LIBERTÀ DI STAMPA IN POLONIA: TRA INDIGNAZIONE, STANCHEZZA E INVITO ALL’AZIONE

, di Agnès Faure , tradotto da Giulia Zappaterra

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LIBERTÀ DI STAMPA IN POLONIA: TRA INDIGNAZIONE, STANCHEZZA E INVITO ALL'AZIONE
Łukasz Kohut (SLD/S&D) al Parlamento europeo a Strasburgo il 15 settembre 2021 (fonte: EP)

Ancora una volta i dibattiti dei deputati europei hanno portato all’adozione (502 voti favorevoli e 149 voti contrari, quelli dei gruppi ECR e ID) di una decisione che riguarda la degradazione dello stato di diritto in Polonia, in particolare della libertà di stampa. Sui seggi dell’emiciclo, la stanchezza regna sovrana.

Il ministro sloveno degli Affari esteri, come rappresentante del Consiglio dell’UE, di cui il suo paese detiene la presidenza nel secondo semestre del 2021, apre il dibattito sottolineando l’impatto della pandemia da Covid-19 sulla professione. La situazione sanitaria ha infatti «esacerbato numerose sfide esistenti per media e giornalisti, come il forte calo degli introiti e le diverse trasformazioni apportate dal digitale». Allo stesso tempo, «mai quanto oggi è stato così importante un sistema mediatico libero, indipendente e pluralista, per garantire che i nostri cittadini possano prendere decisioni con cognizione di causa, appoggiandosi a fonti d’informazione oggettive e diversificate». E rassicura i parlamentari sulla determinazione della presidenza slovena ad agire in questo senso.

Tra stanchezza e invito all’azione

Infatti, in seno all’emiciclo strasbughese, la stanchezza vince i deputati. «Non dovremmo tenere questi dibattiti», interviene d’improvviso Roberta Metsola, parlando a nome del PPE. «Ancora una volta, al Parlamento europeo, discutiamo dei problemi della Polonia invece di parlare del futuro», si dimostra d’accordo Sylwia Spurek (Verdi/ALE). «Sì, dobbiamo impedire la sparizione di TVN24, una delle ultime voci libere in Polonia. Ma abbiamo già provveduto lo scorso marzo a un’azione per la libertà dei media, sia in Polonia che in Ungheria e Slovenia. E se stavolta agissimo per davvero?», si scalda Lurence Farreng (Modem/Renew). «Non convinceremo nessuno, allora smettiamo di parlarne in continuazione e passiamo ai fatti», si unisce la collega Sophie in’t Veld (D66/Renew). «Sono anni che la Commissione europea è impegnata in tali dialoghi, e finora non ho visto alcun cambiamento», continua Daniel Freund (Verdi/ALE), che aggiunge: «Dal primo gennaio, con la condizionalità dello stato di diritto, disponiamo di uno strumento che sarebbe più efficace», e invita a servirsene.

«Oggi, la Commissione europea ha già fatto un primo passo presentando un suggerimento che mira a garantire in modo migliore la sicurezza dei giornalisti in Europa. Facciamo sì che ciò avvenga realmente. Il Parlamento europeo non lascerà in sospeso la questione», avvisa Tom Vandenkendelaere (CD&V/PPE).

Una sfida democratica

Un intervento europeo giudicato necessario in nome della democrazia. «Non si tratta soltanto di una questione interna della Polonia. Un attacco contro i media polacchi è un attacco contro i media europei e contro i nostri valori europei comuni», considera Jeroen Lenaers (CDA/PPE). «In greco, un giornalista si chiama dimosiográfos, ovvero qualcuno che scrive e informa le persone. La democrazia è la dimoskratía: il governo del popolo. Se un popolo o una comunità di cittadini non sono liberamente informati, non si può parlare di democrazia», ritiene Niyazi Kizilyürek (ΑΚΕA/La Gauche). «Ogni cittadino ha diritto di sapere. E nessuna autorità, nessun governo che non accorda licenze, che chiude i media o compra un giornale, non risolve il problema», rincara la dose Andrzej Halicki (PO/PPE).

Proteste dell’estrema destra

Infatti, anche se la maggior parte dei gruppi parlamentari condanna l’azione della Polonia in materia di violazione dello stato di diritto, una minoranza (ECR, ID) non è d’accordo. Questi gruppi denunciano una risoluzione «ingiusta e scorretta nei confronti della Polonia» (Jadwiga Wiśniewska - PiS - a nome del gruppo ECR) «In Polonia i media sono liberi e non sussiste il problema della libertà d’espressione», assicura la deputata polacca che lamenta «una pressione politica non autorizzata». I colleghi dell’ID denunciano una politica a «due pesi e due misure», paragonandosi con la Germania. «Le principali catene dei media in Germania sono tutte efficacemente controllate da persone nominate dal potere politico, mentre RT vede rifiutarsi una licenza televisiva. Lo stato di diritto non ammette che si proceda a due pesi e due misure», s’infiamma Gunnar Beck (AfD/ID). «Se altri paesi possono, perché noi no?», afferma Beata Mazurek (PiS/ECR) che vi legge un «trattamento della Polonia come fosse un paese di seconda classe».

Sono queste le affermazioni contro cui hanno protestato numerosi deputati. «Se un governo è arrivato al potere democraticamente non significa che tutto quello che fa è democratico», continua Katarina Barley (SPD/S&D). «Cosa vi ha fatto la Polonia democratica, europea e civile perché la detestiate al punto da portarla al disastro sulla scena internazionale, appropriarvi di sempre più istituzioni indipendenti, fermare i motori dello Stato democratico e distruggere la giovane democrazia polacca?», è arrivato a chiedersi Łukasz Kohut (SLD/S&D). «Il popolo polacco non si è lasciato imbavagliare dal regime comunista e non si lascerà imbavagliare oggi. La società polacca difenderà la libertà di espressione e la democrazia, poiché è il carattere e la caratteristica della nostra nazione. La Polonia sarà democratica e farà parte dell’Europa», promette Andrzej Halicki (PO/PPE).

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