La Formula E può aiutare l’Europa?

, di Jérôme Flury, tradotto da Giulia Zappaterra

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La Formula E può aiutare l'Europa?
I bolidi schierati in Formula E, come questa Jaguar Racing, vengono anche esposti al grande pubblico; qui in occasione del salone dell’automobile a Bruxelles nel 2020. Immagine: peterolthof / Flickr

La posta in gioco è altissima e la pandemia non ha cambiato le carte in tavola: l’Unione europea deve ridurre le emissioni di gas a effetto serra. In qualità di gara sportiva che cerca di crescere all’ombra della F1, la Formula E trova la propria impronta e il proprio pubblico perseguendo lo stesso obiettivo: essere energeticamente pulita. Riusciranno le innovazioni che la caratterizzano a espandersi al mercato europeo dell’automobile?

Il rumore caratteristico è anche una delle più grandi fonti di critica: la Formula elettrica, meglio nota come Formula E, è diventata da diversi anni terreno di gioco non solo per i piloti, ma anche per ingegneri e industriali che sperimentano i motori elettrici. Le corse automobilistiche sono sempre state occasioni per portare a buon fine le innovazioni; per esempio, alcune tecniche sviluppate in passato sui veicoli destinati alle corse endurance sono state in seguito riprese sui modelli commerciali. La Formula E potrebbe anche aiutare i costruttori a raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

Un laboratorio a energia pulita

La Formula E sembra ormai del tutto al passo coi tempi: di fronte alle critiche ecologiste che si innalzano a ogni corsa automobilistica, le monoposto elettriche vengono spinte da motori che non emettono CO2, già dalla stagione 2014/2015. Dettaglio interessante: se pneumatici, batterie e telai sono gli stessi per tutte le scuderie, il gruppo motopropulsore, che comprende, tra gli altri, motore e trasmissione, dev’essere invece fornito da ogni fabbricante. Oltre al talento dei piloti, la chiave per ottenere la vittoria si trova quindi sotto il cofano, e più precisamente nei dettagli tecnici apportati da ogni motorista.

Una delle sfide maggiori riguarda l’autonomia della batteria e la velocità di ricarica. Si tratta di punti essenziali anche per i consumatori sul mercato, già che in Europa le vendite di veicoli elettrici sono ripartite in forte aumento dopo la quarantena. Nei primi anni, le auto partecipanti alle gare di Formula E dovevano cambiare la batteria durante la corsa, ma questo ormai non avviene più, grazie al lavoro degli ingegneri e a nuovi motori altamente performanti. Inoltre, la gestione della batteria rappresenta un interesse aggiunto alla corsa: saper dosare accelerazioni e frenate è una delle abilità da padroneggiare che permettono di eccellere e aggiungere un po’ di pepe ai testa a testa fra piloti.

Tra gli obiettivi promossi da questo sport motoristico si trova “la lotta contro il cambiamento climatico e i livelli mortali di inquinamento atmosferico nelle città””. È la sola disciplina delle corse ad aver ricevuto la certificazione ISO 20121, un riferimento per la categoria. “La Formula E ha integrato la sostenibilità stagione dopo stagione, esplorando nuove iniziative, impegnandosi al fianco delle comunità locali e dei fornitori, ed effettuando rigorose valutazioni d’impatto”, ha spiegato Ana Inácio, ex ispettrice SGS. Una semplice questione di greenwashing? Gli staff e le scuderie viaggiano molto tra i continenti durante la stagione, bisogna tuttavia riconoscere che la Formula E si sta impegnando, soprattutto in qualità di partner del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP).

I costruttori europei entrano in pista

La disciplina è ancora agli inizi. L’idea stessa di una gara tra automobili elettriche sarebbe nata nel 2011 da uno scambio tra il francese Jean Todt, Presidente della FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile) e lo spagnolo Alejandro Agag, ex politico e deputato europeo. In Europa, le emissioni di CO2 nel settore dei trasporti continuano ad aumentare, per questo diventano necessari cambiamenti nel campo delle automobili. L’Unione Europea ha imposto norme molto restrittive in materia di emissioni e quindi i costruttori non hanno più scelta..

