A inizio mese di luglio i parlamentari europei hanno manifestato nei loro gruppi (Ppe, S&D, Renew Europe, Verdi/Ale, Gue/Ngl) una certa soddisfazione rispetto alla proposta del Recovery plan (piano per la ripresa) quando col ribattezzato Next Generation EU si “acclamava” il fondo da 750 miliardi di euro col quale la Commissione europea si fa responsabile emittente di una raccolta sul mercato consistente di obbligazioni “comunitarizzate” (mi si passi il termine perché “alternativo” a quelle nazionali), la più rilevante della storia europea. Stiamo parlando di un fondo legato a filo doppio sia nella proposta sia nella dinamica della trattativa comunitaria al prossimo Consiglio europeo straordinario del 17/18 luglio che vedrà al centro della discussione anche l’approvazione del quadro finanziario pluriennale (QFP) per il periodo 2021-2027. Questi titoli andranno a coprire 500 miliardi di sussidi agli Stati che - dicono oggi i parlamentari europei - “sono il minimo indispensabile per una risposta europea credibile”.
Per rendere credibile questa proposta dovrebbe essere coinvolto il parlamento, certamente, in ogni suo processo, quasi come un’assemblea di azionisti cui risponde l’aperto degli amministratori (la Commissione) perché le risorse andranno controllate sia nella modalità di spese sia nell’utilizzo dei fondi da chi garantisce i valori dello stato di diritto contenuti nei Trattati UE.
Ricapitoliamo. La prima proposta della Commissione europea sul bilancio a lungo termine dell’UE risale al 2 maggio 2018, l’allora presidenza Jucker aveva proposto (a prezzi 2018) un bilancio dotato di 1.134 miliardi di euro (1,1% Reddito Nazionale Lordo dei Paesi UE) mentre il Parlamento europeo richiedeva l’innalzamento fino a 1.314 miliardi (1,3% RNLUE) ben più consistente rispetto al “taglio” subito ad opera del Consiglio (nel 2019) di 47 miliardi (1.087 miliardi) alla proposta della Commissione.
Davanti al devastante impatto della crisi da pandemia Civid-19 la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen lancia il cuore oltre l’ostacolo e il 27 maggio 2020 arrivava a proporre un bilancio a lungo termine rinnovato dell’UE, sia nella forma sia nella sostanza. Nella forma perché la crisi economica ha comportato una reazione per la resilienza del sistema e un rilancio per la ripresa. La proposta ribatteva al Consiglio associando al QFP 2021-2027 uno strumento di emergenza, il Next Generation EU. Complessivamente quindi la Commissione prevede un bilancio settennale dell’UE pari a 1.850 miliardi così distribuiti:
- 1 100 miliardi sul bilancio a lungo termine riveduto dell’UE periodo 2021-2027
- un rafforzamento temporaneo (fino al 2024) di 750 miliardi di EUR con il fondo denominato Next Generation EU appunto.
Il 10 luglio 2020 il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha presentato la sua nuova proposta in materia di bilancio a lungo termine dell’UE e il pacchetto per la ripresa, il cosiddetto schema di negoziato. Affermazioni importanti, roboanti: “Gli obiettivi della nostra ripresa possono riassumersi in tre parole: convergenza, resilienza e trasformazione. Concretamente, occorre riparare i danni causati dalla Covid-19, riformare le nostre economie e rimodellare le nostre società.” Purtroppo, Michel rispetto alla proposta presentata il 14 febbraio scorso taglia da 1.094 a 1.067 miliardi (da 1,074% a 1,067% PNLUE) 20 miliardi in meno. Nel pacchetto presentato da Michel permangono anche i c.d. rebates, i rimborsi sul contributo al bilancio per Austria, Germania, Danimarca, Olanda e Svezia con una particolarità, cioè la quantificazione è fatta in base all’indice dei prezzi del 2020 e non del 2018, il che equivale a «gonfiare» il rimborso. Nella proposta base per le decisioni dei leader in occasione del Consiglio europeo straordinario del 17/18 luglio resta la divisione del Recovery plan: dei 750 miliardi 500 sono garanzie e 250 miliardi di prestiti, con la fetta più consistente dedicata al fondo per la ripresa e la resilienza. La proposta di Michel vuole – nelle intenzioni del proponente - stabilire un nesso reale tra il piano per la ripresa e la crisi, garantendo che il denaro sia destinato ai paesi e ai settori più colpiti dalla crisi con il 70% del fondo per la ripresa e la resilienza impegnato nel 2021 e nel 2022, secondo i criteri di assegnazione della Commissione, il 30% impegnato nel 2023, tenendo conto del calo del PIL nel 2020 e nel 2021. La dotazione totale dovrebbe essere erogata entro il 2026. Ciò implica un impegno sull’introduzione di nuove risorse proprie.
