Il reddito minimo garantito è uno “stipendio” in denaro erogato dallo Stato a tutte le persone dotate di cittadinanza e di residenza a intervallo di tempo regolare, ma esclusivamente solo a chi è in età lavorativa (e con un ammontare che varia in funzione dell’età stessa), con la clausola che il reddito di cui si disponga sia inferiore ad una determinata soglia ritenuta di povertà. Nelle forme meno ortodosse l’erogazione è soggetta ad ulteriori limitazioni della platea di beneficiari, e/o condizionata a determinate prestazioni da parte degli stessi.
Viene talvolta confuso con il reddito di base (o universale, o di cittadinanza), dal quale invece differisce per non essere concesso in alcuna misura a chi già percettore di redditi ampiamente sopra la soglia di povertà.
Il reddito di base incondizionato (o reddito di cittadinanza o reddito di sussistenza o reddito minimo universale) è cumulabile con altri redditi. Nasce come uno strumento per sconfiggere la povertà e garantire una nuova forma di libertà che si propone di eliminare il “ricatto” per il quale vi è l’obbligo di avere un lavoro per vivere. Come misura politica è stata fortemente dibattuta, a seconda del proprio modo di intendere la società, il ruolo dello Stato e i rapporti di forza tra le classi sociali.
Nel corso del tempo queste misure ha assunto diverse forme a seconda del Paese in cui sono state adottate. In questa infografica di Visual Capitalist vengono riassunte dagli anni Sessanta a oggi.
Molti critici della misura sostengono che sia possibile, come più volte testimoniato, che qualcuno dichiari il falso e percepisca il reddito pur avendo un’occupazione in nero o non dichiarando il vero patrimonio personale.
Il “reddito di cittadinanza” italiano
La particolarità del reddito di cittadinanza italiano è che chi riceve il beneficio deve dare l’adesione a un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo, che può prevedere anche attività di servizio alla comunità; in alternativa deve essere disponibile per la riqualificazione professionale o il completamento degli studi. Come spiega l’Istat: “Il disegno di legge n.1148 – Istituzione del reddito di cittadinanza nonché delega al Governo per l’introduzione del salario minimo orario” – proposto dal Movimento 5 Stelle, prevede un intervento a livello familiare che si configura come una misura selettiva e non universale. I beneficiari sarebbero, infatti, le famiglie il cui reddito è inferiore a una soglia minima stabilita. Il Partito Democratico ha presentato una proposta di legge dal titolo “Istituzione del reddito minimo di cittadinanza attiva” che però punta a dare un contributo con limiti temporali che lo Stato eroga nei confronti di “disoccupati, inoccupati o aventi un contratto precario”. Mentre il disegno di legge n. 1670 – “Istituzione del reddito minimo garantito” – del Gruppo misto e di Sinistra Ecologia e Libertà propone l’introduzione di una misura di sostegno dei redditi. Il testo prevede tre deleghe al governo per una riorganizzazione complessiva del sistema di tutele: la spesa assistenziale, il sistema degli ammortizzatori sociali e il compenso orario minimo. Con questa misura, scrive sempre l’istituto di statistica nazionale, “la maggiore percentuale di beneficiari sul totale si osserva fra i monogenitori con figli minori, fra i giovani singoli e fra le coppie con figli minori”.
La felicità non è solo un bicchiere di vino
La rivista Big Think in questo video sottolinea la correlazione tra reddito e livello di felicità. Il World Happiness Report ONU del 2020 spiega cosa accomuna i Paesi in cima alla classifica del livello di felicità: il welfare. Dove ci sono Paesi con un welfare sviluppato gli effetti si riflettono su tutta la popolazione e al di là del reddito. “La sicurezza del reddito in caso di disoccupazione gioca un ruolo importante nel determinare la soddisfazione di vita, poiché sia la disoccupazione che la paura della disoccupazione influiscono fortemente sulla qualità della vita”. Pacek e Radcliff esaminano la generosità dello stato sociale utilizzando un indice che rileva l’entità dell’emancipazione dalla dipendenza dal mercato in termini di pensioni, mantenimento del reddito per malati o disabili e sussidi di disoccupazione, scoprendo che la generosità dello stato sociale esercita un impatto positivo e significativo sulla soddisfazione di vita.
