Il tema delle case rifugio per donne vittime di violenza maschile riveste un’importanza significativa, specialmente considerando che in Italia la violenza di genere continua a essere scarsamente affrontata dai media tradizionali e la sua prevenzione una questione trascurata. In Italia, infatti, il numero di femminicidi annui è molto alto, e il ruolo delle case rifugio, un’istituzione chiave per la gestione di questa situazione già grave e delicata, passa spesso inosservato, rendendo più difficile l’accesso alle informazioni sia al pubblico generale che alle potenziali rifugiate. Inoltre, il nostro Codice Penale non identifica il femminicidio come un reato specifico; si tratta, come da articolo 575, di omicidio, non esiste una categoria separata come, invece, esiste per l’omicidio stradale. Non esiste una banca dati istituzionale dedicata ai femminicidi perché “giuridicamente” il femminicidio non esiste all’interno del nostro Codice Penale. Ma non esiste ancora neppure una definizione istituzionale di femminicidio condivisa dai 27 Paesi dell’Unione europea come sottolinea anche l’EIGE, l’Agenzia Europea per l’Uguaglianza di Genere.
8 marzo 2008: un gruppo di donne romane provenienti da movimenti per il diritto all’abitare occupa una palazzina degli anni ‘20 di proprietà di Atac, è un’ex stazione del tram ormai dismessa. Grazie alla loro collaborazione, l’edificio prende la forma di una casa, un luogo di attraversamento transfemminista per dare alle donne uno spazio per intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza. Il primo seme per la costruzione della Casa delle Donne Lucha y Siesta viene così piantato.
29 novembre 2023: ci troviamo davanti a un cancello invecchiato e una lastra con in arancione l’inscrizione: Lucha y Siesta Casa delle Donne. Superato il cancello, un ampio giardino ancora verde ci accoglie, mentre in lontananza Viola ci ha notate e ci sta venendo in contro.
Ci sediamo nei tavoli del cortile e Viola, operatrice antiviolenza, attivista e rappresentante della Casa, inizia a raccontare. “Questo posto ha assunto il nome “Casa delle Donne Lucha y Siesta”, che tradotto significa “lotta e riposo”, non solo perché ci troviamo in via Lucio Sestio, ed è stato ribaltato al femminile il nome di questo personaggio dell’antichità romana, ma soprattutto perché intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza si incardina su queste due parole. Un percorso di lotta, di risposta a meccanismi di sminuimento continuo e di oppressione che possiamo vivere anche in un ambiente che dovrebbe essere quello più sicuro, come quello domestico, dove invece viene esercitato questo tipo di violenza. Ma anche di diritto al riposo, dopo aver intrapreso questo percorso quindi è un luogo dove riprendere fiato e avere il tempo di ricostruirsi, pezzetto per pezzetto.”
Oggi, Lucha y Siesta non è solo una casa rifugio ma è anche un polo polifunzionale, un luogo di confronto e di crescita collettiva, “un canalizzatore di elaborazione culturale atta in qualche modo a contrastare la cultura della violenza di genere in nome di quella che noi definiamo la cultura del consenso”.
Entrate nell’edificio, vediamo che è composto da una cucina, una biblioteca, una sala riunioni, la sartoria e altre stanze - che non ci è stato possibile visitare - oltre a 14 posti letto. In 14 anni di attività, la Casa ha supportato circa 1.200 donne, ospitandone oltre 140 insieme a 62 minori. Secondo la convenzione di Istanbul, Roma necessiterebbe di circa 350 posti letto in casa rifugio, mentre a oggi non se ne raggiungono neanche 50.
Per richiedere supporto dalla Casa, Viola spiega che una donna deve seguire una serie di passaggi. Innanzitutto, contattare il numero 1522, attraverso il quale verrà indirizzata alla struttura più adatta alle sue esigenze e più vicina alla sua posizione. Successivamente, insieme alla equipe della casa rifugio, viene avviata una fase di colloqui di elaborazione del vissuto, durante i quali viene elaborata una strategia personalizzata per uscire dalla situazione di violenza. Questa strategia può coinvolgere diverse figure professionali, come avvocate e psicologhe, e in casi di particolare urgenza si può optare per la messa in protezione della donna.
