LA CRISI DELLA POLITICA E LA SINDROME DI AGILULFO

, di Marco Zecchinelli

LA CRISI DELLA POLITICA E LA SINDROME DI AGILULFO

Il governo compie 60 giorni e la storia del cavalier Agilulfo festeggia 60 anni: è una coincidenza ghiotta per riflettere sullo stato delle cose, in Italia e in Europa. Ma chi era Agilulfo, si chiederanno i troppi che non hanno letto Italo Calvino? Per chi non ha mai aperto “Il cavaliere inesistente” Agilulfo era un paladino, tenuto in vita da una corazza scintillante e da un maniacale rispetto del cerimoniale cavalleresco: alzando il suo elmo si scopriva che in realtà non c’era nessuno dentro la corazza. Quando uscì il libro, la critica vide in lui l’alter ego dell’uomo contemporaneo, burocratizzato, incapace di gesti fuori dagli schemi previsti, l’evidente antenato di un robot (o di un algoritmo, si direbbe oggi).

Credo di poter dire che oggi Agilulfo sia diventato il simbolo di qualcosa di più grave dell’alienazione del travet, di qualcosa che Calvino non poteva certo immaginare: il suo cavaliere inesistente rappresenta la crisi della politica contemporanea. Guardando infatti l’agitazione perenne dei protagonisti della scena italiana, il loro battibecco continuo, la loro ricerca di visibilità e consenso, dietro la scintillante concretezza delle loro parole d’ordine (tasse, lotta all’evasione, pensioni, voti) si intravede il vuoto della politica.

Perché è a questo che ci siamo ridotti: a scambiare per politica quello che è la negazione della politica. Politica non è vincere (o perdere) le elezioni, non è proporre (o contrastare) leggi, non è – in un senso più generale – gestire (o tentare di limitare) il potere. Quelli di cui siamo abituati a discutere, semmai, sono alcuni dei possibili strumenti della politica. La politica è invece avere una visione che riguardi il mondo, immaginare un futuro possibile, capire quali sono i passi per arrivarci, portando con sé una buona fetta di cittadini che continuino a spingere verso quel traguardo, anche quando chi ha dato il via non c’è più o non ha le forze per guidare il processo che ha innescato. Politica è progettualità. È dare senso alle regole, senza farne un feticcio, e creare spazi per vedere se siano ancora valide o se vadano cambiate. È saper ascoltare le domande, soprattutto quelle inespresse, è dare a quelle domande una forma riconoscibile per chi le ha poste e proporre una risposta credibile. È un lavoro spesso sotterraneo, faticoso, che richiede grande fiducia negli altri e la capacità di rialzarsi dopo ogni sconfitta. Sono cose che non derivano (di norma) dalle qualità personali di un politico, ma dalla sua convinzione che quello che sta facendo sia degno del suo impegno civile. Cercando questa politica non se ne vede traccia, almeno sulla scena italiana.

Volgendo lo sguardo all’Europa, cosa vediamo? Come siamo passati dall’essere lo Stato membro dell’Unione Europea più favorevole all’integrazione a quello più scettico e arrabbiato? E perché in tutta l’Unione siamo arrivati ad avere paura che i sovranisti (che dieci anni fa quasi non esistevano) potessero ottenere risultati straordinari alle ultime elezioni? Credo sia evidente. Abbiamo lasciato che il progetto di unificazione, pieno di tensione verso il futuro, venisse sostituito dalla grigia e burocratica gestione dell’esistente: un’Unione Europea in queste condizioni era a malapena capace di stare in piedi in una situazione ottimale ed è impossibile che affronti in modo adeguato le crisi epocali e le sfide globali degli ultimi dieci anni, che mettono in gioco pace, benessere e libertà.

Di nuovo, il problema è stato l’aver trasformato le regole in un feticcio privo di anima: la sindrome di Agilulfo appunto. Le fake news ovviamente esistono, e sono uno degli elementi dei progetti di destabilizzazione (esterni e interni) delle democrazie liberali: ma da sole non avrebbero avuto la penetrazione devastante che l’assenza di politica ha permesso. La situazione generale è ormai a un punto di non ritorno: Putin e Trump sanno che le loro ricette di chiusura e scontro sono un’alternativa sempre più appetibile per chi, come i cittadini europei, vive da troppo tempo nella forma senza più sostanza che sono diventate le nostre democrazie.

Serve che qualcuno qui in Europa trovi al più presto il coraggio di scuoterci dal nostro torpore, e la capacità di trascinarci dietro di sé per realizzare i nostri sogni, che dovremo saper trasformare in progetti. Senza fare di chi guida un leader indiscusso, ma senza nemmeno perdere troppo tempo a contestare ogni passo fuori dal sentiero: tenendo fermo l’obiettivo, mettiamo in conto qualche inciampo e partiamo. Per non fare la fine di Agilulfo, e per essere all’altezza di noi stessi.

Articolo pubblicato sulla rivista «Strade».

Fonte immagine: Flickr.

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