Se un uomo non vuol lavorare, allora neppure mangi" (2 Tessalonicesi 3:10).
Ulteriore questione sono le conseguenze dello slegare il reddito dal lavoro: sarebbero un disincentivo a lavorare? E questo maggiore “tempo libero” che impatto avrebbe sulle persone? Alcuni critici dicono che i beneficiari del reddito sarebbero portati alla pigrizia, non puntando più a cercare un lavoro, inteso come obiettivo per realizzarsi nella vita. Al contrario chi sostiene questa misura afferma che in questo modo gli uomini potrebbero concentrarsi sulla propria istruzione e formazione, accrescendo il proprio spirito d’iniziativa. La misura, afferma Porter sul New York Times, non può essere sostituito da un assegno e ci sarebbe bisogno di proposte differenti rispetto al reddito di base, come ad esempio sostenere da parte del governo l’occupazione, sovvenzionando lavori utili come la riparazione di scuole e buche in strada o sostenendo i salari dei lavoratori. Se il reddito trovasse il necessario sostegno politico e finanziario, dovrebbe comunque affrontare diverse misure a seconda della regione. Ad esempio come scrive Charles Lane sul Washington Post, “Negli Stati Uniti qualsiasi forma di basic income sarebbe insufficiente in alcune zone ed eccessiva in altre: “a Porto Rico, per esempio, 10mila dollari sono più del reddito medio annuo della popolazione, mentre a Manhattan sembra essere il costo di un panino”.
Rivalutiamo il grande Lebowski?
Il Professor Nevola, dell’Università di Trento, scrive: “Il reddito non deve rispondere alla logica di assistenza ai poveri, ma a quella del soddisfacimento delle pre-condizioni per un’effettiva partecipazione alla vita sociale, per una reale appartenenza alla cittadinanza. Coerentemente, tale allocazione non è subordinata a meccanismi di mercato, come emerge, ad esempio, dall’obiettivo di collegare i necessari fondi finanziari alla manovra fiscale anziché a quella contributiva. Infine, l’immagine della «società del lavoro» cede il posto a quella dell’«attività»: la sfera lavorativa tradizionale e di mercato non costituisce più il punto di riferimento della vita dell’individuo, dei valori collettivi e della distribuzione della ricchezza, in modo diverso ciò vale sia per chi ne è partecipe, sia per chi ne è escluso a vario titolo. Altre forme di «attività» di utilità sociale, tradizionalmente non retribuite sul mercato, si vanno affermando nella consapevolezza individuale e collettiva e chiedono riconoscimento pubblico (dalle «attività di cura» alle «attività di volontariato», per citare due casi emblematici”).
Alla Singularity University, scrive linkiesta, si sono posti un interessante problema sul futuro: se la diffusione della tecnologia genererà nelle prossime generazioni una probabile disoccupazione a causa dell’automazione, è possibile pensare come soluzione un «reddito universale di base»? Lo studio che hanno condotto parte dal recente passato, ovvero dalla primavera del 2017, quando la provincia canadese dell’Ontario ha annunciato che circa 4 mila suoi cittadini hanno ricevuto denaro in base al progetto sul reddito di base garantito, con l’obiettivo di esplorare il modo in cui il «reddito base universale» può migliorare sia la vita degli individui interessati sia quella generale della nazione dove costoro vivono.