Non ci si deve nascondere davanti alla necessità di aumentare la capacità fiscale dell’UE agendo laddove è possibile anche a Trattati vigenti, perché, lo sappiamo, il TFUE all’art. 311 lascia all’Unione ha un bilancio “finanziato integralmente tramite risorse proprie” e non può ignorarsi il passaggio verso nuove forme di imposte. È il Consiglio che deve assumersi l’onere di approvare (all’unanimità, consultando il Parlamento) “nuove categorie di risorse proprie”, ma sappiamo quanto ora possa incidere sia l’urgenza sia la “visione” che sembra sorreggere (a parole, attendiamo i fatti, appunto) l’azione del Consiglio europeo, e influenzare definitivamente, le decisioni dei ministri competenti in seno al Consiglio.
L’aspetto “visionario”, a trovarlo, è nelle affermazioni di Michel: a suo avviso a partire dal 2021 potrebbe essere introdotta una nuova risorsa propria legata all’uso dei rifiuti di plastica, nella prima metà del 2021 potrebbe vedere la luce una misura di adeguamento del carbonio (sarebbe la Commissione a presentare una proposta relativa) ed entro la fine del 2021 verrebbe introdotta un’imposta sul digitale. Queste proposte si affiancano alle attività già in essere della Commissione che dovrebbe arrivare a presentare una proposta riveduta sul sistema di scambio di quote di emissione e proseguire i lavori sul progetto di un meccanismo relativo alle transazioni finanziarie. Michel presentando le sue “linee” ha parlato di “pietre miliari”. L’ultima è quella dedicata alla questione della condizionalità, con tre importanti obiettivi da raggiungere: governance, climate change e stato di diritto.
Vediamoli nei particolari:
- Il primo è legato alla presentazione di piani nazionali di riforma e resilienza, che ogni Stato membro preparerà per il periodo 2021-2023 in linea con il semestre europeo, in particolare con le raccomandazioni specifiche per paese. I piani saranno riveduti nel 2022, tenendo conto del criterio di ripartizione definitiva, e la valutazione di tali piani sarà approvata dal Consiglio, con votazione a maggioranza qualificata su proposta della Commissione.
- Il secondo riguarda i cambiamenti climatici, destinando il 30 % dei finanziamenti a progetti legati al clima. Secondo la presidenza del Consiglio europeo, “ciò è importante per le nuove generazioni europee e per le ambizioni future dell’Europa. La transizione climatica rimane la nostra priorità assoluta e la nostra ripresa deve anche concentrarsi sulla trasformazione delle nostre economie. Le spese nell’ambito del QFP e di Next Generation EU dovranno conformarsi entro il 2050 al nostro obbiettivo della neutralità climatica, come pure agli obiettivi climatici dell’UE per il 2030 e all’accordo di Parigi”.
- Il terzo è legato alla questione dello Stato di diritto e dei valori europei. Michel afferma: “Stiamo compiendo un passo fondamentale per consolidare lo Stato di diritto e i valori nel nostro progetto europeo ed è per questo che propongo di creare un legame forte tra il finanziamento e il rispetto della governance e dello Stato di diritto”.