“Sicuramente quello che riusciamo in qualche modo a portare avanti nella prima fase di richiesta di aiuto è cercare di inquadrare, attraverso una valutazione del rischio, qual è l’esigenza preminente di una persona, che non per forza deve passare per un luogo di protezione ma ha magari bisogno di supporto legale o ha bisogno di supporto per ottenere i documenti per rimanere in Italia o ha bisogno di un orientamento al lavoro per rendersi economicamente indipendente. Sono tante le cose che possono essere attivate, tutto ruota intorno ai colloqui di elaborazione del vissuto che vanno ad analizzare quelle che sono state anche le dinamiche di autocolpevolizzazione e anche di vittimizzazione secondaria da parte del mondo esterno rispetto alla situazione che si stava vivendo e che frenano fortemente le richieste di aiuto e l’intrapresa di percorsi perché essi sono processi che richiedono un livello di energia importante.”
Veniamo così introdotte all’esistenza di tre tipi principali di casa per le donne vittime di violenza: case di fuga, rifugio e semiautonome.
La casa di fuga è un luogo transitorio dove le donne possono stare al sicuro nell’attesa di ricevere un posto letto nelle case rifugio o di accoglienza, dove il livello di temporalità dell’ospitalità è molto ampio, da sei mesi a un anno, mentre nella casa di fuga si riesce a garantire ospitalità per meno di un mese. Attualmente, Lucha y Siesta è riuscita a trovare i finanziamenti per aprire un nuovo progetto “Casa di fuga” - evidenziando tramite il nome la grande necessità di trovare luoghi di protezione immediata.
“Quando una persona arriva nella casa rifugio può prendersi del tempo di riposo ed elaborazione rispetto ai passi successivi da intraprendere. Dopo questo periodo nella casa rifugio si cerca di costruire un’autonomia, anche economica, che è essenziale per emanciparsi; avviene quindi l’inserimento nelle case di semiautonomia che sono una situazione ponte tra le case rifugio e la completa autonomia.”
Le case semiautonome sono infatti degli appartamenti in cui non bisogna pagare l’affitto ma solo il vitto e le utenze, rappresentano quindi un momento per le donne per sperimentare un inizio di gestione economica delle proprie risorse, dei propri spazi e necessità. Lucha Y Siesta al momento ne gestisce due; una è un progetto avviato grazie all’intervento della Chiesa dei Valdesi che ogni anno mette a disposizione dei finanziamenti per progetti sociali, l’altra è invece un progetto sperimentale co-gestito con la cooperativa BeFree, per provare a lavorare e “rompere la competizione che si crea fra associazioni quando si parla di gare bandi eccetera”. Insieme gestiscono un appartamento che era stato messo a bando dal comune di Roma.
Oltre all’essere centro antiviolenza e casa di accoglienza per donne in percorsi di fuoriuscita dalla violenza, la Casa organizza diverse attività ed eventi ed è un polo culturale, luogo di confronto e di crescita collettiva.
Nel corso della sua attività, l’associazione ha preso anche l’impegno di promozione della cultura del consenso attraverso cineforum, presentazioni di libri, un corso di lotta queer (attivo dal 2022), un corso di ginnastica dolce – al fine di dare maggiore spazio all’importanza del corpo – e altro ancora. Tra i numerosi progetti all’interno della Casa c’è quello della sartoria, volto a promuovere il concetto di economia circolare e a fare formazione alle donne sia della Casa che non, offrendo la possibilità di imparare un mestiere e, allo stesso tempo, creare un momento di convivialità e di terapia per le partecipanti. La donna che gestisce la sartoria ci racconta che “il lavoro artigianale fa sì che si crei un momento di relazione, di scambio; mentre fai ti distacchi dai tuoi pensieri e di conseguenza è terapeutico per certe cose, per certe situazioni. Questo spazio serve anche per questo.”