Le compagnie tedesche sono particolarmente presenti sulle piste del campionato: Audi, BMW, Mercedes Benz e Porsche si sono rimboccate le maniche e si contendono le vittorie, mentre la scuderia cinese Techeetah è rifornita dal motorista francese DS e Renault ha conquistato tre titoli come miglior squadra. I risultati ottenuti dalla competizione sul piano tecnico potrebbero giovare ai veicoli di serie dei costruttori e contribuire a rafforzare la loro immagine; per esempio, BMW ha procurato le «safety car» di gara mettendo a disposizione il proprio modello i8, ibrido e ricaricabile.

Una passione crescente

Se da un lato la Formula E fatica ad allargare il proprio pubblico, la Formula 1 perde poco a poco il suo. Stagione dopo stagione, la suspence, benché ancora presente nelle squadre a metà classifica, tende a diminuire. Le scuderie più potenti conducono le danze senza lasciare che poche briciole alla concorrenza. “Gli sponsor, o partner, pronti a sborsare decine di milioni all’anno sono diventati rari, tanto più che a volte si percepisce un’immagine controversa e poco chiara della F1, in cui si mescolano prestigio e performance, sinonimo di spettacolo inaccessibile agli abitanti dei paesi ospitanti, inquinamento esacerbato e noie sulla pista per molti (tele)spettatori”, ha spiegato Bruno Camus, professore di Marketing alla Kedge Business School, su autonews.fr.

Nella Formula E, i risultati dei piloti sono meno prevedibili, e va sottolineato che, per la prima volta, il vincitore del campionato 2021 potrà godere del prestigioso titolo di “campione del mondo”, che ancora non esisteva per questa categoria. Le gare vengono disputate su circuiti urbani di grandi città, e malgrado la scarsa diffusione da parte dei media, la passione del pubblico è reale, specie nelle grandi capitali europee. “In tre anni, la Formula E ha visto raddoppiare il numero di spettatori”, afferma Bruno Camus. Ragione principale di questo successo sono le regole spesso più “ludiche” in confronto alla F1, come la “Modalità Attacco”, che si attiva quando i piloti escono dalla traiettoria di gara e transitano in una “zona di attivazione”: “come ricompensa per aver preso una corsia più lenta, potranno ottenere 35kW in più di potenza” che potranno essere utilizzati nelle gare seguenti, precisa il sito internet della Formula E.

La stagione 2019/2020, scombussolata dalla pandemia, si è conclusa con sei E-prix organizzati ad agosto nella città di Berlino. Negli ultimi anni, Parigi si è impegnata per accogliere la tappa francese del calendario e ha prolungato il contatto con Formula E Operations fino al 2022. In particolare, la città può contare sul pilota francese Jean-Éric Vergne, che ha lasciato la F1 ed è stato consacrato campione del mondo di Formula E per due volte, attirando l’interesse del pubblico. Vergne non è l’unico sportivo del continente europeo a brillare in questa disciplina, infatti anche André Lotterer e René Rast (Germania), Stoffel Vandoorne (Belgio), Nyck de Vries (Paesi Bassi) o ancora il neocampione Antonio Félix da Costa (Portogallo) sono sulla griglia di partenza.

Può l’Unione Europea contare su questi ambasciatori per accelerare nella corsa alla transizione energetica? Una cosa è certa: se la F1 si è posta l’obiettivo di emissioni zero entro il 2030, al momento la Formula E è la più “pulita” tra tutte le corse che richiedono un motore e i progressi tecnologici che vi sono stati realizzati potranno di sicuro avere un effetto positivo sulle future produzioni dei costruttori impegnati. Ora, alla Formula E non resta che imporsi sulla scena mediatica per guadagnare il rispetto acquisito dalla cugina Formula 1 nel corso di 70 anni d’esistenza. La corsa al prestigio non è una gara di velocità.

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