La libertà di stampa in Italia e oltre: intervista a Francesca De Benedetti

, di Jacopo Barbati

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La libertà di stampa in Italia e oltre: intervista a Francesca De Benedetti
Foto di congerdesign da Pixabay

La libertà è caposaldo della democrazia, anche su questo si concentra Democracy Under Pressure, campagna della JEF Europe. In che stato verte la libertà di stampa e di informazione al giorno d’oggi? Il Caporedattore del The New Federalist, Jacopo Barbati, ha intervistato a riguardo Francesca De Benedetti, giornalista di Domani.

Nella prosecuzione della campagna #DemocracyUnderPressure della JEF Europe, il Caporedattore del The New Federalist, Jacopo Barbati, ha avuto occasione di intervistare Francesca De Benedetti, giornalista di Domani, sullo stato di una delle libertà fondamentali, quella di stampa e di informazione, in Italia e non solo.

Ringrazio a nome del The New Federalist Francesca De Benedetti, giornalista di Domani, per aver accettato di rilasciarci questa intervista. Chiederei subito di introdurre il vostro lavoro, anche perché Domani è una iniziativa editoriale abbastanza recente, e ciò di cui tu, Francesca, ti occupi all’interno di questa redazione.

Francesca De Benedetti: Domani nasce in piena pandemia e la redazione inizia a incontrarsi a luglio 2020, e il primo numero risale al 15 settembre di quell’anno. Domani è un giornale con un solido editore alle spalle, ma del tutto nuovo da tanti punti di vista: anzitutto nasce con l’obiettivo di essere digital first, quindi tutti i nostri articoli vengono prima concepiti in ottica digitale. Poi ovviamente c’è anche un’edizione quotidiana stampata e una serie di spin off: dal magazine di geopolitica “Scenari” a quello dedicato alla narrativa che si chiama “Finzioni” e così via. Una delle caratteristiche del nostro giornale è anche quella di avere un solido team di inchiestisti. Alcuni di loro erano i pilastri de “L’Espresso” dei bei tempi, adesso lavorano per Domani e quindi il fatto di avere un team così solido che lavora alle inchieste ci rende, anche nel senso positivo del termine, un giornale “scomodo” e del tutto indipendente. Io mi occupo in particolare di politiche europee e di rule of law, quindi sto seguendo le risonanze europee delle questioni sulla libertà di stampa che il nostro giornale sta affrontando. E poi faccio anche parte del sindacato di redazione che è attivo su questo versante.

Un giornale “scomodo” - con accezione positiva - che di recente ha subito un evento che voi stessi avete definito “irrituale”: possiamo parlarne?

Francesca De Benedetti: Sì, diciamo che se un singolo episodio può essere un’eccezione, la ricorrenza degli attacchi sotto l’era Meloni al nostro giornale ci rende un soggetto particolarmente interessante. Ne parlavo l’altro giorno con il Segretario Generale della Federazione Europea dei Giornalisti, che si chiama Ricardo Gutiérrez, il quale mi diceva che dovremmo considerare per certi versi questi attacchi come una medaglia al valore. Il problema è che i gesti intimidatori verso un giornale, per quanto fortemente indipendente come il nostro, mandano comunque un segnale negativo a tutta la categoria. Che cosa è successo? Anzitutto a novembre abbiamo portato alla luce un tema quasi inedito, cioè quello di una prima ministra in carica che querela direttore e vicedirettore [di Domani, ndr]. E si tratta di un’attitudine che Meloni ha, poiché lo stesso tipo di querela è stata rivolta anche a figure intellettuali come quella di Roberto Saviano e nello specifico lo scorso autunno la premier ha effettuato quella che ormai in Europa va di moda chiamare SLAPP [Strategic Lawsuit Against Public Participation, ndr]; cioè una querela temeraria nei confronti del direttore Stefano Feltri e del vice direttore Emiliano Fittipaldi. Su questa azione si sono mobilitate tutte le organizzazioni per la libertà dei media, ma non è bastato. C’è stato un secondo episodio che si è svolto pochi giorni fa: il Sottosegretario Claudio Durigon, che si era già dovuto dimettere dal governo Draghi e che è stato riportato al governo da Meloni, ha effettuato una querela relativa a un articolo pubblicato dai colleghi Giovanni Tizian e Nello Trocchia, e i carabinieri si sono recati in redazione a sequestrare quello che è diventato per loro il corpo del reato, cioè il nostro articolo. In realtà l’articolo era pubblico online, per cui la Federazione Europea dei Giornalisti, Media Freedom Rapid Response e tutte le realtà che monitorano lo stato della libertà di informazione, concordano nel ritenere eccessivo, e dunque di carattere intimidatorio, questo tipo di intervento, con i carabinieri che intervengono a sequestrare l’articolo, peraltro già pubblico.

