Permanent Structured Cooperation, acronimo in inglese PESCO, è l’ultima proposta temporalmente avanzata tra i paesi europei per la cooperazione in ambito militare. Introdotto con gli accordi di Lisbona del 2009, il PESCO sembra promuovere, e promettere allo stesso tempo, dei nuovi passi in avanti nel campo della collaborazione tra i paesi europei nell’ambito della difesa militare. È un terreno sensibile e spinoso perché, estendendo le parole di Weber, il dominio della propria politica di difesa (dal punto di vista sia politico che economico) è fondamentale nell’affermazione della propria identità nazionale e non.
Il punto di partenza dei progetti PESCO è effettivamente l’iniziativa nazionale, ancorandosi quindi alla volontà dei paesi membri di partecipare ai diversi progetti in campo. Nonostante sia quindi dipendente dalle spinte nazionali, i PESCO si stanno dimostrando una pratica di successo tra i governi del Vecchio Continente, come dimostrano i 34 progetti lanciati tra lo scorso marzo e novembre. Progetti che vanno dall’EUROMALE (European Medium Altitude Long Endurance Drone), a guida estone, fino a posti di comando congiunti greco-ciprioti, sistemi di lancio-missili, ristrutturazione della difesa spaziale e del progetto GALILEO. Progetti che vedono al centro spesso la Francia, l’Italia, la Germania, ma in generale l’impegno di tutti i paesi membri.
Al di là dei singoli piani di sviluppo, interessanti per gli addetti ai lavori, quello che più i PESCO dimostrano è la presenza di un serio impegno dei paesi europei di collaborare in un delicato ambito, quello della difesa, in un momento storico in cui da un lato la NATO si vede indebolita dalla presidenza Trump e dall’altro vi è sempre una maggiora insicurezza, nei confini e al di fuori dei confini europei. Ucraina, Siria, Libia e Yemen non sono lontani e il peso dei loro effetti si fa sentire, in particolare, sulle frontiere più ampie dell’Unione. Se da un lato, a livello politico, le risposte a queste insicurezze sembrano essere state il nazionalismo e la xenofobia, con accuse alle istituzioni europee e de-responsabilizzazioni a più livelli di governo, nell’ambito della difesa si è cercato di generare nuove risposte partendo al contrario proprio dall’internazionalizzazione e dalla collaborazione transnazionale.
Non è un fenomeno del tutto nuovo. I progetti dell’Eurofighter, dell’elicottero Tigre, la base delle FREMM, dimostrano come l’impegno nazionale sia sempre più rivolto a progetti di respiro e profilo internazionali. Esigenze sia tecniche, che economiche, ma allo stesso tempo che danno un segnale politico. Il segnale che ci sono dei progetti che le nazioni, da sole, non possono portare a termine e che, in materie delicate, spesso l’appoggio migliore lo si ricerca comunque sotto il grande ombrello dell’Unione. I PESCO, nonostante siano una pratica bottom-up, dimostrano l’impegno che anche l’Unione, almeno nel coordinamento e nel finanziamento, sta investendo per spingere i propri membri a partecipare a progetti congiunti, tesi ad ampliare lo scambio di expertise, conoscenze e capacità e di risorse economiche. Una maggiore integrazione tecnica che, di per sé, spinge a sua volta una maggiore integrazione della leadership militare. Condividere le tecnologie e la progettualità vuol dire poi uniformare e condividere anche le scelte tattiche e strategiche.
I PESCO ovviamente non sono una panacea per ogni male. Questi progetti rimangono in ogni caso determinati dalla volontà degli stati membri di partecipare, in quantità e mezzi diversi. Rimangono strumenti per le nazioni, sotto l’ausilio e il supporto sia economico che operativo (tramite la Coordinated Annual Review of Defence e gli European Defence Funds, strumenti del PESCO) per ampliare le proprie capacità singole. Bisogna anche considerare che alcune iniziative in ambito della difesa rimangono saldamente sotto la singola spinta dei paesi europei, come nel caso dei progetti per i caccia di 5° generazione, con il progetto Tempest a guida inglese e quello ancora senza nome a guida franco-tedesca.
Allo stesso tempo, non si può scordare il pesante ruolo che gli Stati Uniti e i partner NATO continuano ad avere nella progettazione e nello sviluppo delle capacità militari degli stati membri. Basti pensare al discusso acquisto degli F-35, in cui comunque vi era tecnologia italiana, il cui però uso nella Marina Militare Italiana ha avuto bisogno del conseguente adattamento della pista di lancio di Nave Cavour, procedimento in svolgimento nei cantieri di Taranto, sotto supervisione di tecnici americani.
Sono però strumenti che partono dall’iniziativa nazionale e che per questo sono, in qualche modo, vittime dei venti che possono soffiare nella politica nazionale. I PESCO potrebbero essere qualcosa di più nel momento in cui diventassero uno strumento top-down, nelle mani del Parlamento Europeo, per gestire dall’alto delle nuove pratiche di collaborazione, finanziando e disegnando progetti da lanciare per coprire e uniformare i gap nel campo della Difesa tra i paesi membri, spingendo pratiche collaborative sempre più estese, a livello sia tecnico che, soprattutto, organizzativo.
La pratica di utilizzare questi strumenti potrebbe diventare una classica good practice, da estendere a campi al di fuori della difesa, meno strategici anche se necessari, forse però in qualche modo più visibili ai cittadini europei.
I PESCO potrebbero diventare la base per una più profonda riflessione su una difesa di tipo europea, non però basata su un network di singole nazioni individuali, ma piuttosto come un network di comandi a guida centralizzata, con l’Unione al centro come fulcro di un sistema di governance militare multi-level. È indubbio che un passaggio da forze militari nazionali ad una singola forza europea dovrà essere graduale, ma forse, come i PESCO stanno dimostrando, è un percorso anche obbligato in un mondo di sfide crescenti, in ampiezza e complessità. Se le forze militari hanno di per sé già dovuto confrontarsi con un panorama geopolitico e operativo totalmente differente, come l’impiego in missioni di pace, sorveglianza dei mari o anche in operazioni interne ai propri paesi (come Strade Sicure in Italia), guerre asimmetriche e prove di forza in scenari nuovi, un passaggio ad una governance non nazionale potrebbe essere un salto necessario per adeguare l’operato e i mezzi delle forze armate europee dinanzi queste nuove sfide. Ancora più pragmaticamente, un investimento continuo sulla cooperazione nell’ambito della difesa potrebbe spingere le compagnie impegnate nel ramo bellico a intensificare le già proficue relazioni tra di loro sul piano europeo, contrastando così su due fronti le possenti compagnie straniere e gli investimenti extra-europei che, come ha dimostrato il caso Piaggio, non sempre danno i risultati sperati.
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