Sono ormai settimane che i mass media riportano la massiccia presenza di militari russi (circa 100 mila) alla frontiera tra Federazione Russa e Ucraina. Le più importanti testate internazionali parlano di “invasione imminente” nonostante le telefonate tra il Presidente russo Putin e il suo omologo statunitense Biden per cercare una soluzione alla crisi ucraina.
Ma quale l’impegno da parte dell’UE nel promettere aiuto all’Ucraina per fronteggiare l’ingombrante vicino? Per provare a capire quello che succederà, occorre analizzare brevemente quanto successo negli ultimi 30 anni.
Sin dalla sua indipendenza dall’Unione Sovietica del 1991, l’Ucraina ha sempre voluto avvicinarsi all’UE nell’ottica di divenirne uno Stato membro senza però trascurare le importanti relazioni commerciali con la Federazione Russa e altri paesi del CSI (Comunità degli Stati Indipendenti). Dopo la difficile transizione democratica, economica e sociale che ha caratterizzato i primi anni ’90, nonché la vittoria della Rivoluzione Arancione del 2004, il Paese dell’Est europeo ha ulteriormente voluto stringere rapporti sempre più consolidanti con l’UE. Soprattutto tenendo bene a mente il fallimento delle allora neonate democrazie bielorussa e russa cui aveva fatto seguito l’instaurazione di regimi autoritari.
Nel frattempo l’UE, e successivamente la NATO, si allargavano sia a tutti i Paesi ex socialisti dell’Europa Centro-Orientale che erano stati sotto l’area di influenza sovietica, sia alle tre Repubbliche Baltiche che erano parte dell’URSS. Questi Paesi hanno visto accrescere di molto il benessere dei propri cittadini grazie agli aiuti dell’UE e alle riforme interne avviate.
L’origine del conflitto in Ucraina risale al 2013-2014. Dopo una serie di riforme, la Georgia, la Moldavia e l’Ucraina avrebbero dovuto firmare un “Trattato di associazione di libero scambio con l’UE”. Georgia e Moldavia riuscirono a firmare il trattato mentre l’Ucraina non lo fece a causa di un ripensamento del Presidente ucraino Janukovyč che, nonostante sbandierasse l’eurointegrazione come uno dei punti fondamentali del suo partito (Partito delle Regioni), rifiutò la firma e accettò la proposta di un prestito della Federazione Russa che legava ancora di più i due Paesi.
La mancata firma, congiuntamente alla dilagante corruzione nel Paese e ai metodi autoritari d iJanukovyč, spinse i giovani della capitale Kyiv a uscire per le strade al grido di: “Ucraina è Europa”. Questa pacifica dimostrazione fu violentemente soppressa spingendo milioni di persone a unirsi alle manifestazioni di piazza nella capitale che culminarono (le proteste durarono dal novembre 2013 al febbraio 2014) con la fuga del Presidente verso la Russia e la morte di più di 100 persone.
Tali eventi in Ucraina sono ricordati ogni anno con il nome di “Rivoluzione della Dignità, o “EuroMaidan” (maidan, dall’ucraino “piazza”); mentre in Russia sono ancora descritti come un brutale colpo di Stato commesso da organizzazioni neofasciste e russofobe.
Ed è proprio con queste premesse che si compie, sempre nel 2014, quasi in concomitanza con le rivolte a Kyiv, l’annessione della Crimea.
Senza dilungarsi troppo sulla travagliata storia della penisola crimeana, possiamo comunque considerare che quest’ultima ha vissuto con certo distacco gli eventi avvenuti durante la rivoluzione. Inoltre, le paure della popolazione etnicamente russa della penisola (54%) venivano alimentate da canali di propaganda russi. Putin decise di invadere la Crimea con un’operazione militare nella quale i soldati non mostravano insigne dell’esercito ufficiale fingendosi forze di autodifesa locali della Crimea. Gli stessi militari, dopo la presa del Parlamento della Repubblica autonoma di Crimea, costrinsero i deputati a votare l’indipendenza dall’Ucraina senza nemmeno raggiungere il quorum. Nel giro di poche settimane si svolse un “referendum farsa” con il quale si decideva in definitiva l’annessione della Crimea alla Federazione russa violando non soltanto la Costituzione ucraina, ma altresì quella russa.
Tale atto unilaterale non fu riconosciuto dall’UE e dalla Comunità internazionale e la Russia venne espulsa dal G8.
Putin, vedendo l’Ucraina paralizzata e l’Occidente incapace di reagire, inviò gli agenti che avevano partecipato all’annessione della Crimea nelle regioni di Donestk, Luhansk, Kharkiv e Odesa. Questi occuparono insieme ad alcuni collaborazionisti locali gli edifici del potere regionale e comunale.
L’Ucraina non poteva più stare a guardare e riuscì, con grande successo, a ristabilire l’ordine nella maggior parte delle regioni occupate. La situazione nel Donbas (area geografica comprendente parti della regione di Luhansk e Donetsk) invece si faceva sempre più tesa e complicata. I collaborazionisti, forti del sostegno della Russia in campo economico e sociale, organizzarono un referendum farsa sul principio di quello avvenuto in Crimea dando vita a entità parastatali e terroristiche chiamate: Repubbliche popolari di Luhansk e Donetsk (RPL E DPL).
