MACRON, MONNET E SPINELLI

Quale strategia per un governo democratico europeo?

, di Guido Montani

MACRON, MONNET E SPINELLI

Il discorso, alla Sorbona, dell’allora nuovo presidente della repubblica francese, Emmanuel Macron, aveva suscitato in molti la speranza di un nuovo Piano Schuman, che aprisse la via a una riforma democratica dell’Unione dopo anni di grave crisi. Tuttavia, la risposta della Germania è stata tiepida, per non dire negativa, al contrario di quanto era avvenuto nel 1950. La recente Lettera agli europei ha mostrato la volontà di Macron di rilanciare la sua proposta, in termini nuovi, parlando direttamente agli europei. Mai un capo di stato si era rivolto ai ‘cittadini europei’ nella loro lingua, come ci si rivolge ai propri compatrioti. Eppure, di nuovo, la risposta tedesca, da parte di Annegret Kramp-Karrenbauer, l’attuale presidente della Unione Cristiano-Democratica (CDU), è deludente: si potrebbe intendere come un ennesimo rifiuto, salvo che la si interpreti come una pressione sul Presidente francese perché accetti di trasformare il seggio della Francia nel Consiglio di sicurezza dell’ONU in un seggio dell’Unione europea.

Resta il fatto che il segnale che Francia e Germania stanno inviando ai cittadini europei prima del voto del 26 maggio è sconcertante. Sembra un dialogo tra sordi. Se il vecchio motore franco-tedesco si è inceppato tanto gravemente occorre comprenderne le cause e cercare i rimedi per rimettere in moto una politica che superi il deficit democratico dell’Unione. Le divisioni tra i grandi paesi, tra i grandi e i piccoli (quelli di Visegrad, l’Olanda, i paesi baltici) e quelli apertamente sovranisti (ltalia) non faranno che accrescere lo scetticismo degli elettori verso una Unione ossificata e incapace di agire. A chi dare il proprio voto se nessuno propone un futuro credibile per la democrazia europea?

Il nucleo politico iniziale delle proposte di Macron era corretto e condivisibile: una Unione europea sovrana e democratica. Tuttavia, strada facendo, questo nucleo inziale ha preso contorni più netti e meno condivisibili. È possible un’Europa sovrana senza un governo democratico europeo che possa dialogare da pari a pari con le altre grandi potenze mondiali? Nelle proposte di Macron sembra che siano Francia e Germania ad assumere questo ruolo all’interno del Consiglio europeo, come dimostra il fatto che a Parigi si sono incontrati Macron, Merkel e Xi Jimping, con l’appendice del Presidente della Commissione europea. Inoltre, è possibile un’Europa sovrana e democratica senza un Parlamento europeo dotato di un potere di codecisione legislativa con il Consiglio dei ministri? Dalla Rivoluzione francese in poi, gli europei hanno appreso che la sovranità appartiene al popolo, il quale, in una democrazia rappresentativa, affida la sua volontà a un parlamento eletto. Ma l’attuale Parlamento europeo è tenuto al margine (non ha poteri) sulle decisioni cruciali che riguardano la politica estera e della sicurezza, la fiscalità, il bilancio e molte politiche sociali, compresa l’emigrazione. Perché Macron rifiuta la procedura dello Spitzenkandidat, che consentirebbe agli elettori di votare non solo per il proprio partito, ma anche di scegliere chi sarà il prossimo Presidente della Commissione europea?

