Perché il reddito di cittadinanza italiano non è conforme al diritto europeo

, di Cesare Ceccato

Perché il reddito di cittadinanza italiano non è conforme al diritto europeo
Foto di succo da Pixabay

Nuova procedura di infrazione contro l’Italia, nel mirino della Commissione europea c’è questa volta il reddito di cittadinanza. Contrario alle norme comunitarie, iniquo e discriminatorio, lo strumento va cambiato. Il Governo si è messo al lavoro ed è pronto a presentare la misura di inclusione attiva, che non pare però un gran miglioramento.

Qualche settimana fa, leggendo “Bubble - l’Europa fuori dalla bolla”, la newsletter mensile di Elania Zito, sono incappato in una notizia che mi ha incuriosito. La Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia.

Breve parentesi esplicativa: la procedura di infrazione è lo strumento attraverso il quale la Commissione europea - Istituzione che ha tra le sue funzioni quella di vigilare sulla corretta applicazione del diritto dell’Unione europea - segnala e, se necessario, sanziona quegli Stati membri che applicano norme contrarie all’ordinamento comunitario o risultano inadempienti nell’implementazione delle direttive europee.

Le procedure a carico dell’Italia sono a oggi ottantatre, di cui cinquantanove per violazione del diritto dell’Unione e ventiquattro per mancato recepimento di direttive, e sono destinate ad aumentare, considerata anche la decisione della Commissione europea degli ultimi giorni sull’illegalità dell’ultimo prestito nazionale ad Alitalia. Non dovrebbe quindi esserci nulla di strano nel leggere di una in più, se non fosse per il tema e la motivazione della stessa: il reddito di cittadinanza è difforme con il diritto europeo.

Sul reddito, mi sono posto molti dubbi. Da quando veniva ventilato in campagna elettorale dal Movimento 5 Stelle a quando è stato effettivamente adottato dal Governo Conte I, con tanto di festeggiamenti e gesti di vittoria sul balcone di Palazzo Chigi, i primi di tanti, che vedranno anche l’urlo “abbiamo abolito la povertà”. Ho sempre creduto fosse una soluzione semplicistica, della quale sarebbe stato un gioco da ragazzi trovare l’inganno, e che in breve tempo sarebbe stata cestinata. Ci sono andato vicino, dato che oggi anche i partiti che all’epoca sostennero il reddito di cittadinanza riconoscono come questo sia da modificare, ma che non fosse a norma europea non lo sospettavo minimamente. Ho quindi indagato più a fondo.

Nella lettera della Commissione europea, a essere prese in considerazione quale motivazione della difformità tra reddito di cittadinanza italiano e diritto europeo sono la libera circolazione dei lavoratori, i diritti dei cittadini e la protezione internazionale.

Una delle condizioni per accedere al reddito di cittadinanza in Italia è di aver soggiornato nel Paese per dieci anni, di cui due consecutivi, prima di poter presentare la richiesta. Questa risulta inconciliabile con quanto stabilito dal Regolamento 492/2011 e dalla Direttiva 38/2004 sulla libera circolazione dei lavoratori sul territorio dell’Unione. Le due norme sono applicazione di un presupposto fondamentale dell’Unione, fissato nel Trattato sull’Unione europea, agli articoli 45 e 46, e fonte di accordi non solo con i Paesi aderenti allo Spazio economico europeo (composto da Paesi UE e Paesi AELS), ma addirittura con quella mina vagante nel contesto continentale che è la Svizzera: la libera circolazione dei lavoratori implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Essa implica il diritto di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali.

Le prestazioni di sicurezza sociale come il reddito di cittadinanza dovrebbero quindi essere pienamente accessibili ai cittadini dell’Unione che sono lavoratori subordinati o autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente da dove abbiano soggiornato in passato. Inoltre, i cittadini comunitari non impegnati in un’attività lavorativa per altri motivi dovrebbero poter beneficiare della prestazione alla sola condizione di essere legalmente residenti in Italia da almeno tre mesi. Tuttavia, lo strumento fissa il requisito dei dieci anni di soggiorno che favorisce i cittadini italiani, più facilitati alla soddisfazione di tale criterio. Ciò comporta una discriminazione indiretta, in contrasto con l’applicazione dei principi del TFUE applicati con un’altra Direttiva, la 109/2003.