Secondo Dahrendorf, scrive Nevola, proprio nel momento in cui si stava per celebrare il successo del welfare state, si è manifestata una controtendenza: un numero crescente di individui si trova escluso dai diritti di cittadinanza. Segnali di questa situazione sono fenomeni quali l’emarginazione sociale e la piccola delinquenza, la disoccupazione (di lungo periodo, quando non cronica) e il nuovo analfabetismo, la «nuova povertà» e gli insediamenti di immigrati etnici, i cambiamenti demografici nel mercato e nell’organizzazione del lavoro. Numerosi individui cadono fuori dalla rete protettiva del welfare. La conseguenza è l’espandersi di una «sottoclasse», la cui caratteristica saliente è proprio la sua esclusione dalla cittadinanza. L’esistenza di questa «sottoclasse», asserisce Dahrendorf, rappresenta una sfida vivente agli stessi valori di civiltà delle nostre società, tanto più per la crescita del suo peso sociale, che induce a parlare di una «società dell’1/3» contrapposta a quella dei «2/3» (la società maggioritaria, che continua a vivere in base ai valori e al mercato del lavoro).
Il motivo principale per cui i poveri sono poveri è che non hanno abbastanza soldi.
Questo articolo ci racconta di un reddito destinato a dei clochard di Londra che, ogni anno, “tra le spese di polizia, del tribunale e dei servizi sociali, costano alle casse statali circa 500.000 euro”. L’esperimento dimostra come gli acquisti dei senzatetto sono risultati estremamente modesti: “c’è chi ha chiesto un telefono, chi un dizionario, chi un apparecchio acustico”, ognuno aveva le proprie necessità, quasi tutte erano assolutamente frugali. Così, dopo un anno, ognuno di loro aveva speso in media solo 1.000 euro dei 3800 donati, eliminando la necessità di un intero apparato fatto di burocratici programmi di assistenza, complessi sistemi di registrazione e un esercito di ispettori. L’esperimento suggerisce che la possibilità di gestire denaro conferisce potere e responsabilità agli individui.
Imposta negativa sul reddito o reddito di cittadinanza?
L’idea di un reddito di cittadinanza affonda le sue radici nel XIX secolo. Nel 1848, lo stesso anno in cui Karl Marx scrive Il Capitale, il giurista belga Joseph Charlier scrive The solution of the social problem, considerato il primo libro in cui viene proposto il reddito di base come soluzione alle disuguaglianze sociali. Charlier si ispira a Paine per proporre il concetto di “dividendo territoriale”, cioè il pagamento ogni tre mesi di una quota annuale stabilita sulla base del valore di affitto delle abitazioni.
L’Articolo 25 della Dichiarazione universale dei diritti umani(1948) promette che, un giorno, le nostre società introdurranno un reddito di base. Garantito, e universale.
Solo nel 1940 i Nobel per l’economia Milton Friedman e George Stigler teorizzano l’imposta negativa sul reddito. L’idea dell’imposta negativa sul reddito è semplice: «In simmetria con l’attuale sistema di imposta (positiva) sul reddito delle persone fisiche - in base al quale chi gode di un reddito superiore ad un certo minimo paga allo stato una percentuale della differenza - la proposta si incentra sull’idea che coloro che percepiscono un reddito inferiore al minimo ricevano dallo stato una percentuale della differenza tra reddito minimo e reddito percepito» (Martino, 1977b, p. XII). Secondo le indicazioni di Friedman, tale imposta dovrebbe «fissare un livello al di sotto del quale non potrebbe scendere il reddito netto di nessun cittadino» (Friedman, 1967, p. 286). Se l’ottica neoliberista porta l’autore a celebrare i trionfi della libertà individuale e del funzionamento del sistema economico nel libero mercato capitalistico, egli non nasconde le sacche di povertà che li accompagnano. Da qui l’accoglimento dei programmi di assistenza pubblica, i quali sono tuttavia proposti e dimensionati guardando all’intangibilità di fondo del meccanismo del mercato: il programma di assistenza pubblica «dovrebbe operare attraverso il mercato, senza distorcere il mercato stesso o impedire il suo funzionamento» (Friedman, 1967, p. 285). Secondo la filosofia sociale dell’imposta negativa sul reddito, l’istanza di un reddito minimo garantito resta all’interno di uno schema allocativo di risorse basato sul lavoro remunerato secondo mercato.