Se si prendono in considerazione gli ultimi decenni della storia europea, in particolare quelli che vanno dalla creazione dell’Unione Economica e Monetaria (UEM) alla crisi finanziaria del 2008 sino ad oggi, si può osservare che il ruolo del Consiglio europeo, composto dai capi di stato e di governo, è profondamente mutato. Ai tempi di Giscard d’Estaing e Schmidt, di Kohl e Mitterrand, esso si limitava a fare proposte di tipo istituzionale per consentire passi avanti nel processo di unificazione. In questa fase, la Francia, il paese del Piano Schuman, ha continuato ad esercitare un primato morale, che la Germania di Adenauer e dei Cancellieri successivi le ha sempre riconosciuto. Tuttavia, nel corso della crisi finanziaria la situazione è profondamente mutata: la Germania di Angela Merkel ha preso le redini del processo decisionale e la Francia si è dovuta accontentare di seguire, perché era ormai diventato chiaro che la Germania unificata aveva il potere economico decisivo nell’UEM. La leadership tedesca ha così cercato di imporre il ‘Modell Deutschland’ di gestione dell’economia a tutti i paesi europei, compresa la Grecia, che ha dovuto accettare un’amarissima medicina per restare nell’UEM. In breve, il Consiglio europeo è diventato il governo di fatto dell’Unione europea. Il primato del metodo intergovernativo è la nuova ideologia franco-tedesca che giustifica il potere di governare l’UE.

Per comprendere quale inganno si sta tentando di far digerire ai cittadini dell’Unione, è necessario ricordare lo spirito con cui Jean Monnet, nel 1973 — in anni di grave crisi dell’integrazione europea – ha proposto al Presidente Pompidou (proposta poi adottata da Giscard d’Estaing) la riforma dei Vertici europei per la creazione di «un governo europeo provvisorio … in una fase di difficile transizione tra la sovranità nazionale e la sovranità comune» (Memoirs; 591-2). Monnet non avrebbe certo potuto immaginare quale esito avrebbe avuto la sua proposta in un’Europa a 28, dopo l’allargamento ai paesi dell’Est e il fallimento di numerosi tentativi di riformare le istituzioni. Il Consiglio europeo si è riunito ben 33 volte tra il 2010 e il 2014. Da governo provvisorio è divenuto il governo permanente dell’Unione, sottraendo così poteri esecutvi e lesislativia alla Commissione e al Parlamento europeo. Paolo Ponzano giustamente considera questa fase come «la montée en puissance du Conseil européen».

Si devono inoltre ricordare alcuni casi riguardanti uno spudorato abuso di potere del Consiglio europeo, che ha imposto decisioni al di fuori del Trattato di Lisbona, il quale stabilisce (art. 15) che il Consiglio europeo «non esercita funzioni legislative». Ebbene, nel 2010, il Consiglio europeo ha imposto alla Grecia misure per ridurre le pensioni, le giornate lavorative, il numero di impiegati pubblici, ecc., mentre non esiste nel TUE alcun appiglio per giustificare una simile interferenza nella politica interna di un paese membro. In modo analogo, il Consiglio europeo ha stipulato, nel 2016, un accordo con la Turchia per arginare il flusso dei migranti, mediante un finanziamento degli stati membri, senza chiedere lil consenso del Parlamento europeo. Recentemente, la decisione della Commissione di bloccare la fusione Alston-Siemes ha suscitato le ire del governo francese e di quello tedesco che hanno così inziato trattative per modificare i Trattati al fine di consentire ‘ai governi che lo vogliono’ di creare dei ‘giganti europei’, senza il parere della Commissione e della Corte di giustizia. Invece di affrontare la difficile questione di una riforma della WTO, confrontandosi con USA e Cina, per creare un sistema di leale concorrenza internazionale, si preferisce agire al di fuori dei Trattati.

Questa deriva intergovernativa è pericolosa, perché giustifica un potere autoritario che esautora l’Unione come stato di diritto e genera un comprensibile rigurgito sovranista, contro le prepotenze di un potere illegittimo. Il Parlamento europeo ha tentato debolmente di contrastare questa deriva proponendo una progetto quasi-federale di riforma dell’Unione. Ma in un Parlamento composto da molti deputati di paesi che ignorano le radici storiche e i valori fondanti dell’Unione, il progetto di riforma non ha avuto alcun seguito. Il Parlamento che uscirà dalla elezione del maggio prossimo avrà probabilmente una maggiore componente di deputati euroscettici e sovranisti. Questo non dovrebbe, tuttavia, impedire a un agguerrito nucleo di deputati di rilanciare una riforma democratica dell’Unione, nella consapevolezza che le sfide mondiali — dalla crisi dell’ordine internazionale post-bellico a quella ambientale incombente — costringeranno l’Unione ad agire per non venire stritolata dalla pressione invadente della grandi potenze mondiali, come vorrebbe il nazionalismo disgregante.

