Mario Albertini e la crisi del federalismo militante

Postfazione: le sfide per il futuro

Dai Quaderni Federalisti, n.1, a cura di Guido Montani

, di Guido Montani

Postfazione: le sfide per il futuro
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Continua la pubblicazione «Quaderni Federalisti, n.1», in questo numero incentrati sulle riflessioni di Mario Albertini sul federalismo e a cura di Guido Montani. L’estratto di oggi è la postfazione del curatore Guido Montani.

Ho avuto la fortuna di incontrare amici federalisti ancor prima di iscrivermi all’Università di Pavia. Ero probabilmente uno dei più giovani partecipanti all’esperienza pavese di cui parla Albertini nelle due Introduzioni. Sono nato durante la seconda guerra mondiale, ma l’angoscia provocata dal regime fascista e dalla guerra, percepibile ancora nelle persone che ho conosciuto, ha segnato i miei ricordi giovanili. La mia adesione al MFE è stata entusiasta: la prospettiva del federalismo europeo era la risposta ai miei interrogativi e alla mia latente passione culturale e politica. La militanza federalista è stata una scelta di vita assorbente, impegnativa e formativa. A Pavia, ci si ritrovava quasi ogni giorno al caffè Augustus, dopo pranzo, per discutere delle novità dell’ultima riunione di Basilea, o del MFE sovranazionale (MFEs), o per commentare gli avvenimenti politici recenti. Le discussioni erano del tutto informali e spontanee. La coesione e la trasparenza dei rapporti personali riuscivano a contagiare anche altri gruppi e sezioni del MFE.

A distanza di tanti anni, penso che le condizioni per la ricostituzione di un gruppo federalista con le caratteristiche morali e culturali descritte da Albertini nel 1986 non esistano più. Il vecchio gruppo dirigente si è frantumato e non è più ricomponibile. Forse tutto questo sarebbe successo anche senza la crisi del 1986, perché la coesione di quel gruppo è dipesa, in ultima istanza, dalla saggezza e dalle doti di leadership di Mario Albertini. Non si può tornare al passato. Occorre trarre dalla storia del federalismo militante gli insegnamenti essenziali per avviare un percorso che tenga conto della situazione nazionale, europea, internazionale e globale del secolo XXI. È questo l’orientamento che qui cercherò di descrivere, nella speranza che possa interessare e suscitare un dibattito fecondo sul futuro del federalismo militante. In primo luogo, cercherò di delineare le principali caratteristiche della situazione mondiale, poi affronterò la questione dell’unificazione europea, infine indicherò una prospettiva per superare la crisi del federalismo militante.

L’ordine internazionale attuale è caratterizzato dalla ripresa del nazionalismo come ideologia politica su scala mondiale dopo la fine della guerra fredda. Il governo bipolare delle due superpotenze è finito per sempre ed è stato sostituito da un sistema multipolare dominato da grandi potenze in competizione per la supremazia mondiale. In primo piano esiste il contrasto USA-Cina, ma non vanno sottovalutate le ambizioni di Russia, India, Brasile e altre potenze minori. Il ritorno di un nazionalismo aggressivo su scala mondiale è un pericolo reale. Questa ideologia spinge le grandi potenze alla ricerca di una superiorità militare mondiale e alla soppressione del dissenso interno, come succede in Cina, India e Russia, Brasile, ma in termini diversi anche negli USA, dove la politica di Trump non è stata affatto sconfitta. Infine, in Europa, il sovranismo europeo vuole invertire il processo di integrazione sovranazionale dell’Unione europea e trasformarla in una lega delle nazioni. La politica estera dei sovranisti è la genuflessione verso qualche grande potenza extraeuropea.

Il nazionalismo planetario può essere definito come un nazionalismo di seconda generazione perché, se confrontato con quello di Mussolini e di Hitler, presenta due fondamentali diversità: non può puntare all’autarchia economica, perché la rinuncia alla partecipazione all’interscambio globale isolerebbe e impoverirebbe drammaticamente la popolazione. Non può nemmeno ricorrere all’arma nucleare come rimedio estremo a un conflitto internazionale, perché ogni governo è consapevole che una vittoria nucleare è impossibile con le tecnologie esistenti, come avevano già compreso le due ex-superpotenze (MAD).

