«Oggi è cruciale avere un’Unione più forte. E per avere un’unione economica e monetaria più forte dovremmo avere un bilancio comune della zona euro. Chiaramente il dibattito politico su questo punto ha ancora molta strada da fare. Ma sono ottimista».
Queste le parole di Draghi in una delle sue ultime interviste come Presidente della BCE. Nel Consiglio Europeo del 25 marzo il Presidente del Consiglio ha rilanciato con decisione la necessità di attivare un piano comune finanziario per l’Unione Europea in vista della ripresa economica post-Covid. Il suo intervento sottolinea la mancanza di una politica di spesa pubblica e di tassazione comune nell’UE che, attualmente, non consente interventi diversi da quelli utilizzati e in corso di definizione (come il Recovery Fund). Questi interventi hanno evidenziato la centralità delle istituzioni europee (in particolare dalla Commissione) nel fronteggiare la crisi. Questo tentativo di “comunitarizzare” la crisi riporta in auge il dibattito sulla possibilità di una politica fiscale comune (presumibilmente nel corso dei lavori dell’imminente Conferenza sul Futuro dell’Europa).
La questione è tanto delicata quanto complessa, in più occasioni nella storia dell’Unione Europea hanno compromesso il rafforzamento dell’integrazione. Prova ne sono il fallimento del tentativo di costituire sia una base imponibile consolidata comune delle imprese multinazionali (meglio nota con l’acronimo Ccctb), sia uno schema pilota di Home State Taxation per le imprese di dimensioni più contenute, sia l’obbligatorietà dell’adozione degli Ias/Ifrs in settori diversi da quello bancario e assicurativo.
Alcuni paesi, come la Germania (che in realtà ha beneficiato ampiamente dei margini di flessibilità cui si è fatto riferimento precedentemente) chiedono criteri e controlli sulle politiche di bilancio e sui sistemi di tassazione, che fino a questo momento sono stati domaine réservé dei governi nazionali.
Cos è la politica fiscale
La politica fiscale è, assieme alla politica monetaria, l’arma dello Stato per intervenire nell’economia. Può essere definita come l’intervento di regolazione (aumento o riduzione) da parte dello Stato delle imposte e della spesa pubblica per beni, servizi e trasferimenti del sistema economico nazionale, in vista di obiettivi di sviluppo economico.
Ci sono quindi due scopi: uno macroeconomico mentre il secondo è quello di fornire beni e servizi ai cittadini.
Da un punto di vista macroeconomico gli obiettivi della politica fiscale sono diversi ed a volte in conflitto fra di essi. I principali sono l’aumento dell’occupazione, la stabilità dei prezzi (obiettivo condiviso con la politica monetaria), l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, l’aumento dei redditi ed il contenimento del debito pubblico. Partendo da quest’ultimo, la prima nozione da introdurre è quella di “deficit”, o disavanzo primario. Il saldo primario è la semplice differenza tra entrate e uscite pubbliche (senza tenere conto degli interessi sul debito pubblico), se questa differenza è negativa (e quindi le uscite sono maggiori delle entrate) si ha il deficit, se è positiva si ha un avanzo primario e se è nulla vi è il pareggio di bilancio. La somma dei deficit dei vari anni unita al tasso d’interesse su questi dà il debito pubblico.
Si fa spesso riferimento al concetto di unione fiscale come il “necessario completamento alla politica monetaria”, in un’ottica di condivisione del rischio.
Armonizzazione fiscale
La necessità di armonizzare le regole fiscali in Europa è al centro di un serrato dibattito avviatosi dopo la creazione dell’Unione Bancaria. Secondo Franco Gallo, Presidente Emerito della Corte Costituzionale, la tassazione nell’Ue è già elevata se paragonata agli standard internazionali. Qualsiasi discussione sull’armonizzazione fiscale dovrebbe essere mirata a correggere le distorsioni esistenti create dalla competizione fiscale nell’ambito dell’Ue, principalmente nel settore delle società e, più specificamente, in quello bancario. La creazione di un’Unione Bancaria potrebbe rappresentare un passaggio naturale in vista del raggiungimento di questo obiettivo.
Il 10 ottobre 2014 fu firmato un accordo da 58 paesi a Berlino che ha portato allo scambio automatico di informazioni circa i conti esteri tenuti nel sistema finanziario di ogni paese firmatario. È bastata la determinazione degli Usa e di altri importanti paesi a volere accedere automaticamente a informazioni concernenti i propri residenti per ragioni di sicurezza e di evasione, a rendere impossibile ai paesi considerati paradisi fiscali, sottrarsi all’accordo. A esso hanno dovuto aderire anche il Lussemburgo, oltreché le Isole Cayman, Singapore e San Marino. Questa forza di pressione è, del resto, alla base degli accordi stipulati dall’Italia con la Svizzera, con il Lichtenstein e con il Principato di Monaco.
