Tante sono le questioni che, non limitandosi ai confini nazionali, dovrebbero essere solidamente fronteggiate dall’Unione europea. Purtroppo, sia per il modello di governance che presenta, sia per una sottovalutazione di certi ambiti, spesso la risposta di Bruxelles si rivela fragile ed episodica, al punto da generare un’insoddisfazione nell’opinione pubblica che potrebbe avere dei risvolti tragici.
Nata per risolvere i problemi difficilmente affrontabili in maniera efficace a livello nazionale, l’Unione europea ha compiuto passi importantissimi negli ultimi settant’anni, con azioni degne di nota nel panorama geopolitico, economico e sociale. Eppure, talvolta ha deluso le aspettative, e continua a farlo tutt’ora. Se si è rivelato vero ciò che diceva Robert Schuman nel 1950, ossia che l’Europa non si sarebbe fatta tutta in una volta, ma sarebbe sorta da realizzazioni concrete, non si può negare che il grande ampliamento che l’ha portata a contare oggi 27 Stati membri e quasi 500.000 abitanti, unito al modello di governance ibrido che la caratterizza, abbia decisamente rallentato il processo decisionale volto a eliminare gli ostacoli che si pongono davanti ai propri cittadini.
Sebbene le più grandi questioni con cui si trova a fare i conti oggi siano immanenti, spesso è solo nel momento in cui queste prendono una piega allarmante che l’organizzazione agisce, e il modus operandi delle sue Istituzioni non è sempre il migliore, anzi, non è blasfemia definirlo superficiale, fragile e poco risolutivo. Dai cambiamenti climatici alle migrazioni, passando per la parità di genere, la retorica è tanta, i progetti pochi. Forse proprio per questo motivo è stata chiesta una mano alla società civile. Infatti, più o meno esplicitamente, le situazioni citate sono tutte incluse nella piattaforma programmata dalla Commissione europea per la partecipazione dei cittadini alla Conferenza sul Futuro dell’Europa, il sito futureu.europa.eu. La speranza è che vengano prese in considerazione le proposte più chiare e ambiziose, degli input ben strutturati volti a trovare delle formule risolutive sul lungo termine.
Superare i cambiamenti climatici e il degrado ambientale è una sfida che l’Europa, sull’onda delle manifestazioni di Fridays for Future iniziate nel 2019, si è prefissata di combattere con tutte le proprie forze. Gli obiettivi sono chiari: un’Unione a impatto zero entro il 2050, una crescita economica dissociata dall’uso di materiale inquinante e uno sviluppo di fonti di energia pulite, sicure e convenienti. Nei primi documenti della Commissione von der Leyen annuncianti il Green Deal europeo, la tabella di marcia appariva concreta e i ragionamenti a monte seri e approfonditi, ma alcuni inconvenienti non furono presi in considerazione; se la pandemia era imprevedibile, lo stesso non si può dire per lo storcere il naso di alcuni Stati membri in merito a determinate proposte che comprometterebbero i loro interessi economici. Siamo a un punto di non ritorno e le Istituzioni non possono permettersi di fare mezzo passo indietro, né pensare di mettere in pausa il processo volto a bloccare definitivamente l’utilizzo di combustibili fossili. Non è più pensabile che il global warming passi in secondo piano, specialmente considerato che mai prima d’ora, nella storia europea, c’è stato un così grande bisogno di pensare alla collettività e non al singolo. In merito, la voce più forte dei cittadini oggi chiede che l’abbattimento dei confini ideato nell’acquis di Schengen comprenda anche le ferrovie, essendo il treno il mezzo meno inquinante per viaggiare, e che vengano promosse e finanziate da subito fonti di energia alternativa, tra cui quella nucleare.