Tuttavia, la realtà politica odierna è che le grandi potenze ricercano la supremazia militare e tecnologica forsennatamente; tentano persino di trasformare lo spazio extra-terrestre e planetario in un campo di battaglia. La dottrina della ragion di stato – descritta dalla dinamica storica di Ludwig Dehio, come “Equilibrio o egemonia” – non spiega più questi comportamenti. Nessuna egemonia totale è possibile. Non ci sarà un imperatore del pianeta Terra, ma non si intravvede neppure la ricerca, da parte delle grandi potenze, di un eventuale equilibrio internazionale. Vi è solo, al di fuori e al di sopra di questa mediocre ma pericolosa realtà politica, la passiva rassegnazione verso una tragedia incombente sul futuro dell’umanità: la crisi ambientale. Il pericolo è riconosciuto. L’allarme cresce, specialmente tra i giovani, ma non c’è un governo mondiale che possa fermare l’inquinamento del pianeta prima che si arrivi a uno stadio irreversibile di degrado della biosfera. Gli stati sono sorti per garantire la vita ai propri cittadini. Oggi sprecano risorse enormi in armamenti, rinunciando a investire nella riconversione ecologica dell’economia. Gli abitanti del pianeta muoiono sempre più a causa di inondazioni, siccità, incendi, aria irrespirabile e pandemie. Se gli stati nazionali non garantiscono più il diritto alla vita dei loro cittadini, un’avanguardia politica dovrebbe assumersi la responsabilità di proporre una strategia per affrontare il problema della pacificazione internazionale, dello sviluppo sostenibile del pianeta e del superamento del sistema di Vestfalia. Il nazionalismo moderno può essere sconfitto da una politica internazionale che sappia contrastarlo con efficacia e, questo è possibile, se la politica dell’avanguardia verrà adottata da una “nuova potenza”, come l’Unione Europea, che deve scegliere tra un sistema internazionale potenzialmente disgregante, al limite devastante, e un nuovo ordine mondiale fondato sulla cooperazione pacifica per la pace internazionale e la sostenibilità ambientale di tutte le attività umane.

Il processo di unificazione europea è avanzato a passo di lumaca durante la guerra fredda. Ora la crisi del sistema internazionale e quella ambientale hanno provocato un’accelerazione: i vantaggi conquistati nel lento processo di integrazione sovranazionale potrebbero essere persi se l’Unione europea non riuscirà a diventare un attore mondiale, con una sua autonomia di bilancio e una sua difesa propria. In un mondo di grandi potenze in lotta, le mezze potenze finiranno per essere lacerate e sottomesse. Ciò non significa che l’Unione europea debba diventare una superpotenza militare. La politica estera europea dovrà basarsi più sulla diffusione del suo modello di integrazione sovranazionale che sui tradizionali mezzi della politica di potenza. La pacificazione internazionale e la lotta all’inquinamento del pianeta dovranno essere le sue priorità. Su questi fronti può assumere una leadership reale. Lo stadio d’integrazione raggiunto dall’Unione europea, sotto certi aspetti, può già considerarsi federale. Mi riferisco in particolare al riconoscimento della cittadinanza europea sovranazionale come modello di convivenza pacifica tra popoli nazionali di tutti i continenti. Questo modello può diventare il punto di riferimento per una politica che si proponga di sviluppare le riforme delle istituzioni multilaterali esistenti in vista del riconoscimento di una cittadinanza cosmopolitica, una comunità di cittadini del mondo. Se il federalismo europeo non riuscirà a esprimere una politica cosmopolitica, che trascenda i confini politici e geografici dell’Europa, sarà condannato a un triste declino. Prigioniero dei confini europei, il federalismo potrà alimentare solo una politica altalenante tra il patriottismo e il nazionalismo europeo.

