EUROBULL: Presentati brevemente. Cosa fai ad oggi e hai mai avuto esperienze di studio o lavoro in Europa fuori dal tuo paese natìo?
Matteo: Mi chiamo Matteo e il 90% del tempo sono studente universitario. Ho finito la laurea triennale in scienze politiche a Roma Tre e ora sono al primo anno della magistrale in Storia e società nello stesso ateneo. Ho potuto viaggiare fuori dal l’Italia diverse volte, sia con la scuola che con la mia famiglia e una volta anche da solo, mai per lavoro o per studio se escludiamo una gita di liceo a Malta più incentrata sull’aspetto linguistico, con tanto di certificazione dopo un breve corso con esame.
Margherita: Mi chiamo Margherita, ho 25 anni e sono nata a Bologna. Nel 2018 mi sono laureata in International Business & Management alla Truman State University (USA) e dopo un’esperienza lavorativa di un anno in un’azienda italiana ad Orlando (FL) mi sono ritrasferita nella mia città natale per lavorare nell’ufficio corporate della stessa azienda. Al momento lavoro come Marketing Assistant e mi occupo principalmente della comunicazione esterna all’azienda: social media, rassegne stampa, sito web, eventi, ecc. Tutte le mie esperienze di studio e lavoro fuori dall’Italia si sono svolte negli Stati Uniti perciò non ho mai avuto esperienze in Europa.
EUROBULL: Ti senti europea/o? Perché?
Matteo: Si e no. È evidente e naturale che dal punto di vista storico e culturale un italiano/a abbia più affinità con la regione europea. Ma in termini di forte identità collettiva non mi sento né italiano né europeo, né «cosmopolita»: preferisco l’internazionalismo e la solidarietà delle classi subalterne, degli studenti delle classi popolari, dei lavoratori e dei popoli oppressi, che vivono problemi simili e hanno aspirazioni e necessità simili in tutti i Paesi del mondo.
Margherita: Mi sento molto più italiana di quanto mi possa sentire europea ma questo credo che sia un pensiero comune e forse molto umano. Credo però anche nell’UE e nell’adesione del mio paese. Nel mio piccolo penso che ci siano stati errori in passato ma anche tantissime cose positive, molti paesi sono stati aiutati in momenti di difficoltà e altri ne hanno beneficiato. In generale però la politica è una cosa estremamente complessa e non si può accontentare tutti, per questo il lavoro dell’UE non dev’essere per niente facile ma tenendo a mente dei valori e delle leggi morali penso che si possa andare molto in là.
EUROBULL: Pensi che abbia un senso sentirsi europee/i?
Matteo: Come ho detto sopra, si ma fino a un certo punto. Onestamente quella che è l’ideologia europeista (e lo dico avendo avuto una fase da federalista europeo il primo anno di università) di fatto passa da un cosmopolitismo elitario a un nuovo nazionalismo «allargato» che in ogni caso legittimando un sistema economico, sociale e politico fondamentalmente ingiusto per studenti, lavoratori, disoccupati, pensionati, immigrati ecc. d’Europa, ma anche missioni militari e una politica estera, finanziaria e commerciale pienamente imperialisti (es. Missione in Sahel). A maggior ragione quando con la retorica della competizione con i colossi russi, indiani, cinesi ecc. Si giustificano politiche di precarietà, bassi salari, sussidi alle grandi imprese ecc Anche progetti pseudo-europei ( non UE!) come l’Erasmus, descritto come utile a creare una coscienza europea ecc. Di fatto è finalizzata a creare una ridotta forza lavoro qualificata e mobile per le aziende europee, per la quale ad es l’Italia è disposta a investire una percentuale rilevante rispetto a quanto investe per il diritto allo studio… ci sarebbe anche da parlare di come l’identità europea si fondi sul revisionismo storico, come nel caso della «giornata dell’Europa contro i totalitarismi» al posto della giornata della Vittoria antifascista dei popoli sul fascismo e della recente mozione del parlamento europeo che equiparano in maniera assolutamente vergognosa comunismo e nazismo (votata anche dal PD, che quando vogliono dicono di essere eredi di quel PCI che ha scritto gli articoli più avanzati della costituzione italiana, sistematicamente traditi), portando avanti una narrazione antistorica per pure considerazioni geopolitiche facendo il gioco delle stesse destre ultra nazionaliste dell’est Europa che a parole condanna (ma potremmo parlare anche del sostegno alle formazioni neonaziste durante il golpe in Ucraina…).
Margherita: Penso proprio di sì, sentirsi parte di una grande comunità può rassicurare e portare moltissimi benefici. Questo accade solamente quando tutti i componenti dell’Unione lavorano nella stessa direzione e hanno principi etici simili ma in generale credo davvero nel proverbio “l’unione fa la forza” e lo applicherei anche in ambiti politici. Sono consapevole che i paesi dell’UE hanno problematiche e dinamiche interne completamente differenti gli uni dagli altri ma in un mondo ideale penso che un’unione possa sovrastare queste differenze e lavorare verso un unico obiettivo.
EUROBULL: Quali sono le tre priorità per te fondamentali per il futuro della tua generazione?
Matteo: Difficile dirne solo tre. Se proprio devo, direi diritti e benessere dei lavoratori, giustizia sociale ampiamente intesa (dalla pace alle discriminazioni formali, culturali e materiali) alla questione della distruzione ambientale. Ma sono tutte questioni strettamente collegate, basta parlare di Ilva o TAV ed entrano in gioco fattori diversi, dalla mobilitazione sociale alla legislazione sempre più repressiva, dal ruolo della criminalità organizzata alle grandi devastazioni ambientali alle necessità del trasporto pubblico e dei territori.
