Perché il Parlamento Europeo non è (ancora) un parlamento

, di Cesare Ceccato

Perché il Parlamento Europeo non è (ancora) un parlamento

Pur rispettando i presupposti, l’Europarlamento non dispone di un diritto parlamentare, punto comune di tutti i Parlamenti nazionali, come mai? Semplice, non è, o almeno, non è ancora un Parlamento. Vediamo perché.

Profondamente diversi nel numero di seggi che li compongono, nel metodo con cui i membri vi vengono eletti e nel sistema applicato, i Parlamenti europei sono sempre moltodifficili da paragonare, non fosse per il complesso di norme che li disciplina, più o meno ampio a seconda di tali differenze, ma che fondamentalmente riguarda tre punti: l’organizzazione interna, l’esercizio delle proprie funzioni e i rapporti con organi, istituzioni e soggetti terzi. Si tratta del diritto parlamentare. Da non confondere con la procedura parlamentare, ispirazione di tutti i processi legislativi, esso ha un’applicazione strettamente relativa al Parlamento; non si può quindi applicare ai consigli regionali o a un qualsivoglia altro organo che si occupi della produzione di leggi, come stabilito dalla Corte costituzionale italiana nel 2002. Se bastasse solo questo criterio, non dovrebbero esserci dubbi nel certificare la possibilità che il Parlamento europeo possa essere regolato da un diritto parlamentare, ma la questione è molto più spinosa di quanto possa apparire ad una prima superficiale occhiata.

Il Parlamento europeo adottò tale nome per prassi nel 1962, abbandonando il titolo di Assemblea comune che lo accompagnò per i primi dieci anni di vita, per consolidarlo poi, con l’Atto unico europeo, nel 1986, sette anni più tardi rispetto alla prima elezione diretta. Sul fatto che possa essere a piena regola un Parlamento e, di conseguenza, possa dotarsi di un diritto parlamentare, si espresse nel 1999 la Corte europea dei diritti dell’uomo. Questa ritenne il Parlamento europeo idoneo a essere qualificato come corps législatif, affermando che tale organo, pur non essendo ancora dotato di pieni poteri legislativi, costituisce oggi il principale strumento di controllo democratico e di responsabilità politica nel sistema comunitario. Il Tribunale costituzionale federale tedesco si trovò di parere contrario, di fatti, nella sentenza sul Trattato di Lisbona del 30 giugno 2009, esso dichiarò come il Parlamento europeo non sia un organo che rappresenta un popolo europeo sovrano, essendo il suo disegno istituzionale quello di una rappresentanza dei popoli attraverso i contingenti nazionali dei deputati assegnati, non di una rappresentanza dei cittadini dell’Unione in quanto unità indistinta secondo il principio dell’eguaglianza del voto.

Il contrasto tra le due Corti è sorprendente se si pensa che il Tribunale costituzionale federale tedesco si sia espresso con riguardo a un Parlamento europeo dotato di poteri ancora maggiori rispetto a quello cui si era riferita, dieci anni prima, la Corte europea dei diritti dell’uomo. Lo è di meno se ci si proietta nel diverso ragionamento che ha portato alla scrittura delle due tesi. Nell’esprimere il proprio parere, la Corte EDU ha guardato più all’obiettivo ultimo del Parlamento europeo in ottica federale, quello di istituzione di riferimento per tutti i cittadini del vecchio continente, piuttosto che concentrarsi su come operi oggigiorno, base della tesi opposta.

