C’è in giro un nemico mortale nelle società europee, un nemico giurato delle nostre libertà, del nostro benessere e della pace in cui viviamo. Non ce ne accorgiamo perché sta lavorando segretamente, corrodendo lo spirito dei padri fondatori dell’Unione con una virulenza peggiore di qualsiasi pandemia, e con una potenza superiore a quella di qualsiasi Stato: oggi come cento anni fa quel nemico ha il nome di “nazionalismo”. Non credo sia necessario (d)enunciarne i campioni: sono ben noti sia ai loro sostenitori che agli avversari, e hanno ricevuto fin troppa pubblicità in questi anni disgraziati. Ma sono appunto davanti gli occhi di tutti, anzi si fanno addirittura vanto del proprio nazionalismo ribattezzato con il nome di “sovranismo” (che non vuol dire nulla, ma serve orwellianamente a nascondere una parola legata ai momenti più bui della storia mondiale): ed essendo così noti, così in cerca di consenso e di visibilità, non sono loro il nemico che lavora segretamente contro di noi e a cui mi riferisco.
Esiste infatti un nazionalismo inconsapevole: che è molto più pericoloso, perché si può essere nazionalisti in buona fede e con diversa misura, credendosi invece del tutto distanti o addirittura politicamente opposti ai nazionalisti espliciti. Ed è questo nazionalismo inconsapevole quello che può distruggerci, lavorando involontariamente a legittimare le pretese di chi dice “prima i miei”, costruendogli una base di consenso proprio mentre cerca di combatterlo. Mi rivolgo a te, caro lettore. A meno che tu non sia un federalista, mi dispiace dirti così brutalmente che sei un nazionalista inconsapevole. Hai il diritto di sentirti scandalizzato, come Pietro che si rifiutava di credere al “tu mi tradirai”: ma come lui, quando il gallo avrà cantato due volte scoprirai quanto è subdolo il nemico che credi di aver combattuto finora.
Rileggiamo insieme un passaggio del Manifesto di Ventotene che in questi anni è tornato di gran moda citare, senza comprenderne appieno il senso: “La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale”.
Ecco caro lettore, il grassetto è mio ma il resto è Altiero Spinelli che condensa in poche righe anni di riflessioni con Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, distillando il meglio del federalismo inglese, del pensiero di Kant, della logica stringente di Luigi Einaudi e Gaetano Salvemini, e creando un programma politico del tutto nuovo, l’unico che si proponesse di cambiare le regole del gioco: il federalismo. Se in queste settimane di quarantena non hai colto la vera posta in gioco sul tema della cosiddetta “solidarietà europea”, e sugli strumenti con cui realizzarla, non preoccuparti: sei in abbondante compagnia. Potrei anzi scommettere che quasi tutti intorno a te hanno mancato il bersaglio, visto che anche qualche ottimo federalista pensa che sì, in fondo, non c’è bisogno di far tanto chiasso se la Presidente della Commissione Europea si lascia scappare che ritiene “giustificate le preoccupazioni in Germania e in altri Paesi riguardo alle garanzie”.
Stai sicuramente ragionando in merito alla risposta da dare a una crisi che nessuno avrebbe voluto vivere: bond europei, MES o BEI? Sono opzioni che in parte sei in grado di valutare, anche in modo distaccato: ma ti senti anche vincolato a un giudizio di valore su chi propone ciascuna soluzione.
“Tra la Merkel e Conte chi ha ragione sugli eurobond?” “E perché Conte ha dalla sua Macron e il Lussemburgo, oltre a Spagna, Portogallo e Grecia, mentre la Germania oltre all’Olanda e alla Finlandia ha con sé Kurz, Kaczinski e Orban?” “Ma non si può usare uno strumento come il MES che non genera così tanti problemi, magari riconoscendo che è una situazione eccezionale come quella del 2011?” “E allora perché l’ex presidente della Banca Centrale dei Paesi Bassi e Joschka Fischer, Mario Monti, Romano Prodi e Jacques Delors, tra gli altri, si sono sentiti in dovere di muoversi a sostegno di un debito comune?” “E se avessero ragione i tedeschi, e il governo italiano sprecasse le risorse per nazionalizzare Alitalia? E se anche non lo facesse, non finirei comunque per legittimare un governo che avverso su ogni altra cosa, e che è incapace di gestire perfino l’ordinaria amministrazione? Dovrei specificare che Mario Draghi non sta dicendo che ci sono pasti gratis per tutti? E a proposito di Draghi, che aspetta Mattarella a dargli Palazzo Chigi per salvarci?”.
Ammettilo caro lettore, qualcuna di queste domande, in una forma più o meno esplicita, l’hai letta: e dentro di te hai risposto di volta in volta. Ma stai tranquillo, non è la risposta che stai dando a queste domande che fa di te un nazionalista inconsapevole. O forse faresti meglio a preoccuparti: perché è l’impostazione stessa delle domande che va rivista alla luce di quello che ci diceva Spinelli quasi 80 anni fa.
