Per la rappresentanza delle minoranze nel Parlamento europeo

, di Frédéric Piccoli

Per la rappresentanza delle minoranze nel Parlamento europeo

Le minoranze possono essere suddivise in due categorie.

Da una parte si collocano le minoranze politiche, vale a dire quelle minoranze che, attraverso la dialettica elettorale ed il confronto delle idee, aspirano ad uscire dalla loro condizione e diventare maggioranza. In attesa di nuove elezioni, esse hanno tutto l’interesse a non ritrovarsi sottorappresentate nei parlamenti, ponendosi a garanzia dell’integrità del sistema democratico e del pluralismo politico.

Dall’altra, invece, si pongono le minoranze che per la loro natura non hanno né l’ambizione, né la possibilità di divenire maggioranza nel Paese. È il caso delle minoranze linguistiche. In un quadro democratico, l’unico interesse di tali minoranze è che sia loro riconosciuto e garantito il “diritto di esistere”: e cioè il diritto di essere considerate in quanto tali, di mantenere intatte le proprie specificità e di esercitare liberamente le proprie prerogative quali formazioni sociali qualificate. Sul piano politico, questo diritto si traduce in particolari esigenze di rappresentanza, che non possono essere ricondotte ad un generico “diritto di tribuna” che impedisca loro di partecipare a pieno titolo all’attività parlamentare. Tanto è vero che, nel caso in cui il numero delle persone appartenenti a queste minoranze dovesse rivelarsi particolarmente esiguo, potrebbe rendersi necessaria l’adozione di misure speciali che ne assicurino effettivamente la rappresentanza.

Nelle ultime settimane, il problema della rappresentanza delle minoranze è tornato di grande attualità. La riforma costituzionale in itinere, che prevede la riduzione del numero dei seggi di Camera e Senato (il cosiddetto “taglio dei parlamentari”), ha fatto sorgere non pochi interrogativi: ci si domanda, ad esempio, se a riforma approvata sia sostenibile un sistema elettorale non proporzionale; o se la riduzione dei seggi attribuiti alle più piccole regioni non frustri ancor di più la rappresentanza delle aree marginali della Penisola; oppure, ancora, se il taglio orizzontale dei parlamentari non impedisca irragionevolmente ad alcune comunità linguistiche minoritarie qualsiasi possibilità di esprimere propri rappresentanti nelle nuove Camere.

In tale contesto, stanno maturando le condizioni per un intervento in materia elettorale che si accompagni alla riduzione del numero dei parlamentari e che, assieme ad altre riforme complementari, agisca da contrappeso, affrontando la ragionevole richiesta delle minoranze politiche di non essere sottorappresentate in seno al Parlamento nazionale e dando una risposta adeguata all’esigenza di altre minoranze (a partire dalle comunità che abitano territori marginali e rurali) di essere al contrario rappresentate.

Allargato lo sguardo alla dimensione europea, il dibattito, che si sta generando in Italia sulle prospettive della democrazia e dei diritti delle minoranze, può rivelarsi utile ai federalisti europei, che condividono una certa visione dell’Europa. Critiche analoghe a quelle che oggi sono rivolte agli effetti del taglio dei parlamentari possono, infatti, essere avanzate anche ai meccanismi che l’Italia si è data per l’elezione del Parlamento europeo. E se, spronato dai federalisti, il nostro Legislatore saprà correggere in questi anni le storture presenti nella legge elettorale, certamente l’Italia contribuirà a migliorare il senso di inclusione e di rappresentanza di tutti i cittadini in seno al Parlamento europeo, rafforzandone il ruolo di Costituente dell’Europa.

L’elezione dei deputati europei in Italia.

Come è noto, la normativa elettorale europea è riservata alle leggi degli Stati membri, che ne dispongono liberamente per i seggi che sono loro assegnati, nel rispetto di alcuni principi comuni. In particolare, con le modifiche apportate nel 2002 al cosiddetto “Atto di Bruxelles” del 1976, si è consolidato il carattere proporzionale del voto. Gli unici correttivi di tipo maggioritario ammessi sono la suddivisione del territorio nazionale in più circoscrizioni e la previsione di clausole di sbarramento non superiori al 5%.

