La proroga della Brexit e la campagna elettorale

, di Antonio Longo

La proroga della Brexit e la campagna elettorale

La proroga della Brexit al 31 ottobre, concessa dal Consiglio Europeo, può essere valutata in tanti modi (che non mancheranno) e come soluzione che lascia aperte ipotesi politiche diverse, espresse esplicitamente o celate.

Può infatti essere considerata come una “scelta inevitabile” alla luce dei rischi di un ‘no deal’, negativo per entrambe le parti. Ma può anche essere vista come un primo passaggio auspicato da coloro che puntano, con l’allungamento dei tempi, ad un secondo referendum per rimanere nella UE. Con diverse soluzioni intermedie. La storia non è quasi mai scritta anzitempo.

Il voto inglese di tre anni fa aveva tolto ogni alibi ai governi nazionali. Questi, se volevano procedere veramente verso una ever closer union,potevano farlo, facendo avanzare l’unione bancaria (con una garanzia europea sui depositi), quella economica (con le risorse proprie in un bilancio dell’eurozona) e quella della difesa (con una qualche forma di struttura federale di comando). Ma non l’hanno fatto. Non hanno indicato agli Europei dove volevano andare, ora che non c’era più l’ostacolo inglese. Tanto meno l’hanno indicato agli Inglesi, alimentando così la loro certezza che l’Unione sarebbe restata tale e quale, soggetta a ricatti e divisioni. Sia pur con motivazioni e parole diverse, tutti i governi nazionali hanno sempre ‘giocato’ a mantenere l’impalcatura e il meccanismo decisionale intergovernativo dell’Unione.

La Brexit, finora percepita come una “crisi inglese”, da oggi rischia di diventare anche una “crisi europea”. Fino a ieri abbiamo assistito ad un moltiplicarsi di voti (contrastanti) a Westminster, a fronte di una posizione europea ferma (grazie al negoziatore della Commissione, Michel Barnier). Ora potremo assistere all’inizio di voti europei sul da farsi. È forte il rischio di divenire ostaggio delle “contorsioni” britanniche e che queste possano trasformarsi in contorsioni europee, il cui esito finale sarebbe una regressione in termini di unità.

Sarebbe questa la vera finalità della Brexit, per come l’auspicò a suo tempo Trump.

Se queste sono, al momento, solo ipotesi o preoccupazioni, quel che appare certo – salvo sorprese dell’ultima ora – è che il nuovo Parlamento si ritroverà 73 deputati inglesi, tutti o quasi euroscettici, sia pur a termine, così pare; ma certamente animati da una volontà non collaborativa (qualche amico di Farage ha già detto che ci sarà “guerriglia parlamentare continua” nel Parlamento europeo).

È ragionevole pensare che, con questo nuovo scenario, la percezione sul significato delle elezioni e sul valore del Parlamento europeo da parte dell’opinione pubblica europea non ne esca rafforzato, anzi. C’è il forte rischio che Il c.d. spitzenkandidaten process ne risulti indebolito e che ci sia una ripresa fortissima del metodo intergovernativo, a partire dalla nomina del Presidente della Commissione e della stessa Commissione.

Occorre allora, a mio avviso, rafforzare la volontà e l’azione per una politicizzazione massima della campagna elettorale. Le proposte federaliste sui nodi della crisi non mancano: un piano di sviluppo basato su risorse proprie UE, una politica migratoria europea con capacità istituzionale d’intervento sulla frontiera esterna e sul governo dei flussi, una politica di sicurezza con le prime strutture federali di una difesa europea, le riforme istituzionali, a partire dalla fine del potere di veto su fiscalità e sicurezza.

Se questi temi alimenteranno e influenzeranno la campagna elettorale, allora si può pensare che ci sarà scontro tra forze politiche su opzioni politiche diverse. È ciò che può rafforzare le istituzioni e la democrazia europea. E che può mostrare che gli Europei vogliono andare avanti comunque, che la soluzione dei problemi dipende da loro, dalle loro scelte, non da ciò che decideranno gli Inglesi (e gli altri).

“L’UE deve tornare a stringere un patto con i propri cittadini, che riguardi le speranze del loro futuro, e di quello dei loro figli, abbandonando la minaccia che fuori dalla casa europea la tempesta è forte”

Sono le conclusioni di un articolo molto bello di Stefano Rossi sulla Brexit (Lezione amara), pubblicato da L’Unità Europea, nr. 6/2018 e che invito a rileggere. Il titolo, all’epoca, s’intendeva riferito alla Gran Bretagna, ora potrebbe riferirsi anche all’Unione europea.

Fonte immagine: max pixel.

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