Tra le posizioni che in futuro l’Unione Europea dovrà prendere in modo chiaro, se vorrà affermarsi a livello diplomatico sulla scena mondiale con un peso proporzionato all’immenso valore economico che rappresenta nell’economia globale, vi è quella su varie nazioni la cui esistenza o indipendenza è riconosciuta o meno.
La prima e forse più urgente questione a riguardo è all’interno dell’Unione stessa, con la contesa riguardante Cipro Nord. La parte settentrionale dell’isola è infatti de facto indipendente, amministrata dall’auto-proclamatasi Repubblica Turca di Cipro del Nord, una conseguenza dell’invasione turca negli anni ’70. A livello internazionale, nessun paese al mondo ad eccezione della Turchia riconosce la legittimità di Cipro Nord. Tuttavia, la realtà nel territorio è innegabile, al punto che l’UE stessa ha dovuto prendere come posizione ufficiale che l’area è fuori dal controllo di Cipro, tant’è che l’Euro stesso non ne è la valuta ufficiale. La riunificazione, soprattutto dopo l’elezione quest’anno come Presidente di Cipro Nord di Ersin Tatar, sostenitore della soluzione a due stati, sembra essere una possibilità estremamente improbabile. Nonostante ciò, l’attuale situazione non può continuare ancora a lungo, viste le complicazioni che comporta dovute ai diritti di sfruttamento di risorse naturali, al problema della cittadinanza dei cittadini di Cipro Nord (al momento considerati cittadini europei, che possono anche entrare a far parte del Parlamento Europeo) e della libera circolazione. Un riconoscimento della Repubblica Turca di Cipro del Nord potrebbe sembrare una vittoria incredibile per la Turchia, ma allo stesso tempo potrebbe anche comportare l’ingresso della stessa Repubblica nell’Unione, il ché ricondurrebbe l’intera isola cipriota all’interno dei territori europei e scongiurerebbe il rischio di annessione da parte della dittatura di Erdoğan.
Altro caso all’interno dell’Europa, ma almeno per ora al di fuori dei confini dell’Unione, è quello del Kosovo, per il quale la posizione delle istituzioni europee è stata piuttosto chiara, seppur limitata dalle restrizioni politiche imposte dagli Stati Membri. Infatti, solo cinque nazioni (Grecia, Slovacchia, Cipro, Romania e, in particolare, Spagna) all’interno dell’UE non hanno riconosciuto la dichiarazione d’indipendenza di Pristina del 2008. Nonostante ciò, il Parlamento Europeo ha espresso in più occasioni “inviti” a riconoscere l’indipendenza della possibile neo-nazione balcanica. Queste espressioni più o meno chiare in favore del Kosovo però sono in aperta contraddizione con il processo che dovrebbe portare la Serbia, il paese da cui il Kosovo vorrebbe staccarsi, a divenire parte dell’Unione nei prossimi anni. Già è stata posta la domanda se il riconoscimento della proclamazione del 2008 fosse un presupposto per l’accesso per la Serbia, con risposte negative. Rimane da chiarire però quale possa essere la posizione dei singoli paesi membri che hanno trattato il Kosovo da nazione indipendente negli ultimi dodici anni, una volta che si ritroveranno a sedere allo stesso tavolo con chi la impedisce.
Tra i paesi della cui autonomia si dibatte da decenni, il caso più famoso è forse quello della Palestina, sul cui riconoscimento i Paesi Membri sono totalmente divisi, con alcuni come la Svezia che già trattano la Palestina da nazione indipendente, altri come la Francia che sono aperti alla possibilità e i rimanenti che invece sono contrari, come la Germania. Quanto all’Unione e ai suoi organi, le posizioni sono rimaste sempre vaghe, per quanto nel 2014 il Parlamento Europeo abbia approvato una risoluzione che riconosceva la soluzione a due stati come la via da perseguire. Oltre a questo, dal 1994 l’UE e i suoi Membri hanno sostenuto le popolazioni palestinesi con ingenti somme. Ovviamente, nella ragione di questa ambiguità nelle dichiarazioni degli organi europei pesa il rapporto non solo con Israele, ma anche e soprattutto con gli Stati Uniti. In tal senso, sarà interessante vedere se il neoeletto Biden continuerà la strategia di appoggio completo iniziata da Trump e culminata, per ora, con il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello stato giudaico.
Una situazione dove invece la posizione di una superpotenza influenza completamente i rapporti diplomatici con una regione che vorrebbe il proprio riconoscimento, senza ambiguità se non un’incredibilmente longeva pretesa di facciata, è quella di Taiwan. La nazione che occupa l’isola un tempo noto come Formosa è infatti riconosciuta solo da pochissime altre nazioni al mondo, nessuna delle quali europea (ad eccezione del Vaticano). Se però la politica della “singola Cina” è quella all’apparenza quasi unanimemente seguita, di fatto le nazioni europee e l’UE stessa trattano Taiwan come un’entità a sé stante per quanto riguarda i trattati commerciali e, in generale, la percezione in Europa è che Taiwan sia una nazione in tutto e per tutto. Basti pensare ai prodotti “made in Taiwan”. Anche in questo caso, la diplomazia statunitense sembra aver cambiato approccio negli ultimi anni, già a partire dall’amministrazione Obama, con un intensificarsi dei rapporti con le autorità dell’isola e persino con la vendita ingente di armamenti. Al momento però, questo non sembra aver avuto un impatto significativo sulla posizione dell’Unione o dei suoi paesi membri.
Infine, la situazione emersa più di recente e che ha mostrato la debolezza politica dell’UE sullo scacchiere internazionale è quella della Crimea, la quale, a differenza dei casi precedentemente trattati, non rivendica l’indipendenza di per sé, ma al contrario il passaggio da uno stato sovrano, l’Ucraina, a un altro, la Federazione Russa. Tale passaggio, avvenuto e avallato con metodi sospetti e sospettati, è di fatto divenuto realtà, sebbene l’Unione tramite i suoi organi e i suoi Stati Membri abbia ripetutamente rifiutato di riconoscerne la legittimità e deciso di imporre sanzioni alla Russia.
Nel complesso, guardando a come l’UE si è posta nei confronti di queste nazioni, è possibile vedere emergere una serie di debolezze nella propria politica estera: la divisione degli Stati Membri sulla posizione da prendere, l’insicurezza nel controbattere alle altre potenze mondiali, l’inefficacia dei propri provvedimenti. Nel processo di integrazione e di crescita dell’Unione, una politica più decisa ed efficace in situazioni come quelle legate alla creazione di nuove nazioni e confini è una necessità, anche per affrontare quelle che saranno le inevitabili tentate secessioni nei prossimi decenni all’interno degli stessi Stati Membri.
Segui i commenti: |