C’è poi la questione dei beneficiari di protezione internazionale - i rifugiati - i quali non hanno accesso a tale prestazione, in violazione della Direttiva 95/2011. L’articolo 26, comma 2, della stessa, stabilisce un principio di equità tra cittadini e beneficiari di protezione internazionale sulle opportunità relative al mondo del lavoro. Testualmente, gli Stati membri provvedono a che siano offerte ai beneficiari di protezione internazionale opportunità di formazione occupazionale per adulti, formazione professionale, compresi corsi di aggiornamento delle competenze, tirocinio sul luogo di lavoro e servizi di consulenza forniti dagli uffici di collocamento, secondo modalità equivalenti a quelle previste per i loro cittadini.

Insomma, quando è stata introdotta quella “rivoluzione” che è il reddito di cittadinanza non si è tenuto conto di una questione ovvia: l’Italia è Stato membro dell’Unione europea, aderisce allo Spazio economico europeo, e di conseguenza opera anche nel settore lavorativo in un assetto che oltrepassa i confini nazionali. Una questione tanto ovvia che il sottoscritto, come gran parte della popolazione italiana e gli stessi decisori politici, forse perché annebbiati da tutte le altre polemiche, sterili o meno, che hanno circondato il tema, non ne hanno dato peso fino al giorno in cui è stata recapitata la lettera proveniente da Bruxelles.

L’Italia dispone ora di due mesi per rispondere ai rilievi espressi dalla Commissione, e pare essersi messa all’opera fin da subito. Già nell’accordo quadro che il centrodestra presentò prima delle elezioni di settembre 2022, si prevedeva la sostituzione dell’attuale reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro. Tale previsione pare seguire più la filosofia del partito di maggioranza, Fratelli d’Italia, che ha sempre proposto di abolire il reddito di cittadinanza per introdurre un nuovo strumento che tuteli i soggetti più fragili anziché chi è in grado di lavorare, per i quali ipotizza non meglio specificati percorsi di formazione e un potenziamento delle politiche attive. La Lega, dal canto suo, ha sì duramente criticato le frodi legate al reddito, ma non pare aver mai pensato a uno strumento alternativo, forse perché partner di Governo del Movimento 5 Stelle quando la misura fu approvata.

Il Ministero del lavoro, guidato da Marina Calderone, sta ultimando l’erede del reddito di cittadinanza, la misura di inclusione attiva. La platea di possibili beneficiari si restringe, per l’accesso la soglia ISEE massima del nucleo familiare sarà di 9.360€ solo per le famiglie con figli a carico, per le restanti scenderà a 7.200€. Allo stesso tempo, dall’importo massimo di 780€ mensili previsti dal reddito, si passerà a un minimo di 375€ al mese per le famiglie di occupabili e di 500€ al mese per le famiglie con assenza di occupabili. Diversamente dal reddito di cittadinanza, poi, i beneficiari non potranno profittare più della misura al primo rifiuto di offerta di lavoro congrua. Nessuna altra chance prevista, o si prende o si lascia. Uno strumento rigido quindi, e che, personalmente, mi fa sorgere ancora più dubbi rispetto a quello che va a sostituire. Ma d’altronde, non posso lamentarmi, i partiti di maggioranza hanno promesso di modificare il reddito di cittadinanza, non di migliorarlo, e paiono aver mantenuto la parola.

In ogni caso, almeno con questa misura di inclusione attiva potrà essere archiviata la procedura di infrazione si potrebbe pensare. Ma come in un film di Scorsese, se Scorsese avesse mai diretto film tragicomici, manca il colpo di scena. La misura, praticamente pronta, si rivolge a chi abbia risieduto in Italia per almeno cinque anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo. Il Governo, con questa novità, non ha preso quindi in gran considerazione la decisione della Commissione europea, non ha definito un principio di equità, ha solo reso la misura meno iniqua di prima. Basterà a Bruxelles? Come per il reddito di cittadinanza e per la misura di inclusione attiva, io ho qualche dubbio.

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