Pochi ricordano che fino al 2010, la Germania si era duramente opposta al cosiddetto Fondo Salva Stati (l’attuale meccanismo europeo di stabilità) e che alla sua creazione si è dovuta adeguare non certo per ragioni di solidarietà finanziaria con i paesi che ne hanno poi usufruito ma per garantire la stabilità dell’intera Eurozona.
Insieme al Fondo, la Germania si oppose all’idea di Jean-Claude Juncker (primo ministro e ministro delle finanze del Lussemburgo) e di Giulio Tremonti di “comunitarizzare” una parte dei debiti pubblici dell’’Eurozona creando degli Eurobond e cioè dei titoli di debito pubblico europeo.
Gli Eurobond non hanno mai visto la luce perché la Germania non ha mai mutato di una virgola (di un Komma) la sua posizione mentre il Fondo Salva Stati ha visto la luce nel 2012 ed ha permesso di aiutare vari paesi in difficoltà ma non l’Italia e funzionando più o meno con gli stessi criteri intergovernativi del FMI con risorse che vengono dagli Stati membri (il 22 % dalla Germania e il 17% dall’Italia) e che vengono prestate agli Stati con problemi di solvibilità.
Tria e le regole del Mes
Dopo sei anni di funzionamento si è aperto un negoziato sulle sue regole, un negoziato pubblico nei limiti in cui sono pubblici i dibattiti fra i ministri delle finanze mentre in Italia governano i giallo-verdi e Giovanni Tria era al ministero delle finanze.
È immaginabile che Tria abbia riferito ai suoi colleghi di governo lo stato dei negoziati che è approdato anche al Parlamento italiano con l’approvazione di una risoluzione che imponeva al governo di respingere il diktat tedesco della “ristrutturazione” automatica (cioè l’alleggerimento dell’onere del debitore) a fronte degli aiuti del Fondo. Come si sa, il danno maggiore della ristrutturazione automatico non risiede nell’alleggerimento del debito ma nel fatto che i creditori/investitori tendono a fuggire da un paese con un debito insostenibile e che il Fondo assume poteri di controllo più stringenti sull’economia del paese in difficoltà adottando una sorta di commissariamento.
Il diktat tedesco è stato respinto non solo per la bravura di Tria ma anche per l’opposizione di altri eventuali “clienti” del Fondo e della compensazione offerta alla Germania di un meccanismo di aiuto a sistemi bancari in difficoltà cosicché l’Eurogruppo ha raggiunto a giugno 2019 un accordo politico a cui ha dato il suo consenso Tria a nome del governo giallo-verde in vista dell’accordo finale sul nuovo “trattato” (il fondo è un trattato internazionale, n.d.r.) che dovrebbe essere firmato dal Consiglio europeo e poi ratificato (o non ratificato: chi non lo ratifica si chiama fuori e non usufruisce dei vantaggi del Fondo) dai parlamenti nazionali dei 19 paesi dell’Eurogruppo.
Nessun tradimento
Non vi è stato dunque nessun tradimento né da parte di Conte-I né da parte di Conte-II perché l’accordo politico raggiunto all’Eurogruppo di giugno era conforme alla risoluzione del Parlamento italiano e perché il Trattato che si appresterebbe a firmare il governo italiano al Consiglio europeo è conforme a quell’accordo.
Autorevoli voci non leghiste o pentastellate, come quelle di Carlo Cottarelli o di Ignazio Visco, si sono tuttavia levate contro il Meccanismo non per il suo carattere eccessivamente invasivo ma per la sua intrinseca debolezza europeista contro cui non si sono evidentemente scagliati a suo tempo né Salvini, né Meloni né Di Maio.
Rafforzare il Mes
Per non tradire gli interessi dell’Italia e dell’Europa essi avrebbero dovuto difendere l’eurocrazia di Bruxelles e cioè la Commissione contro l’eccesso di potere dei governi nazionali stabilendo ad esempio il principio, applicato nelle procedure di infrazione per deficit di bilancio, della cosiddetta reverse majority in cui gli Stati possono opporsi ad una proposta della Commissione votandole contro a maggioranza qualificata entro un certo periodo di tempo.
Andando al di là del Fondo attuale si sarebbe potuto tentare di riaprire il discorso sugli Eurobond stabilendo un deal con gli accordi relativi all’Unione bancaria e sollecitando il Consiglio a riaprire il cantiere del completamento dell’UEM.
Insomma, se si vuole chiedere un rinvio dell’approvazione del Fondo Salva Stati, si dovrebbe mettere sul tavolo una proposta coerente e globale per il suo rafforzamento e non per il suo indebolimento.
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