La dissoluzione della Camera dei Comuni, annunciata da Rishi Sunak dopo il disastroso bilancio delle elezioni locali, segna l’inevitabile tracollo che il Partito Conservatore cerca di respingere ormai da mesi. Dalle dimissioni a marzo di due Segretari di Stato ai recenti propositi razzisti di un grande donatore del Partito Conservatore, Frank Hester, gli episodi di quest’anno non hanno fatto altro che accentuare un’ineluttabile crisi di governo. Il partito di Sunak, al più basso nei sondaggi pre-elettorali, si prepara con grandi probabilità a consegnare ai Laburisti le chiavi di Whitehall. Il principale gruppo di opposizione, guidato da Keir Starmer, molto presumibilmente non otterrà tuttavia la maggioranza assoluta in Parlamento: i due partiti messi insieme, stando ai sondaggi pre-elettorali, dovrebbero accumulare poco più del 60% dei voti popolari.
L’eventualità di un’ondata rossa dunque - di un rosso tra l’altro timido e sbiadito se confrontato ai tempi di Jeremy Corbyn - rimane improbabile quasi quanto una vittoria dei Conservatori.
Tra inganno e verità, ciò che dicono i sondaggi
I risultati sulle intenzioni di voto presentati da YouGov annunciano un vantaggio del 20% dei Laburisti sui Conservatori, mentre uno studio del Times comunicava poche settimane fa uno storico sorpasso di Reform UK sui Tories: uno scenario apocalittico per il Governo in carica, che va però sfumato tramite alcune considerazioni.
Le opinioni raccolte nei sondaggi, calcate su campioni di popolazione più o meno rappresentativi del suo insieme, sono un ottimo termometro della popolarità dei partiti in un dato momento che però non profetizzano in alcun modo l’esito delle elezioni. In un sistema maggioritario come quello del rinnovamento della Camera dei Comuni britannica, i seggi elettorali vengono attribuiti al primo partito di ogni singola circoscrizione, non rispecchiando dunque il loro complessivo peso elettorale su scala nazionale. I Laburisti, per esempio, i cui voti provengono per lo più dalle circoscrizioni maggiormente urbanizzate (e dunque più popolate), potrebbero nonostante le pertinenti ponderazioni venir sovra-rappresentati dai sondaggi.
Ciononostante, le previsioni elettorali evincono con chiarezza una serie di dinamiche tutt’altro che fittizie, a cominciare dall’esigua eventualità di una maggioranza assoluta di stampo laburista. Keir Starmer, a questo riguardo, non ha escluso la possibilità di formare un governo di coalizione con i Liberaldemocratici di Edward Davey.
L’evoluzione nel tempo dell’esito dei sondaggi consente tra l’altro di trarre alcune interessanti constatazioni. In confronto alle elezioni del 2019, che si conclusero con una vittoria schiacciante dei Tories di Boris Johnson, l’attuale equilibrio elettorale non sembra caratterizzato da un rafforzamento della sinistra a scapito della destra. In questi cinque anni, l’ascesa dei Laburisti si è verificata ai danni dei Nazionalisti scozzesi, mentre la crescente popolarità di Reform UK (ex partito del Brexit di Nigel Farage) ha coinciso con il penoso crollo dei Conservatori. Negli ultimi mesi, invece, sia il partito guidato da Rishi Sunak che quello di Keir Starmer sono calati nei sondaggi, a fronte dei progressi di Reform UK e dei Liberaldemocratici (l’ultimo dei quali ha anche concretizzato ottimi risultati nelle scorse elezioni locali). La fortuna quindi dei Laburisti, forti ma non fortissimi, sembrerebbe il frutto di una concentrazione dei voti del centrosinistra, a fronte di una destra spaccata tra i Conservatori e i seguaci di Farage.
Nuovo Governo, nuove prospettive
«La crescita economica è la nostra più importante missione», ha dichiarato Keir Starmer, l’avvocato leader del Partito Laburista dal 2020. Con un programma tutto incentrato sullo sviluppo macroeconomico e la stabilità del mercato del lavoro, l’attuale capo dell’opposizione promette di rimediare al disastroso bilancio degli ultimi Governi conservatori. Fin dal secondo mandato Johnson, caratterizzato in contesto di pandemia da un cronico disinteresse per l’economia e da un accordo post-Brexit ben poco ambizioso, la gestione dei conti pubblici del Regno ha lasciato a desiderare: a testimoniare flagrantemente è stato il brevissimo Governo guidato da Liz Truss e il suo catastrofico piano fiscale, durante l’autunno del 2022.
La recessione dell’anno seguente, assieme alle promesse tradite di Sunak su riduzione del debito pubblico e ripresa della crescita del PIL, si iscrivono nella continuità degli ultimi cinque anni. I Laburisti, che della stabilità economica hanno fatto il loro cavallo di battaglia, hanno proposto un piano di crescita orientato sul sostegno statale e su una regolamentazione dei mercati più efficiente. Al centro delle preoccupazioni di Starmer si trova lo sviluppo di un settore finanziario più efficiente, che dia lavoro e possa attirare capitali esteri. Per quel che riguarda l’approvvigionamento in elettricità, invece, il Partito Laburista intende creare un ente pubblico, la Great British Energy, che si occupi di investire nei mercati energetici considerati come strategici e nelle rinnovabili, indirizzando così i produttori e intermediari privati di energia su scala nazionale.
I Laburisti di Starmer, che si distinguono dalla New Left di Tony Blair per il maggior spazio accordato all’interventismo statale, rimangono tuttavia ben modesti se confrontati ai tempi di Jeremy Corbyn: l’idea di una nazionalizzazione delle principali imprese del Paese, così come la retorica sindacalista, sono scomparse dagli orizzonti del partito. E benché la probabile futura ministra delle finanze, Rachel Reeves, sembri simpatizzare con politiche di crescita keynesiane (quali il Quantitative Easing), il rigore monetario sarà probabilmente la colonna portante del prossimo Governo. Se il gruppo guidato da Starmer manterrà le sue promesse, ci si dovrebbe aspettare, per gli anni a venire, investimenti statali mirati a un minuzioso controllo delle finanze pubbliche. I mercati del lavoro, dell’energia e della finanza, insieme con l’educazione e la rimessa in sesto del sistema sanitario (National Health Service), dovrebbero essere i bersagli privilegiati di tali investimenti.
Sul campo della politica estera, invece, va notato che l’approccio al conflitto russo-ucraino non dovrebbe cambiare nei prossimi mesi. La fornitura di armi a lungo raggio al Governo di Kiev, così come l’impegno nel dedicare il 2.5% del PIL alla difesa, non sono stati rimessi in discussione dai Laburisti, che naturalmente proseguiranno con assiduità una politica pro-attivamente atlantista. Sul campo dei rapporti con l’Unione europea, invece, il partito di Starmer potrebbe voler modificare alcune disposizioni del Brexit, approfondendo i rapporti diplomatici ed economici con Bruxelles.
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