Sulla parità di genere la questione è ancora più complessa. Non si può trascurare il fatto che la Commissione europea si sia messa subito all’opera per dare un esempio al resto del mondo, presentando il più alto numero di commissarie nella storia dell’Unione e annunciando la volontà di raggiungere un equilibrio perfetto a tutti i livelli dirigenziali del suo personale entro la fine del 2024, nemmeno si può ignorare la commissione europarlamentare per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, attiva fin dagli albori dell’Istituzione. Ciononostante, agli atti, il progresso sul tema è parecchio limitato, basti pensare alla difficoltà nell’attuare una direttiva che prevede equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate in borsa, direttiva che trova ispirazione da alcune leggi nazionali, come l’italiana Golfo-Mosca datata 2011. L’argomento pare essere sulla bocca di tutti solo nel momento in cui scoppia un caso che ne da il, si pensi al famigerato Sofagate di aprile, alla dichiarazione del premier spagnolo Pedro Sànchez sulla piaga del maschilismo che ha portato negli ultimi anni a un numero esorbitante di femminicidi nella penisola iberica o alla recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo contro l’Italia, colpevole di aver discriminato attraverso «commenti ingiustificati» e «un linguaggio e argomenti che veicolano i pregiudizi sul ruolo delle donne che esistono nella società italiana» una «presunta» vittima di stupro. L’attenzione sui deboli diritti delle donne finisce con lo scomparire una volta che l’attenzione mediatica si sposta da un’altra parte.
Allo stesso modo viene trattato il fenomeno migratorio, altra questione che dovrebbe vedere l’Europa sempre protagonista, ma di cui questa non pare occuparsi se non in prossimità dell’estate, stagione in cui i barconi riempiono il Mediterraneo, o nello svolgersi di episodi particolari, come la vergognosa gestione dei profughi tra Croazia e Bosnia emersa lo scorso novembre. Non è più tempo, forse non lo è mai stato, per gli aggiustamenti superficiali e per gli accordi tra Paesi che spesso appaiono come un’esenzione di responsabilità, l’Unione ha il dovere di rivedere il Regolamento di Dublino, anche solo per una questione morale. Lo spazio della già citata piattaforma per la Conferenza sul Futuro dell’Europa offre un settore al serio problema delle migrazioni, presentato con lo scopo di gestirle «attraverso un sistema prevedibile, equilibrato e affidabile”. L’ignoranza del fenomeno da parte delle Istituzioni pare aver però scatenato un sentimento di diffidenza e insoddisfazione tale dal trovare nel sito, tra le più sottoscritte, proposte che mal si sposano con i valori europei: c’è chi chiede di non accettare migrazioni da Paesi non europei o non del primo mondo, chi l’espulsione immediata per gli»abusanti dell’accoglienza” e chi proprio di “fermare l’immigrazione”. Fortunatamente ci sono anche numerose persone che riconoscono l’Unione come terra di accoglienza e dignità, ma sarebbe scorretto guardare solo a queste affermazioni e non riconoscere che gli elencati nei non sono dei singoli casi, ma la prova dell’effettiva esistenza di una xenofobia che può essere eliminata solo con una seria politica migratoria e di integrazione.
Essere scettici nei confronti di un Europa che, pur conoscendo perfettamente tali questioni, si scopre incapace di dare tutto ciò che ha per risolverle, è legittimo, la soluzione non sta però nel distruggere ciò che è stato creato. L’Unione europea è l’unico organo in grado di far fronte a tali sfide, deve solamente dedicarvici con costanza, e ciò sarà difficile fin tanto che i propri processi decisionali saranno lunghi, pieni di compromessi e viziati da opposizioni degli Stati membri. Se attraverso la Conferenza sul Futuro dell’Europa si vuole determinare un’Unione più forte, è ben chiaro ciò che questa deve fare: ridisegnarsi affinché possa combattere in modo continuato, pragmatico e realista le sfide del presente, che non si limitano a quelle descritte sopra, e con ambizione e spirito di leadership verso le altre organizzazioni mondiali quelle del futuro.
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