In Europa si sta verificando una sottile ma poderosa deriva verso un conservatorismo poco allettante per chiunque non si ritenga un sostenitore del plurisecolare sistema patriarcale e del revival nazionalista in atto nell’ultimo decennio.
Sono sempre meno i partiti dichiaratamente di sinistra a detenere la maggioranza parlamentare, a fronte dell’aumento vertiginoso di partiti, movimenti e gruppi che mostrano in modo alquanto palese la propria affiliazione - o forse sarebbe più corretto dire fedeltà - a un ordine oltranzista, populista e della destra più profonda. D’altronde, in tempi di crisi, il comfort creato da figure che si stagliano sul panorama geopolitico come portatori di valori ben noti, risulta di facile digestione, se confrontata con lo shock culturale creato dalle sinistre e dai loro programmi progressisti.
Purtroppo, in Europa si sta vivendo un periodo critico da più di un ventennio, iniziato con le sanguinarie guerre jugoslave degli anni Novanta, che hanno portato alla dissoluzione del dominio titino, passando per la crisi economica e finanziaria mondiale dei cosiddetti mutui subprime del 2007 - dagli effetti devastanti per Italia, Spagna e Grecia - fino alla pandemia globale e al conflitto tra Russia e Ucraina, riaccesosi nel 2022.
La situazione ricorda parecchio tempi storici già vissuti, in particolar modo l’instabilità appartenuta ai totalitarismi di un centinaio di anni fa. Anche allora si palesava, cristallina, una situazione critica sia sul versante economico, con il crollo della borsa americana e la recessione globale degli anni Trenta del Novecento, sia geopolitico, con la fine dei grandi imperi e l’inizio dei totalitarismi a base nazionale.
Le sovrapposizioni sono molteplici e ben distinguibili a un occhio allenato. In una situazione di instabilità le masse, sconvolte e disorientate, tendono a volgere occhi e braccia verso idoli populisti, carismatici e nazionalisti. La democrazia di oggigiorno è quanto di più lontano ci sia da quanto avveniva nell’agorà del V secolo a.C. in Grecia. Dall’avvento prima di radio e televisione, verso l’aurora del XX secolo, alla nascita di World Wide Web e social media, a cavallo tra gli anni Novanta e il 2000, l’agone politico si gioca da casa con gli occhi incollati a un monitor, che sia della TV o di un PC, idolatrando il politico che grida con più forza la necessità di mettere davanti a tutto un nazionalismo totalizzante, razzista e isolazionista, molte volte avverso all’Unione europea. Basti pensare alla Lega di Matteo Salvini in Italia, a Rassemblement National di Marie Le Pen in Francia, o a Fidesz di Viktor Orbán in Ungheria.
Si tratta di un appiattimento nonché abbrutimento del piano politico a una sfida becera a chi urla più forte slogan anti-immigrazione e nazionalisti. Il risultato di questo processo è un’assoluta regressione del piano comunitario e pacifista, con un ritorno a episodi e decreti paragonabili ai dettami autocratici e autoritari tipici di totalitarismi di esattamente un secolo fa.
La narrativa arroccata su slogan e fake news girate a proprio favore per avvolgere il Paese in una dialettica volutamente isolazionistica e reazionaria è quanto di più simile all’operato che fu di Goebbels, nella Germania nazista, con il Ministero della propaganda e di Ciano, in Italia, con il Minculpop, il Ministero per la cultura popolare. Per non parlare del respingimento con annesso rimpallo di migliaia di vite umane provenienti dal Medio Oriente, o dall’Africa sub-sahariana e non, un cliché ormai tipico di quasi tutti i Paesi dell’Unione, dove si preferisce lasciare annegare centinaia di esseri umani o stivarli in campi profughi come vacche da allevamento intensivo. L’Europa è con forza permeata da un fiotto razzista che sta piano piano mettendo a rischio l’assetto comunitario del Vecchio Mondo.