Il reclutamento di giovani federalisti non può più avvenire affrontando solo i problemi dell’unificazione europea. Un giovane sedicenne oggi, per usare il riferimento di Albertini, è più interessato alla lotta per la salvaguardia ecologica del pianeta che ai meccanismi istituzionali europei. Se si prospetta con intelligenza il ruolo delle istituzioni sovranazionali mondiali, necessarie per affrontare i problemi della pacificazione tra grandi potenze e le politiche per la sostenibilità della biosfera, i giovani capiranno che il pensiero federalista è il necessario complemento politico all’ambientalismo. I giovani hanno compreso che l’incapacità dei governi nazionali di trovare soluzioni efficaci alla crisi planetaria mette in pericolo il loro futuro. Per il momento protestano, ma prima o poi dovranno comprendere che le loro proteste si devono trasformare in proposte politiche efficaci per costringere i partiti e i governi a rispettare i limiti all’inquinamento che la scienza indica con precisione. Se il pericolo è la scomparsa della vita biologica sul pianeta, la risposta politica deve essere planetaria.

Dopo Montreux (1947), i federalisti europei e i federalisti mondiali hanno iniziato una lunga marcia con strategie proprie, con forze separate e per conseguire obiettivi diversi. La situazione internazionale ha fatto maturare in entrambe le organizzazioni la consapevolezza della necessità di marciare uniti contro un nemico comune. I federalisti mondiali hanno compreso che l’Unione europea può essere un loro naturale alleato per la riforma democratica e ambientale delle istituzioni mondiali. I federalisti europei hanno compreso che l’avvenire dell’Unione europea non può limitarsi alla difesa dei suoi confini geografici, al respingimento dei migranti e al varo di piani ambientali efficaci in Europa, ma insufficienti per la soluzione della crisi ambientale mondiale (l’UE inquina solo per l’8% delle emissioni nocive).

È dunque venuto il momento di sostenere la proposta dell’unificazione dei federalisti, una “Union of Federalists”, che agisca unita per affrontare le sfide del secolo. Un gruppo di amici nel WFM e nell’UEF ha già avviato questo dibattito che dovrà condurre, si spera, a un coordinamento sempre più stretto per una strategia federalista unitaria in tutti i continenti e in tutte le città del pianeta Terra in cui esistono militanti federalisti. È questa la via per rilanciare il “nuovo modo di fare politica” e dimostrare che la militanza federalista è la sola scelta possibile per conciliare la responsabilità politica per il futuro sostenibile dell’umanità con la morale. Il nuovo soggetto della politica mondiale è l’umanità, non questo o quel popolo nazionale, e un nuovo umanesimo deve diventare la prospettiva culturale nella quale tutte le ideologie politiche tradizionali si possano riconosce. L’obiettivo finale è la comunità democratica dei cittadini del mondo. La norma morale del comportamento politico dei federalisti è semplice: “Pensa e agisci come cittadino del mondo”.

AVVERTENZA DI GUIDO MONTANI - Le due Introduzioni risalgono al 5 gennaio e al 4 novembre 1986. La trascrizione di un discorso orale incontra difficoltà simili a quelle della traduzione di un testo in una lingua diversa da quella originale. La trascrizione qui presentata ha richiesto pertanto piccoli aggiustamenti verbali, puramente formali; ho sempre tentato di mantenere il significato originale. A volte, è stato necessario ricordare chi fosse la personalità citata o chiarire meglio il contesto: in questi casi, la precisazione è stata inserita tra parentesi quadre […] per segnalare che si tratta di un’aggiunta del revisore. I riferimenti a persone sono stati sostituiti da tre stellette ***. Le espressioni sulle quali mi è sembrato opportuno richiamare l’attenzione sono state messe in corsivo. Tutti i titoli sono miei.

Si possono leggere i Quaderni Federalisti, in forma completa, sia scaricando il PDF allegato al precedente articolo che collegandosi sul sito personale di Guido Montani

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