Margherita: Eliminazione di qualsiasi tipo di discriminazione e disuguaglianza, salvaguardia del pianeta e crescita/stabilità economica
EUROBULL: Chi potrebbe occuparsi meglio di queste priorità, l’Unione europea o il tuo paese? Perché e come?
Matteo: La questione non è semplice. Mi pare evidente che le teorie sulla scomparsa degli stati nazionali in favore di entità sovranazionali o anche forme di integrazione regionale più stretta non risponda alla realtà. Gli stati nazionali hanno volontariamente costruito la struttura europea (e questo smentisce le teorie sovraniste sull’Italia «colonia»), che rimane una unione intergovernativa. Ma la cosa più importante da vedere è il carattere classista del progetto europeista, già denunciato nel ’57 dal PCI che si opponeva ai trattati di Roma (con il MSI a favore). Di fatto, il mercato europeo e le sue istituzioni agiscono come camera di compensazione e arena di scontro e incontro per le varie borghesie europee, in cui i rapporti tra i vari paesi riflettono i diversi rapporti di forza in termini capitalistici. In tutto questo, il capitale italiano vuole mantenere e recuperare posizioni, a maggior ragione dopo che il covid-19 ha scombinato le carte. Questo è evidente in maniera lampante nella guerra libica e nel mediterraneo orientale, in cui si scontrano in maniera chiara gli interessi dei monopoli energetici italiani (eni), francesi (Total), britannici (BP), turchi, egiziani, israeliani ecc. Portando ad alleanze fluide in cui paesi europei e della NATO si trovano spesso su fronti contrapposti (es. Italia e Francia con Al-Serraj e Haftar). In questo senso, parlare di 70 anni di pace vuol dire non guardare oltre il proprio naso e potremmo parafrasare la famosa massima di Von Clausewitz affermando «la guerra è la prosecuzione della competizione economica e politica con altri mezzi». A livello istituzionale sicuramente i governi e parlamenti nazionali hanno ceduto delle competenze al livello comunitario, ma non perché una Bruxelles cattiva abbia espropriato l’Italia della propria sovranità (che dovrebbero dire i palestinesi, gli irlandesi o gli abitanti del Sahara occidentale?). Infatti se da una parte il parlamento europei ha poco potere (ma di per sé cambia poco…) e la commissione europea è un centro del lobbismo delle imprese e della finanza (c’è anche una inchiesta del Corriere di qualche anno, mi pare 2017), le raccomandazioni, i regolamenti, ecc. Sono anche uno strumento utile per le classi dirigenti nazionali (in termini economici) per favorire lo smantellamento dei diritti dei lavoratori e degli studenti, del welfare universalistico, dei servizi pubblici (come sanità e istruzione) compensato da ridicole misure antitrust e regolative. Per quanto riguarda i giovani, le misure di precarizzazione del lavoro, le regole di bilancio ecc. Introdotte dai governi di csx, cdx e tecnici sono in linea con le raccomandazioni europee, idem per le politiche aziendalistiche e antipopolari sulla scuola e l’università, sempre più piegate sulle esigenze delle aziende e su logiche di mercato a discapito del diritto allo studio e della collettività. L’ultima prova del fatto che la questione non è stato o UE è la lotta tra i vari settori economici per spartirsi le briciole del recovery fund, che non cascano dal cielo né sono regali (e anche nella parte non a prestito sono vincolate dalle solite «riforme strutturali») e arrivano dopo una pessima gestione della pandemia. Questa ha visto un lockdown ritardato dalle richieste delle aziende e con il 55% dei lavoratori dipendenti che ha continuato a lavorare, spesso in settori e produzioni non realmente essenziali e dovendo spesso scioperare per avere dpi, divisione in turni per il distanziamento ecc. Con decine di migliaia di contagi sul lavoro denunciati all’INAIL e più di 100.000 morti, frutto anche delle criminali politiche di taglio alla sanità pubblica, privatizzazioni e aziendalizzazione, specie per quanto riguarda la sanità territoriale. Le misure economiche sono state minime per i lavoratori (con abusi da parte di molte aziende della CIG ad esempio) ed enormi per le imprese, anche quelle che nemmeno pagano le tasse in Italia e che non hanno certo crisi aziendali, come la FCA. Considerando i volumi di capitali prodotti da un paese del G8 come l’Italia, il problema non è la mancanza di fondi ma chi se ne appropria e come vengono spesi. Peraltro la crisi economica sta accelerando processi di ristrutturazione capitalistica a danno dei lavoratori (come nelle vertenze TNT/Fedex) e lavoratrici (il 90 % dei 100.000 posti di lavoro persi secondo Repubblica). A questo aggiungiamo sindacati concertativi interessati più alla pace sociale che all’organizzazione dei lavoratori… Insomma, il punto è che il modello di sviluppo capitalistico è sempre più insostenibile (basta vedere anche la gestione della questione vaccini affidata alle logiche della ricerca pubblica e del profitto e produzione privata) e l’UE, al pari dei parlamenti nazionali, poggiano pienamente su questo modello. Non sono contrario a prescindere a qualche forma di integrazione europea, anzi, ma una integrazione solidale e realmente fondata su progresso e giustizia sociale non può che essere fondata su basi socialiste e pertanto sulle ceneri di questa UE.
Margherita: Penso che ogni paese debba implementare leggi e piani per crescere al suo interno, ogni popolazione è diversa e ogni territorio è a sé. Essendo però parte di un’Unione c’è bisogno di aiuto e supporto anche da parte di essa.
L’INTERA INCHIESTA
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