Dopo la prima elezione europea del 1979, Spinelli ha radunato un piccolo numero di deputati europei per proporre loro una lotta per una Costituzione federale. Spinelli aveva una strategia costituente: sapeva che la Costituzione sarebbe giunta alla fine di una lotta, a patto che il piccolo nucleo di deputati si allargasse sino a diventare una forza sufficiente per imporre la proposta del PE ai governi europei. Oggi, nel Trattato di Lisbona esistono molti appigli per avviare una strategia costitutente, come la possibilità che il Parlamento europeo possa chiedere, quando lo vorrà, una nuova Convenzione. Ma, per giungere a questo esito, è necessario creare un gruppo costituente di deputati che condivida alcuni orientamenti cruciali. In linea di principio, si può affermare che una federazione si fonda su un parlamento bicamerale, una camera dei rappresentanti dei cittadini e una camera degli stati. Questa struttura bicamerale esiste già nell’UE: ci sono il Parlamento europeo e il Consiglio dei Ministri. Esiste tuttavia uno squilibrio di poteri tra i due organi che impedisce un reale processo di codecisione legislativa. Il Parlamento europeo è escluso da tutte le decisioni in cui il Consiglio dei Ministri conserva un diritto di veto. Se il Consiglio dei Ministri vota a maggioranza (semplice o qualificata) si realizza un equilibrio sostanziale tra le due camere e la Commissione europea diventa il naturale governo democratico dell’Unione, responsabile di fronte a un Parlamento bicamerale. Questo modello è naturalmente ultra-semplificato: vi è chi propone l’elezione diretta del Presidente della Commissione, chi l’elezione diretta del Presidente del Consiglio europeo, chi una legge elettorale per consolidare i partiti europei, ecc. Queste sono tutte questioni che dovranno essere affrontate nel corso del processo costituente. L’importante è che il processo inizi.

Una strategia costituente oggi potrebbe concentrarsi con successo su un obiettivo limitato, ma decisivo: l’abolizione del diritto di veto nazionale. Non è utile proporre subito una intelligente costituzione federale. Occorre prendere atto che occorre disgregare un apparato di potere che si è consolidato intorno al duopolio franco-tedesco. Il diritto di veto serve a questi paesi per difendere gli interessi dei loro alleati, che per la Germania sono i paesi dell’Europa centrale e quelli baltici, dove si è formata una stretta rete di interessi economici che non sempre coincidono con quelli della Francia e dei paesi mediterranei. Per sgretolare questo conglomerato di poteri si può mettere in moto una strategia costituente gradualistica, a partire dall’attacco frontale ad alcuni diritti di veto significativi, per dividere il fronte intergovernativo. A questo fine, la Commissione europea ha promosso uno studio (EPSC, A Union that Delivers) nel quale si suggerisce l’adozione della procedura delle passerelle per passare dal voto all’unanimità al voto a maggioranza. È una proposta fatta dal Presidente Juncker nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del 2018. A proposito della necessità per l’UE di parlare con una sola voce al mondo, Juncker suggerisce il metodo delle passerelle, «il tesoro sepolto» del Trattato di Lisbona. I settori a cui si può applicare il metodo delle passerelle sono molti: oltre la politca estera, le finanze e la tassazione, il mercato interno, la lotta al cambiamento climatico, le politiche sociali e l’emigrazione.