Stai accettando che il terreno di scontro sia quello della “solidarietà” e della “cooperazione” tra governi indipendenti: e per questo a volte ti trovi in difficoltà quando vedi le mosse propagandistiche da parte di Cina, Russia, Venezuela e Cuba, e cerchi di bilanciarle dando risalto ai medici dell’Albania, alle mascherine spedite dalla Francia e ai pazienti italiani trasportati in Germania. Stai accettando il principio che se la Germania e l’Olanda prestano con il MES dei soldi all’Italia siano i loro governi, in quanto prestatori, a valutare se il nostro Paese possa restituirli. Stai accettando che si possa ripetere l’errore del salvataggio greco, quando si mise in crisi l’eurozona per non correre il pericolo del moral hazard davanti all’opinione pubblica tedesca. Stai accettando che politici di altre nazioni, per non perdere consenso a casa propria, ne facciano acquisire qui a quei nazionalisti che sono i tuoi avversari politici, dando loro argomenti e munizioni a buon mercato: lasciandoti in balia e alla mercé di Stati canaglia che non vedono l’ora di approfittare di governi disperati o conniventi per indebolire ancora di più i vincoli che ci legano all’Europa.
La faccio breve: stai dando per immutabile il quadro dei governi nazionali che prendono decisioni comuni. E in questo modo stai facendo “sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità”. Perché quello che sto cercando di dirti è che sei legato a una logica multilaterale, non sovranazionale. Ma il multilateralismo è ancora una forma (asintomatica, se mi consenti il termine) di nazionalismo, come aveva capito più di cento anni fa Luigi Einaudi mentre seguiva i lavori della conferenza di pace a Versailles, e come spiegava Francesco Rossolillo ancora pochi anni fa.
Non so se lo hai sentito, ma il gallo ha appena cantato di nuovo. Conosco le tue resistenze interne, caro lettore: hai mille obiezioni e altrettante spiegazioni, ma se non sei pronto a riconoscere i loro limiti io non posso farci nulla. Posso ascoltarti e perfino darti ragione su tutto, ma questo non cambierebbe le cose: staremmo semplicemente ragionando in un’ottica nazionalista. O intergovernativa, o multilaterale. Sono solo altri termini più accettabili per definire la stessa cosa: proprio come “sovranismo”.
Se invece, per pura ipotesi, le parole di Spinelli ti facessero nascere una visione diversa delle cose, e domande diverse sul da farsi, allora forse avrebbe senso che io ti dicessi all’orecchio che il problema di cui bisogna discutere non sono i soldi e il meccanismo che li deve erogare, ma il modo in cui devono essere finanziati e chi deve avere il potere di impiegare quelle risorse. Perché un (piccolo o grande) debito comune non è l’unica strada, e i governi nazionali sono in ogni caso gli attori meno indicati per gestire il recupero dell’economia europea: per questo serve soprattutto un potere di imposizione fiscale europeo, e si può partire da transazioni finanziarie, giganti digitali e carbon border tax; serve che quel potere sia gestito da un vero Ministro delle finanze europeo e che quei fondi siano spesi da un vero Governo europeo, politicamente responsabile davanti al Parlamento Europeo, per esigenze europee. E se questo non è il momento di creare quanto ti ho detto (e tu sai che è necessario) allora dobbiamo sperare che non ci sarà mai più un momento: perché vorrebbe dire che la situazione davanti a noi sarebbe perfino più grave di quella che stiamo vivendo. E non venirmi a parlare di tempi ridotti: questa crisi durerà a lungo, lo sappiamo già e solo il modo in cui impiegheremo questo tempo per costruire il futuro ci dirà se sarà stata un’esperienza dolorosamente utile.
Quanto ci vuole a scrivere una dichiarazione politica forte e congiunta, sul futuro dell’Europa? Te ne scrivo una bozza io, molto veloce: «Noi, Stati membri dell’eurozona, crediamo che sia giunto il momento di andare avanti con coraggio nel progetto di integrazione che venne lanciato 70 anni fa: chiediamo perciò ai nostri cittadini di sostenerci nel completare un’Unione più democratica, più giusta e più in grado di dare risposte alle loro esigenze di libertà, di benessere, di sicurezza e di pace. Chiediamo perciò ai nostri Parlamenti, al Parlamento Europeo, alla Commissione di voler procedere senza indugio alla definizione degli obiettivi della Convenzione sul Futuro dell’Europa, con l’obiettivo di creare il nucleo di un’Unione Federale che sarà aperta a tutti gli Stati che vorranno aderire, nel rispetto della loro sovranità su tutte le materie che la Convenzione definirà non appropriate al livello federale, scrivendone la Costituzione».
Non ci vuole tempo, non si parla di soldi. Ci vogliono invece capacità, coraggio, visione, e volontà: doti che ogni politico degno di questo nome dovrebbe avere a disposizione, almeno nella cerchia dei propri collaboratori più stretti. Perciò ora dimmi, caro nazionalista (non più) inconsapevole, ti pare un sogno utopico? Lascerò che sia Alexander Hamilton a risponderti: “Sperare in una permanenza di armonia fra molti Stati indipendenti e slegati sarebbe trascurare il corso uniforme degli avvenimenti umani e andare contro l’esperienza accumulata dal tempo”. Come dice un saggio proverbio: “Il momento migliore per piantare un albero era vent’anni fa; il secondo momento migliore è ora”.
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