Inoltre, visitando la Casa, ci è stato mostrato lo spazio Poliedro, un luogo fisico dedicato a bambini e ragazzi; nato nel 2015 come ludoteca, creato da un gruppo informale di genitori. Questo luogo, come d’altronde tutta la casa, ha un valore inestimabile per gli ospiti, soprattutto per i più piccoli: accoglie letture per bambini, spettacoli di teatro, momenti di gioco e merende creative, promuovendo così il benessere dei minori. Fino al 2017 lo spazio è stato gestito dall’associazione Freedom For Birth Rome Action Group, in seguito la gestione è passata nelle mani dell’Associazione Limen – Centro popolare di Psicologia Clinica con l’aiuto di persone e gruppi attivi nel territorio. Infatti, è interesse centrale della Casa garantire la continuità scolastica ai minori e alle minori che arrivano con le madri, con l’aiuto di una rete di solidarietà e tramite l’uso della residenza fittizia.
La stabilità della Casa delle Donne Lucha y Siesta è stata più volte minacciata da parte dell’agenzia di trasporti romana Atac. A causa di problemi finanziari, nel 2019, Atac mette all’asta alcune proprietà immobiliari inutilizzate, tra cui questa. Nell’agosto 2021, alla terza asta, la Regione Lazio, guidata dalla Giunta Zingaretti, acquisisce lo stabile. Qui viene approvata una Convenzione che riconosce, tramite un comodato d’uso di circa 19 anni, lo stabile all’Associazione Casa delle Donne Lucha y Siesta. Questa però non viene mai ratificata. “A Marzo del 2023 si è inserita una nuova Giunta a guida Rocca, che non ha mai espresso alcuna intenzione a incontrarci” ci spiega Viola. A gennaio 2023 inizia quindi un processo penale per occupazione dello stabile, dove Atac si costituisce parte civile chiedendo un risarcimento di 1.300.000€. Nell’ottobre 2023 viene revocata la Convenzione, e si vira verso lo sgombero e la ristrutturazione del luogo. “Il Comune ha espresso massima solidarietà e vicinanza nei nostri confronti, ed essendo proprietario al 51% di Atac, ha spinto l’Atac ad abbandonare il processo e ritirare la richiesta di risarcimento”. Cosa che è avvenuta il 27 novembre 2023.
Nonostante il clima teso la Casa non ha fermato le sue attività per la comunità, e a dicembre abbiamo partecipato al mercatino artigianale, dove abbiamo avuto occasione di entrare in contatto con delle persone che ci hanno raccontato la loro storia con Lucha y Siesta:
Marianna, artista sperimentale: “sono entrata in contatto con la realtà di Lucha tramite amiche, perché questa è una catena di amiche”.
Luca, apicoltore: “conosco il posto perché conosco una ragazza che lavora qui, mi ha parlato molto di Lucha y Siesta, mi piace la loro causa e quello che fanno”.
Francesco, disegnatore e musicista: “il primo pennarello me l’hanno regalato qui [...] sono venuto a fare un Dj set, poi era anche il mio compleanno e mi hanno fatto questo regalo che mi ha aperto un universo di colori [...] è stata una bella terapia”.
Il 22 gennaio 2024, finalmente, l’Associazione viene assolta nel processo penale per occupazione. Fuori dal tribunale, in un clima di festa, la presidente di Lucha y Siesta, Rachele Damiani, pronuncia “è una vittoria che appartiene a tutte e tutti, non è solo una vittoria che appartiene alla Casa delle donne Lucha y Siesta”.
Lucha y Siesta non è solo una casa di accoglienza, ma è un punto fondamentale per la comunità, di vissuti che si incontrano e intersecano, supportandosi e aiutandosi a ripartire.
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