Oggi, a Strasburgo, sono presenti sette gruppi parlamentari, di questi solo due (il Partito Popolare Europeo e l’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici) possono vantare almeno un partito a essi collegato in ogni Paese dell’Unione, se a ciò si aggiunge il fatto che, da anni, nelle campagne elettorali immediatamente precedenti alle elezioni dell’Europarlamento vengano proposte dai vari partiti, in modo quasi sfacciato, anche idee e soluzioni che nulla hanno a che fare con l’operato comunitario, è difficile non dare ragione ai tedeschi. Tuttavia, arrendersi al fatto che l’unico organo totalmente democratico dell’Unione Europea non viva di uno spirito comune non piace a nessun europeista i fatti, le proposte per far sì che esso diventi simbolo del popolo europeo non mancano. Su tutte, grande rilevanza ha quella delle liste transnazionali, portate in auge nel 2017, affrontando la questione Brexit, da Sandro Gozi, allora sottosegretario agli Affari Europei in Italia. In quel caso, l’idea era quella di avvicinare i cittadini alle istituzioni europee, dando loro la possibilità di votare sia per i propri partiti nazionali che per personalità di spicco dei gruppi europei. Più generalmente, le liste transazionali vorrebbero la presenza sulla scheda elettorale di partiti presenti in tutta l’Unione (o, direttamente, del gruppo europarlamentare) con candidati che avrebbero la possibilità di rendersi eleggibili anche fuori dal proprio Paese di cittadinanza. Alle elezioni europee del 2019, il progetto ha avuto una parzialmente concreta realizzazione attraverso Volt, movimento politico paneuropeo fondato da Andrea Venzon che, sebbene non abbia potuto “spostare” candidati da Stato a Stato, ha esposto in otto Paesi (quelli in cui è stato possibile raccogliere le firme necessarie per presentarsi) lo stesso simbolo, le stesse idee e lo stesso programma elettorale.

Oltre alla viziata rappresentatività, lascia titubanti il modus operandi della produzione delle leggi, un punto importante su cui, paradossalmente, si è soffermata solo la CEDU. Il Parlamento europeo differenzia dai Parlamenti nazionali per la non piena disposizione del potere legislativo. Certamente, i 705 membri che ne fanno parte dialogano, discutono, dibattono come vuole il termine stesso in senso letterale, e sono loro, in collaborazione con il Consiglio, a emendare le proposte di legge ed emanare regolamenti, direttive, decisioni, consigli e raccomandazioni, ma non a loro appartiene la facoltà di presentare proposte legislative, esclusiva della Commissione europea. Il Parlamento europeo può chiedere un’iniziativa legislativa alla Commissione solo qualora essa non agisca in solitaria. Sarebbe conveniente che, anche all’interno dell’Unione europea, non ci siano intromissioni nelle tre funzioni dello Stato della teoria di Montesquieu. Sebbene ciò vada effettivamente a incidere sul procedimento parlamentare e non sul diritto, una svolta in quest’ambito potrebbe far passare in secondo piano il metodo di elezione attuale dei deputati che tanto ha infastidito il Tribunale costituzionale tedesco.

In senso strettamente pratico, quindi, il Parlamento europeo non può ancora definirsi un Parlamento, la Corte europea dei diritti dell’uomo deve rassegnarsi al fatto che un organo espressivo del popolo europeo in grado di legiferare indipendentemente al fine di assicurare un benessere comunitario, oggi non sia altro che un’idea e una speranza. Non fosse per questo, sarebbero ignoti i motivi per escluderlo da un diritto parlamentare, d’altronde, dispone di un’organizzazione interna (c’è un Presidente, 14 vicepresidenti, 705 deputati europei eletti democraticamente con un determinato sistema elettorale che assegna i seggi in proporzione alla popolazione dei vari Stati e una sede), di funzioni proprie (quelle già dette sul procedimento legislativo, la partecipazione alla procedura di adozione del bilancio, l’elezione della Commissione e il controllo sulla stessa) ed è strettamente collegato agli altri organi dell’Unione.

Insomma, seppur funzioni quasi come un vero organo legislativo, il Parlamento non si può ancora definire un’opera compiuta, come, del resto, si può dire dell’intero progetto europeo avviato negli anni ‘50. Da europeisti, non si può fare altro che confidare nella concretizzazione dello stesso nel più breve tempo possibile. Da federalisti, che questa avvenga come il piano originale prevedeva. Solo in questo modo l’Unione sarà in grado di dirsi rappresentante di un popolo intero, e la bistrattata istituzione che è il Parlamento europeo potrà vantarsi del titolo auto-assegnatosi e fruire di un diritto da cui è oggi sfortunatamente esclusa.

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