L’eterogeneità degli Stati membri dell’Unione europea (UE) rende complesso lo sviluppo di una strategia unitaria che possa rappresentare l’UE nel suo insieme. Questa mancanza di coesione interna compromette l’instaurazione di relazioni chiare e armoniche con le altre potenze globali, minando anche la capacità dell’Unione di presentarsi come un attore affidabile nel sistema internazionale.
La reazione della comunità europea al lancio della Belt and Road Initiative (BRI) nel 2013 può essere considerata un ottimo esempio di mancanza di coesione interna dell’UE. In breve, la BRI può essere definita come un progetto cinese che mira ad incentivare lo sviluppo dei Paesi coinvolti e che può essere utile anche per perseguire una nuova connettività commerciale e finanziaria tra gli attori che hanno preso parte a questa iniziativa.
Connettività qui significa la realizzazione di collegamenti infrastrutturali, sia marittimi che ferroviari, principalmente tra Europa e Asia (considerata una delle rotte più inefficienti al mondo in termini di tempi e costi di trasporto), che possano migliorare le relazioni commerciali e costruire un nuovo futuro condiviso per i paesi che hanno preso parte al progetto.
Quando l’iniziativa è stata lanciata, il Presidente cinese Xi Jinping ha presentato la BRI come un progetto necessario per rafforzare l’amicizia e la cooperazione tra la Repubblica Popolare Cinese (RPC) e i Paesi dell’Eurasia, accentuando l’interesse cinese verso il multilateralismo.
Nonostante tutti i benefici che questo progetto avrebbe potuto portare in Europa, l’Unione non ha mancato di reagire in maniera ambigua, mostrando da una parte un sano interesse e dall’altra un rinnovato scetticismo sulle reali intenzioni della RPC. Inoltre, determinate azioni cinesi come l’acquisto di porti (ad esempio il porto del Pireo in Grecia), la costruzione di ponti (soprattutto nel sud-est dell’Europa) e gli investimenti nella periferia dell’UE (come in Turchia) non hanno fatto che alimentare la percezione dell’iniziativa come una minaccia piuttosto che un vantaggio per l’Unione. Al tempo stesso, se da un lato la BRI ha sollevato diverse preoccupazioni tra le Istituzioni europee, dall’altro è stata percepita positivamente dal sud Europa, che considera gli investimenti cinesi un’opportunità per ridare vita a determinati settori economici.
La debole unità europea dimostrata nei confronti di questo progetto è stata sfruttata abilmente dalle autorità cinesi, le quali hanno applicato l’antica strategia divide et impera al caso europeo, sviluppando due tecniche parallele di negoziazione: la prima rivolta alle istituzioni europee e la seconda orientata verso i singoli Stati membri.
Numerosi Stati membri europei, tra cui Italia, Grecia, Polonia e Portogallo, hanno già firmato un Memorandum of Understanding (MoU) sulla BRI con la Cina. Queste iniziative individuali portate avanti dagli Stati Membri, però, rallentano l’obiettivo dell’UE di raggiungere degli accordi con la RPC che possano beneficiare l’Unione nel suo complesso. Inoltre, la logica divide et impera adottata da Pechino non fa altro che promuovere la competizione tra i Paesi europei che sono interessati ad attrarre investimenti cinesi tramite la BRI. A causa di ciò, i tentativi di Bruxelles di riuscire a convogliare gli interessi di tutti e ventisette gli Stati membri sono sempre più vani. La comunità europea si presenta così sempre più incapace di trovare una linea di azione comune.
Naturalmente, non è solo l’influenza della Cina ad accentuare le divergenze tra i membri dell’Unione. Si può invece affermare che la mancanza di una strategia comune dell’UE possa in parte spiegare il conseguente approccio poco chiaro di Pechino nel trattare sia con l’Unione sia con i suoi Stati membri. Malgrado la strategia cinese, l’UE è sempre stata divisa internamente e elaborare un programma di maggior coesione tra i suoi Stati membri consentirebbe a Bruxelles di sviluppare una risposta più coordinata e univoca, limitando anche il potere contrattuale della Cina.
Non è un segreto che la RPC e l’UE perseguano modelli distintivi di governance e punti di vista contrastanti su temi importanti come il multilateralismo, i diritti umani e l’ambiente, ma è anche vero che la Cina complessivamente sostiene l’azione e la presenza dell’Unione nel sistema internazionale. La RPC vede da sempre la comunità europea come un potente contrappeso agli Stati Uniti (US) sia in termini economici che politici e, per questo motivo, come un partner affidabile. Il problema è che Pechino ha ancora difficoltà a dialogare con l’Unione e trova invece più facile impegnarsi in relazioni bilaterali con i suoi Stati membri.
Anche se per l’UE è ancora complesso sviluppare un piano unico che possa riassumere tutte le diverse opinioni ed esigenze dei suoi membri, gli eventi degli ultimi anni hanno chiarito che questa sarà la strategia più efficace da coltivare per avere successo. Inoltre, per mitigare la mancanza di unità di Bruxelles nei confronti della Cina, le istituzioni europee dovrebbero coinvolgere tutti gli Stati membri e i loro singoli interessi nazionali in merito alla loro China Policy. Solo così l’UE potrà finalmente iniziare a essere vista come un attore affidabile e ad essere rispettata dagli altri membri del sistema internazionale, RPC inclusa.
Da un punto di vista economico e politico, è impensabile pretendere che la Cina si adegui agli standard europei, ma l’Unione deve puntare sullo sviluppo di un vero e proprio accordo bilaterale di investimento UE-RPC che includa e tuteli gli interessi di tutti i suoi Stati membri senza eccezioni. In effetti, l’unico modo per coltivare una sana relazione con la Cina è stabilire regole chiare di cooperazione con vantaggi reciproci. Soprattutto, Bruxelles deve stabilire quali settori industriali debbano essere protetti all’interno dei confini europei, per impedire agli Stati membri di intraprendere ulteriori azioni individuali, aggirando le Istituzioni europee.
Infine, va tenuto presente che l’UE non è completamente impotente nei confronti della RPC. Certo, l’asimmetria economica e commerciale tra i due attori non è da sottovalutare, ma è anche importante ricordare che l’Unione (e non i singoli Stati Membri) è il secondo partner della Cina solo dopo gli US e questo conferisce a Bruxelles un importante potere contrattuale, che potrà essere sfruttato solo se si saprà trovare un modo per parlare con una sola voce davanti a Pechino, ma anche davanti al mondo.
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