A questa proposta un giurista accademico potrebbe obiettare che poiché il voto all’unanimità è necessario per passare a quello a maggioranza, la proposta lascia il tempo che trova. L’obiezione è in parte corretta (è vero che esiste uno scoglio iniziale da superare), ma si dimentica che il Trattato di Lisbona legittima la procedura delle passerelle. Di fronte a due alternative legittime, quale adottare? Non è un problema giuridico, ma una questione di potere, tra quello che vuole conservare una UE intergovernativa e un contropotere (il Parlamento europeo) che si batte per un’Unione democratica e capace di agire. Il Parlamento europeo deve pertanto scegliere un campo d’azione in cui sia ragionevole radunare una maggioranza consistente di deputati per lanciare l’offensiva. Non è detto che si vinca subito, l’importante è cominciare a sollevare il problema nei confronti dei cittadini e dell’opinione pubblica europea, far crescere il consenso popolare per l’abolizione del veto. È l’antica strategia del divide et impera, perché alcuni deputati e alcuni governi potrebbero accettare di procedere nella direzione delle passerelle. Consideriamo il caso delle quote di ripartizione dei migranti proposte dalla Commissione e respinte dal Consiglio. Un deputato sovranista italiano farebbe fatica a opporsi a una proposta sostenuta dal suo capo in Italia. E se la proposta fosse approvata dal PE, la Commisisone dovrebbe presentarla al Consiglio, dove il governo italiano non si potrebbe più opporre al voto a maggioranza, perché verrebbe considerato un traditore degli «interessi nazionali».

Spinelli propose, nel 1950, a Strasburgo, al Consiglio dei popoli d’Europa, di adottare la via del metodo costituente, come avevano fatto gli americani a Filadelfia. È una logica che scaturisce dal Manifesto di Ventotene, da un movimento di cittadini, consapevole che devono essere i rappresentati del popolo europeo a decidere, in ultima istanza, il loro destino. Sulla base di questa strategia, Spinelli è riuscito a convincere De Gasperi a chiedere al vertice dell’Europa dei Sei di affidare alla assemblea allargata della CECA un mandato costituente. È vero che il progetto della CED è stato respinto dalla Francia e che anche il progetto di Trattato di Unione, del 1984, è stato archiviato dal Consiglio europeo. È tuttavia vero che il Trattato Spinelli è servito come ‘guida Michelin’ per tutte le riforme successive. Il MFE nel 1997 e l’UEF nel 1998 hanno lanciato la campagna per una Costituzione europea. Non abbiamo ottenuto una Costituzione, ma solo il Trattato di Lisbona, che contiene tuttavia alcune procedure di natura federale. In occasione delle elezioni europee del 2009 abbiamo così lanciato la campagna «Who is your candidate?». Non abbiamo vinto subito, ma in vista della successiva elezione del 2014, è stata accettata la proposta degli Spitzenkandidaten. Nessuna battaglia costituente è stata inutile.

Il momento è venuto per ricordare al Parlamento europeo di riprendere il ruolo di ‘Assemblea costituente permanente’, come ha invocato Willy Brandt nel 1976, annunciando la sua candidatura al Parlamento europeo. Il metodo intergovernativo ha esaurito la sua funzione. Se ne prenda atto senza contrapporre al metodo di Monnet, che si è prevalentemente rivolto ai governi nazionali, il metodo costitente di Spinelli. I due metodi sono complementari e in momenti differenti decisivi. Una Unione federale può essere costruita solo se si raggiungerà un bilanciamento, una divisione di poteri direbbe Montesquieu, tra le due camere della federazione. Ma questa bilancia tra i due poteri non cadrà dal cielo; è necessario che il Parlamento europeo avvii una chiara strategia costituente. Per accendere una lampadina, occorrono le due polarità di una pila. Se il Parlamento europeo non si batterà, la lampada della federazione resterà spenta.

Fonte immagine: Altiero Spinelli. Jean Guyaux. Strasburgo: Febbraio 1984. UNI.LU (www.cvce.eu)

Tuoi commenti
moderato a priori

Attenzione, il tuo messaggio sarà pubblicato solo dopo essere stato controllato ed approvato.

Chi sei?

Per mostrare qui il tuo avatar, registralo prima su gravatar.com (gratis e indolore). Non dimenticare di fornire il tuo indirizzo email.

Inserisci qui il tuo commento

Questo campo accetta scorciatoie SPIP {{gras}} {italique} -*liste [texte->url] <quote> <code> ed il codice HTML <q> <del> <ins>. Per creare paragrafi lasciare semplicemente delle righe vuote.

Segui i commenti: RSS 2.0 | Atom