In Italia, l’elezione dei deputati europei è ancora disciplinata dalla primissima legge elettorale europea approvata nel 1979 e solo in parte modificata nel corso degli ultimi quarant’anni. Il sistema elettorale è di tipo proporzionale con scrutinio di lista e facoltà di esprimere fino a tre preferenze. L’attribuzione dei seggi spettanti all’Italia (che per via della Brexit passeranno a 76 su un totale di 705) avviene secondo il metodo dei quozienti interi e dei più alti resti fra le liste che a livello nazionale hanno superato la soglia di sbarramento fissata al 4% dei voti validi; i seggi assegnati a ciascuna lista sono ripartiti fra le cinque grandi circoscrizioni elettorali in cui è suddiviso il territorio nazionale (Nord-Ovest, Nord-Est, Centro, Sud e Isole) in proporzione ai voti che vi abbiano ottenuto.

Per quel che riguarda le minoranze linguistiche, sono stabilite alcune norme speciali. Ai partiti o gruppi politici espressi dalla minoranza di lingua francese della Valle d’Aosta, di lingua tedesca del Sudtirolo o di lingua slovena del Friuli-Venezia Giulia è possibile presentare autonomi candidati, apparentati ad una lista nazionale nella propria circoscrizione di riferimento. L’elettore del listino apparentato ha, però, la possibilità di esprimere una sola preferenza. Concluse le elezioni, l’apparentamento può far scattare un sofisticato meccanismo di sostituzione, per mezzo del quale il candidato della minoranza linguistica, che abbia ottenuto almeno 50.000 preferenze personali e che tuttavia non risulti direttamente eletto, occupa l’ultimo seggio assegnato alla lista nazionale di riferimento accedendo dunque al Parlamento europeo.

Le clausole di sbarramento e la distorsione (evitabile) della rappresentanza politica.

Chi studia da vicino i meccanismi elettorali ben sa che esistono soglie di sbarramento implicite ed ineliminabili in tutti i sistemi, determinate ora dalla dimensione delle circoscrizioni, ora dal numero dei seggi posti in palio nella competizione elettorale. Esistono, però, clausole di sbarramento che sono espressamente inserite nelle stesse leggi elettorali: in un contesto proporzionale, esse hanno la funzione di innalzare la soglia per l’accesso alla ripartizione dei seggi, contrastando la frammentazione delle forze politiche e contribuendo, assieme ad altri espedienti tecnici, ad assicurare una maggiore governabilità. A questa seconda specie fa riferimento l’Atto di Bruxelles, quando ammette che le leggi nazionali prevedano clausole di sbarramento non superiori al 5% per l’elezione dei deputati europei.

Di clausole di sbarramento esplicite si è occupato il Tribunale costituzionale federale tedesco fra il 2011 e il 2014, dichiarandone l’incostituzionalità. A onor del vero, tale decisione, che ha assicurato una maggiore rappresentatività dei membri del Parlamento europeo eletti in Germania, sono state motivate da ragioni solo parzialmente condivisibili: sulla scorta di quanto già affermato in riferimento all’adozione del Trattato di Lisbona, il Tribunale costituzionale federale ha, infatti, ritenuto che il Parlamento europeo altro non sia che un organo sovranazionale meramente rappresentativo di popoli contrattualmente associati, composto di delegazioni nazionali. In tale prospettiva, se ne riduce evidentemente la centralità, anche solo in un’ottica evolutiva, e si sbiadisce la questione del rapporto (sostanzialmente fiduciario nella visione federalista) fra Parlamento e Commissione, che impone di bilanciare rappresentatività e governabilità.

Diversamente, con sentenza del 2018, la Corte costituzionale italiana ha salvato la clausola di sbarramento introdotta dal Legislatore nel 2009, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionalità. Ma neppure le motivazioni del giudice italiano appaiono soddisfacenti: sebbene, infatti, a differenza di quanto stabilito dalla Corte di Karlsruhe le tematiche inerenti alla governabilità e alla funzionalità delle assemblee rappresentative siano state prese in considerazione, le riflessioni sono state condotte nella sola prospettiva nazionale, con buona pace del contesto continentale in cui si collocano le Elezioni Europee.