Il principio di cittadinanza si oppone all’imposta negativa sul reddito. Con esso vengono ridefiniti gli stessi principi di regolazione del welfare state tradizionale. Di fronte all’esigenza di un modello di welfare sostitutivo, la filosofia sociale del reddito di cittadinanza si contrappone a quella basata sull’imposta negativa sul reddito. Diversamente da essa, il reddito di cittadinanza non ha antenati specifici. Anche se Walter Van Trier, alla ricerca delle sue radici storiche le ha alla fine identificate, non senza sorpresa, in quella che chiama la «Keynes-connection». Ad una lettura più attenta le proposte di «social dividend» formulate a partire dagli anni ’30 si discostano dalla filosofia sociale del reddito di cittadinanza per il ruolo sfocato che in esse ha il principio di cittadinanza, vero cardine delle proposte oggi al centro della discussione.
L’Unione Europea dal 1992 raccomanda agli Stati membri di intervenire per combattere l’emarginazione sociale. Al momento solo Grecia e Ungheria non hanno misure di sostegno al reddito per contrastare una povertà dilagante. In Finlandia, invece, la misura, in fase di prova, si è conclusa a fine 2018, mentre la Scozia la dovrebbe introdurre a breve. In Lussemburgo il reddito per l’inclusione sociale (Revenu d’inclusion sociale – REVIS) prende il posto del precedente reddito minimo garantito (Revenu minimum garanti – RMG) ed è progettato per aiutare le famiglie delle fasce di reddito più basse. In Francia il reddito di cittadinanza è conosciuto come Revenu de Solidarité Active (RSA) e ha l’obiettivo di sostenere economicamente chi non ha un reddito o vive al di sotto della soglia di povertà. In Germania è stato annunciato uno studio triennale sul reddito di base universale sotto la direzione dell’Istituto Tedesco per la Ricerca Economica e della start-up Mein Grundeinkommen. Il Progetto pilota prevede di trasferire mensilmente sui conti correnti di 120 persone circa 1.200 € per tre anni. Al di fuori dei confini europei, l’unico paese al mondo che ha istituito il reddito di cittadinanza puro è l’Alaska, che lo eroga nella misura media annua minima di 900 dollari fino a quella massima di 2000. In Kenya la misura è in fase di prova, mentre il Canada lo ha cancellato.
Le Nazioni Unite nel 2020 hanno chiesto che uno stipendio temporaneo (Temporary basic Income, TBI) venisse garantito a 2,7 miliardi di indigenti perché possano rimanere a casa e salvarsi dalla pandemia di Covid-19 anziché dover lavorare.
Proprio l’attuale situazione sanitaria globale sembra acuire la necessità di una riflessione su forme di sostegno per la popolazione slegate dal lavoro, e potrebbe rappresentare il nuovo fronte del dibattito sulle diverse forme possibili di reddito di cittadinanza.
Bibligrafia
Alessandro Somma, Fight against poverty and active labor market policies: basic income, guaranteed minimum income and the conditionalities-regime, in «Diritto pubblico comparato ed europeo, Rivista trimestrale» 2/2019, pp. 433-458, doi: 10.17394/94004
Il reddito minimo garantito: due filosofie sociali del welfare state Author(s): GASPARE NEVOLA Source: Stato e mercato , APRILE 1991, No. 31 (1) (APRILE 1991), pp. 159-184 Published by: Società editrice Il Mulino S.p.A
Pacek, Alexander & Radcliff, Benjamin. (2008). Assessing the Welfare State: The Politics of Happiness. Perspectives on Politics. 6. 267 - 277. 10.1017/S1537592708080602.
https://bigthink.com/natalie-shoemaker/basic-income-wont-fix-everything-we-still-need-regulation
https://www.visualcapitalist.com/map-basic-income-experiments-world/ https://storie.valigiablu.it/reddito-di-base/
https://www.vice.com/it/article/wj9xq4/reddito-minimo-base-utopia
https://www.wsj.com/articles/a-guaranteed-income-for-every-american-1464969586
https://www.labparlamento.it/thinknet/paese-vai-reddito-cittadinanza-trovi-funziona-allestero/
https://www.linkiesta.it/2019/09/lavoro-reddito-cittadinanza-macchine-automazione/
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