In Ucraina nel frattempo si eleggeva il nuovo Presidente Porošenko che, dopo aver proposto un piano di pace rifiutato dai collaborazionisti russi, si ritrovò costretto a usare la forza per un intervento nelle regioni ucraine occupate. Una a una le città dei territori invasi venivano liberate: Sloviansk, Kramatorsk, Mariupol tra le più importanti. Con la sconfitta definitiva dei collaborazionisti, la Federazione Russa decise di intervenire direttamente inviando carri armati e uomini. Durante gli scontri tra gli eserciti russo e ucraino, le cancellerie europee si misero al lavoro per fermare la carneficina. Minsk fu la capitale scelta per le trattative, con grande gioia del presidente bielorusso Lukašėnka che vide un allentamento temporaneo delle sanzioni nei suoi confronti. Attualmente Lukašėnka non è riconosciuto dall’UE per aver manomesso le ultime elezioni presidenziali del 2020.
Da una parte la Cancelliera tedesca Angela Merkel, il Presidente francese Francois Hollande, il Presidente ucraino Petro Porošenko e dall’altra il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. Dalle estenuanti trattative vennero concepiti gli Accordi di Minsk: le province delle oblast di Luhansk e Donetsk, che erano in mano ai collaborazionisti della RPL E RPD, sarebbero rientrate sotto l’egida di Kyiv con dei compromessi. Restavano invariate le sanzioni contro la Federazione Russa apposte dai Paesi UE.
Dal 2014 ai giorni nostri la situazione non sembra essere cambiata. L’UE insieme ad altri Paesi dell’Occidente continuano a sanzionare la Russia. L’Ucraina prosegue le già intraprese relazioni politiche, economiche e sociali con l’UE e con la NATO.
Purtroppo, per come sono stati pensati ed elaborati, gli accordi di Minsk non possono essere attuati poiché le stesse parti in causa codificano quanto sancito in modo totalmente diverso. Se l’UE e l’Ucraina considerano la Russia, negli accordi di Minsk, parte del conflitto, quest’ultima non si definisce tale affermando di essere uno Stato osservatore al pari di Francia e Germania. Non solo, la Russia sta anche spingendo per la legalizzazione delle organizzazioni terroristiche parastatali RPL e RPD all’interno dello Stato ucraino in modo che queste blocchino, o almeno rallentino l’ingresso dell’Ucraina nell’UE e nella NATO. L’Ucraina, dal canto suo intende realizzare le sue aspirazioni euro-atlantiche senza rinunciare alla sua integrità territoriale internazionalmente riconosciuta.
In questi anni, gli stessi attori politici che hanno sottoscritto gli Accordi di Minsk hanno perso le elezioni o si sono ritirati dalla scena politica. In Francia ora c’è Emmanuel Macron, in Germaina Olaf Scholz e in Ucraina Volodymyr Zelens’kyj. Soltanto Putin è rimasto al potere nonostante i numerosi crimini a lui imputati, primo fra tutti il noto avvelenamento con il novichok del suo più grande oppositore, Aleksej Naval’nyj.
Tornando all’interrogativo posto all’inizio in merito al ruolo giocato dall’Unione europea: la politica sanzionatoria dell’UE ha dato i suoi frutti portando l’economia russa a una stagnazione continua diminuendo in maniera decisiva il reddito pro capite dei cittadini russi. Gli aiuti all’Ucraina da parte dell’Europa hanno reso l’ex Paese sovietico sempre più legato all’Unione.
Il presidente ucraino Zelens’kyj ha chiesto più volte negli ultimi mesi che l’Ucraina potesse iniziare le trattative per ottenere la membership vera e propria senza però ottenere risposte concrete. Questa situazione porterà rammarico e frustrazione al popolo ucraino che potrebbe trasformare la sua euforia per l’adesione all’Unione europea in euro-scetticismo.
Per questo occorre che l’UE, in questa nuova fase storica, riprenda la sua azione di allargamento e integrazione soprattutto nei Paesi dei Balcani e dell’Europa Orientale. Come dimostrano le dichiarazioni del Ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, l’Ucraina cercherà di chiedere l’ingresso nell’UE insieme alla Georgia e alla Moldavia, Paesi con una situazione simile all’Ucraina per quanto riguarda l’economia e i territori occupati dalla Federazione Russa. Per quanto riguarda la massiccia presenza di militari russi al confine dell’Ucraina, questa sembrerebbe comunque non portare all’inevitabile invasione di ulteriori territori ucraini. Innanzitutto perché risulta inverosimile occupare un altro territorio ucraino senza una popolazione etnicamente russa come in Crimea e nel Donbas. Inoltre, allo stato attuale l’esercito ucraino è molto più organizzato rispetto alla situazione del 2014 e il Presidente statunitense Biden ha già dichiarato che ci saranno sanzioni mai viste in caso di invasione. L’obiettivo di Putin è di mantenere la tensione alta in modo da far valere ancora la linea dura per trattare con Stati Uniti e NATO, e per avere la garanzia che Ucraina e Georgia non entrino a far parte dell’Alleanza atlantica.
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