I risultati delle recenti consultazioni di maggio hanno dimostrato l’inadeguatezza della decisione della Corte costituzionale. In Italia, infatti, sono state ben tre le liste penalizzate dalla presenza di una clausola di sbarramento esplicita: La Sinistra (LS), Europa Verde (EV) e +Europa-Italia in Comune (+E). Nel complesso, queste liste hanno raccolto poco meno di due milioni di voti. Se volessimo tradurre questo dato, potremmo dire che quasi due milioni di cittadini europei non ha ottenuto una rappresentanza nel Parlamento europeo per via di una discutibile norma di legge nazionale. Si tratta di una situazione difficilmente sostenibile, se si considera che, ad esempio, Malta e Lussemburgo abbiano diritto di eleggere ciascuno sei eurodeputati (e giustamente, in un’Europa che si voglia federale e perciò rispettosa della dignità di tutte le comunità, comprese quelle più piccole), pur superando di poco nel complesso il milione di abitanti.

Il principio della governabilità deve ricevere la giusta considerazione. Non vi è dubbio. Ciò deve avvenire, però, a livello europeo, non nel campo delle singole legislazioni nazionali. È opportuno, pertanto, che siano introdotti rimedi tecnici, volti ad assicurare la stabilità politica ed istituzionale ed auspicabilmente legati alla competizione fra liste transnazionali che affianchino (non soppiantino) la rappresentanza diretta dei territori, eliminando nell’Atto di Bruxelles qualsiasi riferimento alle clausole di sbarramento esplicite per la quota di deputati europei eletti nei singoli Stati.

Le minoranze linguistiche e l’apparentamento. Un vantaggio per chi?

A prima vista, il meccanismo sostitutivo che si lega all’apparentamento delinea per le minoranze linguistiche un regime di favore: sebbene, infatti, alle popolazioni alloglotte non siano assicurati seggi certi, è comunque offerto ai loro movimenti organizzati il modo di competere direttamente alle Elezioni Europee. Bisognerebbe domandarsi, a dire il vero, se tale meccanismo sia effettivamente in grado di soddisfare la loro esigenza di rappresentanza in seno al Parlamento europeo. E la risposta non potrebbe che essere negativa.

L’errore del Legislatore italiano è stato quello di parametrare la cifra di 50.000 preferenze alla consistenza numerica della sola minoranza di lingua tedesca del Sudtirolo. Non è un caso, ad esempio, che alle recenti elezioni il candidato della Südtiroler Volkspartei (SVP), Herbert Dorfmann, apparentato alla lista nazionale di Forza Italia (FI), abbia raggiunto la quota di 100.000 preferenze, superando nella circoscrizione del Nord-Est il principale candidato forzista, Silvio Berlusconi, e risultando eletto direttamente senza l’intervento dei meccanismi di sostituzione correlati all’apparentamento. Non è un caso, neppure, che l’unico rappresentante della minoranza francese della Valle d’Aosta mai eletto in quarant’anni, Luciano Caveri, nel 1999 abbia ottenuto nell’intera circoscrizione del Nord-Ovest un numero di preferenze di poco inferiore a 29.000 (risultato che ancora oggi è ricordato come evento eclatante), subentrando nel 2000 ad un eurodeputato dimissionario dopo diversi mandati da parlamentare nazionale. E, d’altronde, è diabolico richiedere che, seppur inserito nel contesto di una circoscrizione macroregionale, un esponente della minoranza di lingua francese anche particolarmente noto superi la soglia delle 50.000 preferenze personali, sapendo che in Valle d’Aosta, sua Regione di provenienza, abbiano diritto di voto circa 100.000 persone, con un tasso di astensione alle Europee che rasenta il 50%.

Osservando più attentamente, il sistema di apparentamento previsto nel 1979 appare dunque fortemente discriminatorio delle stesse minoranze linguistiche. Da vent’anni, peraltro, l’Italia riconosce ben dodici gruppi linguistici minoritari, esistenti nel territorio dello Stato: è assurdo che la facoltà di apparentarsi a liste nazionali sia oggi ancora limitata alle sole minoranze di lingua francese, tedesca e slovena.

Va aggiunto che dal 2009, con l’introduzione della soglia di sbarramento al 4%, alle minoranze linguistiche è sostanzialmente impossibile presentarsi in un’unica lista che superi le delimitazioni delle singole circoscrizioni, tentando di eleggere un candidato comune. L’unica scelta possibile è, dunque, quella di legarsi ai grandi partiti nazionali, i quali, assorbendo i voti dati ai troppo deboli listini apparentati, sembrano essere i soli ad avvantaggiarsi in concreto dell’istituto dell’apparentamento.