Si era auspicata l’attivazione di procedure di infrazione con l’art. 7 del Trattato UE quindi la sospensione del diritto di voto. La Commissione è favorevole a vincolare la concessione dei fondi del bilancio al rispetto dei valori europei e quindi l’introduzione di una condizionalità per l’apertura della “borsa”. Polonia e Ungheria, stante i trascorsi, ovviamente fanno blocco d’opposizione, la c.d. minoranza di blocco (che ad oggi è di 91 voti). Per arginare la Commissione propone di introdurre un sistema di voto a maggioranza qualificata inversa nel caso della condizionalità ed alzare così la soglia di blocco (in tal caso una raccomandazione della Commissione potrà essere respinta solo se raggiunge i 255 voti). Torniamo a Michel che rinnova la posizione assunta a febbraio: “in caso di carenze relative allo Stato di diritto, laddove sia in gioco la corretta esecuzione del bilancio dell’UE, la Commissione proporrà misure correttive che dovranno essere approvate dal Consiglio a maggioranza qualificata. Inoltre, la Commissione sta preparando un meccanismo di monitoraggio dello Stato di diritto. In tale contesto, propongo alla Commissione e alla Corte dei conti di presentare una relazione sulle carenze nell’ambito dello Stato di diritto che incidono sull’esecuzione del bilancio dell’UE”. Il presidente del Consiglio europeo richiama però solo in subordine lo strumento dell’art. 7 proponendo “di aumentare i finanziamenti per i progetti relativi allo Stato di diritto e ai valori, mediante finanziamenti supplementari per la Procura europea e i programmi Giustizia e Diritti e valori, con particolare attenzione alla disinformazione e alla promozione del pluralismo dei media”.
Al prossimo Consiglio europeo straordinario dobbiamo chiedere una soluzione rapida ed efficace. Non possiamo nasconderci dietro la fronda mediatica dei c.d. Paesi frugali per dissipare un patrimonio di valori e il lavoro necessario per avviare non solo la ripresa ma per fare un salto qualitativo all’unione europea, con una vera e profonda riforma del proprio assetto istituzionale creando una capacità fiscale reale.
Il Consiglio europeo può (art. 312 TFUE) adottare all’unanimità una decisione che consente al Consiglio di deliberare a maggioranza qualificata quando adotta un regolamento per le spese incluse nel bilancio entro i limiti ovviamente delle risorse proprie. Questo faciliterebbe un doppio processo democratico nei fatti, devolvendo al Consiglio (una sorta di Camera “alta”) una maggiore (o migliore) convergenza per l’approvazione del QFP e avviare il Recovery plan ad esso connesso, dall’altra avvicinerebbe le decisioni a un percorso “senza veti” di sorta aprendo a una discussione più franca e mediata, ciò dando per acquisita – qualora non ci siano soluzioni “a ribasso” – l’approvazione da parte del Parlamento europeo (la nostra Camera “bassa”). Diversamente, appunto, il Parlamento dovrà puntare i piedi. Il TFUE consente una “forzatura” su questo (art. 314), potendo mettere alle strette il Consiglio, deliberando con la maggioranza dei membri che lo compongono, di respingere un progetto che vada contro gli indirizzi espressi fino ad oggi, e mettendo la Commissione nuovamente al centro delle proprie responsabilità (insieme al Parlamento) di presentare un nuovo bilancio. Il Consiglio potrà essere trascinato in un confronto serrato fino all’inizio del nuovo QFP 2021-2027 e portare la responsabilità politica del Consiglio europeo in dote, andando alla gestione straordinaria per dodicesimi e per capitolo di spesa. Uno scenario non auspicabile ma che potrebbe consentire, nell’emergenza, di adottare anche maggiori spese (si ribadisce necessarie) decidendo Parlamento e Consiglio secondo la procedura ordinaria (art. 322).
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