Voi avete reso pubblico questo fatto. Che reazioni ci sono state da parte della politica italiana, e non solo?

Francesca De Benedetti: Abbiamo riscontrato un’ampia solidarietà da parte del colleghi italiani a vari livelli, quindi dalla FNSI [Federazione Nazionale Stampa Italiana, ndr], dall’Ordine dei Giornalisti, da Articolo 21, dai comitati di redazione de Il Fatto Quotidiano e di Report che hanno tutti consegnato il loro supporto e la loro solidarietà, ma va detto che sul fronte della politica il governo Meloni nicchia e speriamo che in qualche modo lo risveglino dal torpore anche le iniziative che si stanno muovendo a livello europeo e su questo fronte ce ne sono davvero tante. Anzitutto segnalo che c’è un comunicato congiunto delle più importanti organizzazioni di categoria: si tratta della Federazione Europea dei Giornalisti, Article 19, Articolo 21, Osservatorio Balcani e Caucaso, International Press Institute, The Good Lobby Italia, Greenpeace Italia, la Anti-SLAPP Coalition che si chiama The Case Coalition. [1] Insomma, tutte queste realtà che si sono mobilitate hanno chiesto di ritirare queste SLAPP e possibilmente anche di riformare la legislazione relativa alla diffamazione per quello che riguarda il caso italiano; ma non basta. In realtà stiamo riscontrando solidarietà da parte di tutto l’arco progressista dell’Europarlamento. È particolarmente attiva l’eurodeputata liberale olandese Sophie in ‘t Veld che è in Parlamento ormai da vent’anni e gode della stima trasversale tutti i gruppi politici. Lei ha formalizzato all’inizio della settimana [il 13 marzo, nda] un’interrogazione in cui si rivolge alla Commissione Europea e chiede di stigmatizzare sostanzialmente gli attacchi alla libertà di stampa del governo Meloni e sollecita Bruxelles a intervenire, visto che proprio di questi tempi la Commissione europea è attiva su almeno due dossier: il Media Freedom Act e l’iniziativa anti SLAPP. Quindi Sophie in ‘t Veld chiede alla Commissione di non temere e reagire quando queste SLAPP riguardano proprio la Premier o un Governo. E anche Guy Verhofstadt, lo storico federalista, ex Premier belga e deputato liberale ha commentato il mio thread sul caso dicendo “ecco qual è il vero volto di Meloni”. Si sono sconcertati anche gli editorialisti del Financial Times come Gideon Rachman; e poi dai Verdi, dai Socialdemocratici, dalla Sinistra Europea sono arrivate reazioni, per esempio l’eurodeputata green tedesca Alexandra Geese si è mobilitata sul caso. Ci hanno espresso solidarietà la Vicepresidente Picierno, il capodelegazione [del PD al PE, ndr] Benifei e Manon Aubry, la capogruppo di The Left group in the European Parliament, proprio oggi [15 marzo, ndr] ci ha consegnato un messaggio di solidarietà, stigmatizzando quelli che lei ritiene degli attacchi, non solo la libertà dei media, ma allo stato di diritto tout court.

Come probabilmente saprai, la JEF Europe promuove questa campagna che si chiama Democracy Under Pressure ormai da diversi anni con l’obiettivo di sensibilizzare gli europei a non abbassare la guardia rispetto all’erosione degli spazi democratici che sta avvenendo in Europa. Alla luce della vostra esperienza di giornalisti d’inchiesta avete notato negli ultimi mesi o anni in Italia una erosione dello spazio democratico, andando magari anche oltre l’esperienza che avete vissuto voi in prima persona a Domani?