A che cosa va attribuito tutto ciò? Di certo, c’entra la paura di vedersi spostati dal proprio scranno di occidentali da innovazioni, culture, società diverse, in primis in quanto non occidentali. Si corre così ai ripari e inizia il protezionismo dilagante, che avvelena le società che un tempo erano baluardi libertari. Procedendo a passo di lumaca, perché non si generino sospetti e sollevamenti popolari, il meccanismo reazionario macina leggi che si nutrono delle libertà una volta intoccabili e sputa fuori norme sempre più nazionaliste e censurali. Si pensi, ad esempio a cosa sta accadendo nell’ultimo periodo in Italia, a come le norme a tutela della libera espressione e del diritto alla manifestazione vengano piegate a favore del Governo, appallottolando e restringendo la libertà di parola, monopolizzando le reti nazionali e censurando a scopo propagandistico le testate statali.
Oltre a queste abili, scaltre e, seppur desolanti, pur sempre legali mosse restrittive, abbiamo la dimensione, più nascosta, di brogli elettorali, concussione e mescolamento di governo e criminalità organizzata.
Spostiamoci da casa nostra, il Bel Paese dove il nord è l’elemento del riciclaggio del denaro sporco delle grandi cosche del sud. Andiamo a est, in Ungheria dove Orbán è a capo del Governo da più di un decennio, apparentemente in modo legale. Ma difficile è pensare la legalità come accostata a un politico che definisce il suo Governo frutto di una “democrazia illiberale”, espressione pienamente ossimorica, se non addirittura assurda, che incarna perfettamente uno Stato autoritario impregnato di un conservatorismo nazionale euroscettico e contrario all’immigrazione.
Procediamo ancora più a oriente nel Vecchio Continente: analizziamo la Bielorussia, Paese governato da un trentennio dal politico e militare Lukašenka, il cui mandato ha preso l’avvio nell’ormai lontano 1994. Il suddetto figuro di fatto regna su di uno Stato autoritario, da molti definito dittatura. Tra questi molti, si situa anche lui in persona. Infatti, in seguito ai brogli elettorali del 2020, anno in cui di fatto avrebbe perso, e all’ampliamento dei suoi poteri tramite referendum costituzionale nel 2022, è a pieno titolo considerabile l’ultimo dittatore, almeno tra i pubblicamente dichiarati tali, d’Europa.
E torniamo in Francia dove si incontra Marine Le Pen, figlia del neofascista Jean-Marie Le Pen. Volto del partito Rassemblement National, è una personalità politica di spicco nota per il suo forte antieuropeismo e protezionismo, che condito da razzismo e quel che basta di negazionismo, le permisero di avvicinarsi in ben due occasioni - nel 2017 e nel 2022 - alla poltrona presidenziale della V Repubblica.
Analizzando così la situazione, vediamo un’Europa sempre più destrorsa, come risposta a una stabilità economica mai recuperata e un’allofobia dilagante fomentata dai gruppi estremisti di destra, i quali gridano all’usurpazione dei posti di lavoro e di abitazione da parte di migranti in realtà in cerca solo di un porto sicuro, lontano da guerre imperversanti nei loro paesi natali, carestie e disoccupazione. Vediamo anche un’Europa sconvolta dal primo conflitto caldo da decenni, quello che si sta attualmente verificando tra Russia, o meglio tra il dominio oligarchico di Vladimir Putin, e Ucraina, granaio del mondo occidentale, ormai dilaniato e ridotto all’osso dai 2 anni di guerra.
Uno scenario simile si verificava un secolo fa, con il disastro delle guerre balcaniche del 1912 e 1913, la crisi economica del 1929 e l’instabilità politica crescente. Il tutto all’epoca sfociò in una pesante deriva alla destra estremista con l’insorgere delle prime forme totalitarie di regimi dittatoriali, non solo in Italia e Germania e URSS, ma ad esempio anche in Portogallo con Salazar.
Di fronte a studenti malmenati, corpi armati sempre con più spazio e giornalisti sottoposti a una censura sempre più evidente, ci si può ben domandare verso che lido stia approdando il continente europeo: forse lo spettro della storia si è risvegliato.
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