“España ha iniciado un nuevo ciclo político, mi momento llegará si los españoles quieren” dice Alberto Núñez Feijóo dal balcone della Calle de Génova che dal 1983 accoglie la sede del Partido Popular. La notte elettorale del 28 maggio, che ha raccolto gli scrutini di 12 comunità autonome e 8.131 municipi ha consegnato al leader dei Populares la sua prima grande vittoria da quando, 13 mesi fa, è stato designato leader della principale forza di opposizione al Governo di Pedro Sánchez. Lo scorso weekend, 17 milioni di spagnoli sono stati convocati alle urne. Sono 12 i Parlamenti autonomici che hanno visto il rinnovo della propria assemblea legislativa: Comunidad de Madrid, Comunidad Valenciana, Castilla-La Mancha, Aragón, Navarra, Extremadura, Murcia, Canarie, Baleari, Asturie, Cantabria e La Rioja. La dimensione del disastro per la sinistra di Governo è stata evidente: i socialisti hanno perso in 10 comunità su 12.
A Madrid, il trionfo del PP con maggioranza assoluta garantirà al neoeletto sindaco Almeida e alla Presidente della Comunidad, Díaz Ayuso, larga autonomia. Stesso discorso anche per la Rioja, dove il PP potrà governare senza l’appoggio di nessun’altra forza politica. In Aragona, Cantabria, Comunità Valenciana, Baleari, Murcia ed Extremadura i Populares dovranno invece chiedere l’appoggio dell’estrema destra guidata da Santiago Abascal. Pur condividendo la destra del campo politico, i termini dell’alleanza tra i due partiti non sono affatto scontati. È facile immaginare come la negoziazione per la formazione dei Governi autonomici possa dare origine a contrasti tra due partiti pur sempre concorrenti, come già accaduto a Murcia e Madrid nell’estate del 2019.
La sinistra ha perso feudi storici come quelli di Valencia, Siviglia, Valladolid, Cádiz, Palma di Maiorca. Persino a Barcellona, la sindaca uscente Ada Colau e il leader dei socialisti, Jaume Collboni, si sono posizionati dietro Xavier Trias, leader della destra catalanista. Nella sfida municipale, il PP, rispetto al 2019 ha guadagnato più di 3.000 consiglieri, il PSOE ne ha persi più di 1.500 mentre l’estrema destra di Vox ne ha guadagnati più di 1.110.
Che indicazioni possiamo trarre da questo risultato elettorale? Il PP di Feijóo fa un passo verso la Moncloa, il partito di Santiago Abascal,Vox, alleato europeo di Fratelli d’Italia, guadagna una vasta rappresentanza territoriale che fino a ora era stato uno dei limiti all’espansione della formazione. Vox ottiene rappresentanza in tutte le Comunità, triplica il numero di consiglieri, raddoppia i voti passando dagli 800.000 del 2019 a 1.600.000 e diventa partito-chiave in sei comunità autonome. Nella destra, infine, la scomparsa di Ciudadanos dai radar della politica spagnola, già consumatosi in appuntamenti elettorali precedenti, si conferma anche in questo turno, e beneficia il Partido Popular.
Il partito socialista accusa una larga e dolorosa sconfitta. Lo spazio a sinistra del PSOE precipita nella notte elettorale del 28 maggio. Podemos e Izquierda Unida, coalizzati in dieci delle dodici regioni autonome in cui si è votato, restano fuori dall’ Assemblea valenciana e madrilena, non riescono a entrare nel municipio della capitale e perdono seggi in quasi tutti i Parlamenti regionali. Se la destra di Vox e PP continua a crescere nel Paese, la sinistra tripartita di Sánchez, Yolanda Díaz e Ione Belarra subisce una sconfitta pesantissima. Lo spazio di riflessione che si apre rispetto a questa debacle dovrà innanzitutto chiarire il rapporto tra Sumar e Unidas Podemos. In un sistema elettorale che premia i partiti più votati, la corsa separata delle due formazioni rischia di risultare estremamente controproducente. Nel frattempo, nella Calle de Ferraz, sede del PSOE, subito dopo aver conosciuto il verdetto delle urne, la portavoce del partito e ministra dell’educazione, Pilar Alegría, annunciava: “Tenemos que hacer una reflexión de cara a los próximos meses”. Queste elezioni mostrano in casa PSOE un’emorragia di consensi considerevole, circa 400.000 voti in meno rispetto ai risultati di 4 anni fa, ma soprattutto una notevole perdita di potere politico negli esecutivi autonomici e municipali. In Spagna, l’aria pare cambiata. Il vento nazionalista e conservatore soffia forte sulla Moncloa. Ma il vero colpo di scena, che nessuno aveva visto arrivare, si è consumato il lunedì mattina con la conferenza stampa del premier Pedro Sánchez. Con l’ intenzione di riprendere l’iniziativa politica, mostrarsi reattivo, impedire al PP di cavalcare la narrativa della vittoria, accelerare la riflessione e il dialogo tra UP e Sumar, monetizzare la visibilità che la presidenza spagnola dell’UE gli offrirà tra due mesi, Pedro Sánchez ha deciso di sciogliere le camere e convocare nuove elezioni generali il prossimo 23 luglio. Del resto, se guardiamo alla traiettoria politica del premier socialista, questo tipo di iniziative non dovrebbe sorprenderci particolarmente. Un certo gusto per la sorpresa, spalle larghe e una considerevole dose di coraggio hanno sempre accompagnato la sua azione politica. Non gli sono mancati nel 2017, quando a 45 anni, otto mesi dopo le sue dimissioni, vinse da outsider le primarie del PSOE. Non gli sono mancati nel giugno 2018, quando dopo la mozione di censura a Mariano Rajoy, guadagnó la carica di Presidente del Governo e la difese nel doppio turno elettorale del 2019.
I primi effetti di questo contrattacco si possono facilmente incontrare sfogliando i quotidiani di ieri e oggi: l’attenzione pubblica è passata nel giro di poche ore dalla vittoria del PP alla decisione di Sánchez. Il 23 luglio si decide il futuro della Spagna e insieme a esso il futuro dell’Europa, con un pericoloso asse nazionalista tra Roma e Madrid che si profila non più timidamente all’orizzonte. Queste elezioni restano complicate per la sinistra che dovrà ritrovare la forza di mobilitare una larga fetta di elettori disillusi dall’azione legislativa. Fejióo e Abascal sembrano al momento i favoriti per conquistare la Moncloa, ma come scrive Ignacio Sánchez Cuenca sulle colonne de El Pais: “no todo està perdido para la izquierda”.
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