Francesca De Benedetti: Io da tempo monitoro l’erosione della rule of law in paesi come l’Ungheria e la Polonia e ho sempre denunciato la lentezza di intervento dell’Unione europea e adesso mi ritrovo nell’esperienza paradossale di trovare colleghi ungheresi, come per esempio la sentinella europea del Committee to Protect Journalists - che si chiama Attila Mong - che si mobilitano per noi, quindi penso che stiamo attraversando una sorta di “orbanizzazione” italiana. Ritengo che senza dubbio la rule of law sia stata erosa e, in realtà questo ovviamente esula dal caso di Domani, osservo una serie di episodi, per esempio il caso del “decreto rave” proprio all’esordio del governo Meloni il quale, se non fosse stato per le spinte a emendare quel provvedimento, avrebbe potuto costituire un concreto limite alla libertà di protesta e di manifestazione. Quindi non ci sono erosioni che riguardano solo i media, ma in generale un tentativo di erodere la potenza della società civile. Su questo c’è un trait d’union tra quello che fa Meloni e quello che si fa a livello europeo, si pensi per esempio ai tentativi di criminalizzazione delle ONG. Noi lo vediamo in Italia, dove alle ONG viene impedito di soccorrere i migranti, ma lo vediamo anche a livello europeo con la famiglia popolare europea guidata da Manfred Weber che, per esempio in reazione al Qatargate, per prima cosa ha attaccato le ONG. Non a caso Weber e Meloni stanno discutendo una alleanza tattica in vista delle Europee. Ci sono quindi assolutamente delle risonanze tra i due livelli, nazionale ed europeo.

Dato che la maggior parte delle nostre lettrici e lettori non è italiana, vorrei espandere di più il ragionamento appena fatto sulla situazione europea. Quale è l’impressione, da parte di una giornalista attenta a queste dinamiche, dopo alcuni anni in cui anche organizzazioni indipendenti come Freedom House hanno certificato un calo degli indici di valutazione democratica in quasi tutti i paesi Europei?

Francesca De Benedetti: Partiamo dall’aspetto costruttivo: io ho guidato Domani all’interno di un consorzio di nove media europei, tra i quali c’è anche, per esempio, lo storico quotidiano francese Libération, c’è Gazeta Wyborcza, c’è Balkan Insight, c’è il tedesco Tagesspiegel, l’estone Delfi, insomma, un ampio parterre di media europei all’interno di un progetto di co-produzione di contenuti su base settimanale che si chiama “European Focus” - al quale vi invito a iscrivervi perché vi arriva anche gratuitamente per e-mail come newsletter - e questo sforzo di cooperazione paneuropea serve proprio ad arginare gli assalti alla democrazia. Noi riteniamo che i media abbiano un ruolo fondamentale per coagulare le opinioni pubbliche e le società civili di fronte a un’Unione Europea che invece, da una parte si assume più poteri gestionali, dall’altra però continua ad avere delle vulnerabilità sul piano democratico. Mi è capitato, per esempio, di seguire dei temi come la mediazione per l’acquisto comune dei vaccini [contro il virus SARS-CoV-2, ndr], che sono stati gestiti in modo piuttosto opaco da parte della Commissione europea. È servita la mobilitazione degli eurodeputati e di organizzazioni come Corporate Europe Observatory - che monitora l’influenza delle lobby - per scuotere Bruxelles da questa sua attitudine all’opacità, che in seguito la difensora civica Emily O’Reilly ha proprio definito “malamministrazione”. Diciamo che il Qatargate è solo il caso più eclatante; però, affinché l’Unione europea possa godere della fiducia dei suoi cittadini è necessario che svolga un ruolo d’avanguardia sul fronte democratico. Negli ultimi anni era accaduto che in effetti la Commissione europea avesse chiuso gli occhi davanti anche alle derive orbaniane e solo di recente, con l’applicazione del meccanismo di condizionalità dello stato di diritto, si sono viste le prime reazioni; ma nel frattempo a tutti gli altri paesi è arrivato un segnale di inerzia, di inazione. Per cui abbiamo visto che quello che Orbán aveva fatto ai media [in Ungheria, ndr] poi si è esteso alla Polonia e ai Balcani: quindi quando si danno segnali di debolezza, l’effetto a cascata vale per tutti. E qui torno alla questione della libertà di informazione: proprio per questo motivo è importante dare solidarietà a Domani subito, proprio perché il pericolo non è tanto solo per noi, ma anche per tutti i media che rischiano un’attitudine di autocensura. Quello che Sophie in ‘t Veld nella sua interrogazione definisce “chilling effect”, cioè l’effetto di inibire la libertà anche degli altri, non solo la nostra.

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