L’Ue dovrebbe, quindi, cogliere l’occasione offerta da questi accordi e dalla recente creazione dell’Unione Bancaria per allargare l’ambito della cooperazione fiscale riprendendo il ricordato progetto di un coordinamento delle basi imponibili, delle aliquote e delle misure di incentivo e disincentivo. Si tratterebbe, secondo Gallo, di creare un sistema di tassazione del reddito societario più uniforme e trasparente, in cui anche i tassi di cambio effettivi non siano significativamente superiori a quelli nominali e le differenze tra risultati economici e basi imponibili siano rappresentate da incentivi generano crescita (innovazione, investimenti produttivi, localizzazione di nuovi rami d’azienda, aumenti di capitale) e recuperino gettito dall’area dei profitti societari meramente speculativi (come i differenziali da trading, operatività in derivati non di copertura, ecc.), oltreché dall’evasione.
Capacità fiscale
Il potere tributario costituisce il presupposto essenziale affinché un ente sia in grado di esercitare le proprie competenze in modo autonomo: rappresenta pertanto il fondamento, assieme allo stato di diritto, della sovranità nazionale. La disponibilità di risorse fiscali e il potere di esigerne il pagamento da parte dei singoli sono infatti funzionali alla realizzazione degli obiettivi che il potere sovrano si propone.
Il meccanismo di determinazione di tali risorse, nonché la loro riscossione dipendono infatti ancora dagli Stati membri. All’Unione Europea è invece attribuita espressamente dal trattato una competenza di armonizzazione delle imposte indirette (articolo 113 TFUE), che si è tradotta nell’adozione di numerose direttive in materia a partire dalla fine degli anni ’60.
Un modello
Gli Stati Uniti, ad esempio, possono contare su “un’unione dei mercati dei capitali, un’unione bancaria completa e un safe asset comune”. Questi strumenti hanno consentito al presidente americano di varare un piano di stimoli da 1,9 trilioni di dollari, ancora più ambizioso rispetto a quello del Next Generation EU.
Grazie alla fiducia di cui il blocco comunitario gode, e quindi l’alto livello di rating, i tassi di interesse saranno prossimi allo zero. Nell’ottica di Draghi, questo potrebbe essere quindi solamente un primo passo verso una piena integrazione economica comunitaria, legata strettamente agli eurobond. Una via possibile è quella di creare un sistema tributario federale, contemplando l’istituzione di un tributo europeo federale di tipo diretto che si aggiunga all’attuale Iva e alle accise e finanzi, anche parzialmente, la spesa federale.
Per quanto concerne l’imposizione a società e imprese ci si potrebbe riferire al progetto di base imponibile consolidata .Vi potrebbe essere la possibilità di istituire un’imposta determinata in base allo statuto fiscale europeo delle imprese, ad esempio una corporation tax (ovvero un’imposta diretta sul reddito o sul capitale delle società sugli utili) da pagare nello Stato della casa madre.
Proprio perché si tratta di un sistema fiscale di tipo federale i tributi statali potranno continuare a essere determinati da ogni singolo Stato ed essere strumento di una ragionevole concorrenza fiscale (specie sul fronte delle aliquote) secondo i tradizionali schemi federalisti.
Essi dovranno, però, essere oggetto di coordinamento non dei singoli Stati ma, quando le diversità nella loro disciplina siano rilevanti sul piano delle politiche comuni macroeconomiche e contrastino con i principi basilari dello stato federale europeo, da parte del Governo federale e del Parlamento europeo. Il che, senza sconvolgimenti dell’ordinamento fiscale dei singoli Stati, dovrebbe implicare la revisione del Trattato Ue o, meglio, comportare l’inserimento in una futura Costituzione europea del richiamo al principio di autonomia finanziaria e, insieme, l’attribuzione all’unione federale di un potere di coordinamento. Questo troverà la sua giustificazione non solo, come oggi, di permettere un’equa concorrenza ma come strumento di decentramento a più livelli, compresa la nomina di un ministro unico delle Finanze.
Per portare a termine l’integrazione si dovrà, Secondo Gallo, recuperare a livello europeo una diversa idea di fiscalità, anche come strumento di raccolta delle risorse finanziarie essenziali per lo sviluppo e la sussistenza di una collettività secondo giusti principi distributivi.
È evidentemente un traguardo irto di ostacoli e difficile da raggiungere, ma è anche un traguardo senza alternative se si vuole costruire una vera unione politica europea.
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