Sin dagli anni ’80, i deputati e i senatori eletti in Valle d’Aosta hanno depositato proposte di modifica della legge elettorale europea, promuovendo la garanzia di un seggio a Strasburgo per la comunità valdostana: si sarebbe trattato di trasporre nella legislazione dello Stato i principi affermati nella Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine, sottoscritta a Chivasso il 19 dicembre 1943 dai federalisti valdostani e valdesi e pubblicata in clandestinità sulle pagine de L’Unità Europea a cura del Movimento Federalista Europeo. Nella Dichiarazione di Chivasso era rivendicato, oltre all’attribuzione di autonomia amministrativa ed alla trasformazione dello Stato in senso democratico, il diritto delle minoranze di essere rappresentate nelle assemblee legislative. La Valle d’Aosta fu in questo soddisfatta dapprima con l’emanazione dei decreti luogotenenziali del 1945, che le assicuravano un rappresentante in Assemblea Costituente, quindi con l’adozione dello Statuto regionale del 1948, che mediante la creazione di apposite circoscrizioni uninominali per Camera e Senato garantisce ancora oggi l’elezione di parlamentari valdostani.

Il peso sempre più rilevante delle decisioni assunte a livello sovranazionale ha in parte vanificato le conquiste politiche ottenute in Italia dalle minoranze linguistiche, che, con le garanzie di seggi certi nel Parlamento nazionale, avevano ottenuto l’accesso al più alto livello di vita democratica del Paese. Se, infatti, l’elezione diretta del Parlamento europeo e l’ampliamento delle sue funzioni hanno permesso, a (parziale) discapito dell’intermediazione dei Governi nazionali, di dare voce ai cittadini, è pur vero che la scelta di distribuirne i seggi agli Stati membri, senza la previsione di alcuna forma di rappresentanza compensativa per le numerose minoranze senza Stato disseminate in Europa, ha creato non pochi problemi in ordine alla loro rappresentatività.

Per una modifica della legge elettorale europea in Italia.

Le soluzioni, che, in definitiva, ci sentiamo di suggerire al Legislatore italiano al fine di dare rappresentanza alle minoranze nel Parlamento europeo, sono tre:

1. Riforma dell’apparentamento. La risposta minima, che il Legislatore nazionale è chiamato a dare, è la ragionevole riduzione della soglia di 50.000 preferenze personali, che la adatti alla reale consistenza delle popolazioni alloglotte della Penisola.

2. Circoscrizioni speciali. In passato è già stata proposta, in aggiunta alle agglomerazioni di regioni oggi previste dalla legge, la costituzione di circoscrizioni speciali uninominali su modello di quella garantita dallo Statuto valdostano per l’elezione di Camera e Senato; analoga è la scelta operata dal Belgio che ha riconosciuto alla Comunità germanofona (75.000 abitanti) la facoltà di eleggere un deputato europeo, nonostante abbia diritto a soli ventuno rappresentanti su una popolazione di circa undici milioni. Su tale scelta ha sicuramente influito la riorganizzazione dello Stato belga in senso federale: certo, non è necessario che si ridiscutano le strutture del nostro Stato regionale perché si attuino principi federalistici nell’elezione della componente del Parlamento europeo eletta in Italia. Si badi bene: la creazione di circoscrizioni speciali non implica obbligatoriamente l’abolizione dell’istituto dell’apparentamento, che nelle grandi circoscrizioni plurinominali andrebbe tuttavia esteso in maniera adeguata alle altre minoranze linguistiche non contemplate dalla legge elettorale vigente.

3. Elezione su base regionale. Il deficit di rappresentatività della delegazione italiana è un male che non colpisce soltanto le minoranze linguistiche, ma tutte le comunità regionali che abitino nelle aree marginali del Paese. Potrebbe essere utile, in generale, intervenire sulla dimensione delle circoscrizioni stabilite dalla legge, prevedendone di nuove. È auspicabile, in ogni caso, che non si vadano a creare più di ventuno circoscrizioni, corrispondenti alle Regioni italiane e alle due Province autonome di Trento e di Bolzano, attribuendo a ciascuna il diritto di eleggere almeno un rappresentante e distribuendo i seggi in modo proporzionale. Qualunque sia la soluzione che si intenda adottare per le Elezioni Europee del 2024, alla luce delle riflessioni fatte, sarebbe comunque opportuna l’abolizione della clausola di sbarramento nazionale.

Fonte immagine: Flickr.

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