e la condivisione di esperienze ha portato ad un livellamento della divisione nazionale e nazionalista nell’isola verde.
Nel Referendum della Brexit il 56% dei nordirlandesi si è espresso per il “remain”, perché consapevoli dei benefici economici, sociali e politici che lo stare nell’Unione Europea, e quindi una di fatto unificazione irlandese, ha portato a tutti i cittadini (foto).
Anche questa è una lezione che i vari sovranisti e nazionalisti continentali devono dovrennero imparare: un conflitto secolare generato da storiche contrapposizioni, può essere annientato dal consolidamento dell’Unione europea, generando così prospettive di pace e convivenza.
La riunificazione irlandese non è impossibile, difficile sì, ma non impossibile
Con il giuramento di O’Neill e le vittorie elettorali dei repubblicani in Irlanda del Nord e nella Repubblica d’Irlanda, sembra che la tanto attesa riunificazione irlandese sia, come ha detto in conferenza stampa Mary Lou McDonald, leader dello Sinn Fein nella Repubblica d’Irlanda, “a portata di mano” (foto).
Ovviamente le resistenza a tale prospettiva ci sono e sono tante: il primis dal governo britannico, che cedendo ai repubblicani sull’indipendenza dell’Ulster potrebbe aspettarsi gli scozzesi bussare alla porta del 10 di Downing Street, ma anche gli unionisti nordirlandesi che più di una volta hanno fatto da stampella ai governi conservatori di Londra, in cambio del dogna unionista.
Dagli ultimi sondaggi non emerge con certezza la propensione all’unificazione irlandese, ma pare che la popolazione ritenga il referendum una chiarificazione della volontà popolare , mettendo la parola fine (o quasi) sulla diatriba.
Poiché la Brexit ha causato profondi ed evidenti problematiche sociali ed economiche, ha spinto numerosi nordirlandesi a prendere in considerazione l’idea della riunificazione. Ciò consentirebbe quindi - come ha detto l’ex-Taoiseach (Primo Ministro irlandese) Enda Kenny -che l’Irlanda del Nord si ricongiungesse alla UE, situazione analoga a quella vissuta dalla Germania dell’Est dopo la caduta del muro di Berlino.
Per sintetizzare infine così la “divisione” interiorizzata dal popolo dell’Ulster attraverso le parole del poeta nord-irlandese Seamus Heaney: “La mente nord-irlandese è divisa o è in uno stadio di assedio – assediata dalla Repubblica se si è protestanti, assediata dalla realtà protestante se si è cattolici – quella mente cerca modi per riformularsi, per darsi un senso, per estrarre un significato dalla confusione”.
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