Saladino, Ventotene e i Trattati di Roma

, di Daniele Armellino

Saladino, Ventotene e i Trattati di Roma

Lasciate che inizi raccontandovi una storia ambientata lontano nel tempo, molto lontano, all’epoca della Terza Crociata. Essa narra di Riccardo Cuor di leone, ormai da solo a capo degli eserciti cristiani, e di Saladino, Sultano di Siria ed Egitto, avversario pro tempore dei cristiani d’oltremare.

Dovete sapere che il Re inglese chiese più volte durante la crociata di incontrare il Sultano, ma lui rispose sempre di no, non volle mai incontrare Riccardo, se non per l’intermediazione dei suoi ambasciatori.

La motivazione era questa: non era cosa buona, secondo Saladino, che due sovrani s’incontrassero, si scambiassero doni, si manifestassero reciprocamente rispetto, per poi riprendere a farsi la guerra.

Potrete immaginare la meraviglia del Re plantageneto di fronte a risposte di questo genere: lui che, da giovane Duca d’Aquitania, era stato abituato a guerreggiare contro suo padre il Re Enrico II d’Inghilterra per poi rigiurargli fedeltà qualche settimana dopo, solo per iniziare di nuovo a insidiare i suoi castelli qualche mese più avanti, e così via, senza soluzione di continuità.

L’avrà considerato un costume esotico Riccardo, allora. Per usare un eufemismo.

E perché, vi chiederete a questo punto, a noi dovrebbe interessare questo in fondo irrilevante episodio della Storia? Secondo me, perché ci fornisce un’immagine chiara e definita di quanto sia importante che in politica forma e sostanza coincidano.

Saladino credeva a ciò che faceva, dava un significato a ogni sua azione politica; incontrare, perciò, un nemico di guerra, un Re, mangiare con lui, conoscerlo, condividere con lui del tempo, magari siglare anche una pace, non potevano rimanere soltanto elementi formali, vuoti di ogni significato e sostanza politici. Sarebbero venute meno forse per il Sultano, in un certo senso, la sua autorevolezza, la sua parola, insomma, la sua dignità di sovrano.

La ritrosia di Saladino nell’incontrare Riccardo, di conseguenza, rappresentava la sua volontà di preservare un simbolo dell’autorevolezza della sua parola, della sua affidabilità. E i simboli in politica, sono importanti.

Come la Corona del Sacro Romano Impero: possederla, insieme con gli altri regalia imperiali, significava avere l’autorità formale per reggere l’Impero. A una condizione, però: che il suo possesso venisse sanzionato dal Papa, e che pertanto egli desse sostanza a quella forma ormai acquisita, per il tramite dell’unzione e dell’incoronazione.

Ricapitolando, scrivevamo che i simboli sono importanti. Specie in politica.

E per noi, Ventotene rappresenta davvero un simbolo importante, importantissimo.

Rappresenta, innanzitutto, la lotta per la democrazia e la libertà contro il nazifascismo: scontarono il confino lì, tra gli altri, Sandro Pertini, Umberto Terracini e Altiero Spinelli;

Poi, per noi federalisti europei in particolare, ma non solo, l’isola rappresenta il luogo nel quale Spinelli, insieme con Rossi, Colorni, Hirschmann, pensò, progettò, scrisse, il Manifesto per un’Europa libera e unita, il Manifesto di Ventotene, appunto.

È una delle fonti alla quale attingere per trarne linfa vitale così da portare avanti la lotta federalista, cioé la lotta per un’Europa più giusta, democratica, forte, protagonista nel mondo globalizzato contemporaneo.

Una fonte alla quale però, bisogna che ci si ristori con giudizio.

Non come ha fatto forse il Presidente del Consiglio Renzi, a fine agosto.

La riunione del fu direttorio a tre, Merkel-Renzi-Hollande, ha rappresentato un doppio fallimento, sia per le politiche europee italiane, sia per il progetto d’integrazione europea nel suo insieme.

Per due motivi, a mio avviso:

Il primo dei quali, rappresentato dall’esito negativo e insignificante (scontato) del vertice informale dei Capi di Stato e di Governo di Bratislava del sedici settembre scorso, dove le istanze del direttorio di fine agosto su investimenti in Africa, gestione dei flussi migratori, flessibilità, non sono stati quasi del tutto tenuti in considerazione. Un fallimento sostanziale, quindi;

Il secondo, rappresentato dal fatto che la cornice simbolica nella quale si era tenuta la riunione italo-franco-tedesca di Ventotene, aveva fatto in qualche misura presagire una reale volontà di un cambio di passo, un cambio di marcia, da parte almeno dei Paesi fondatori, delle maggiori potenze economiche e politiche (apparentemente!) dell’Unione.

Cambi di passo e di marcia che, nonostante la potenza evocativa di Ventotene, evidentemente, non ci sono stati, e che hanno visto al contrario Renzi rimanere isolato e arrabbiato, anche se pur sempre impotente di fronte al procedere degli avvenimenti.

Qui sta il secondo fallimento, secondo me ancor più deleterio del primo: il fallimento simbolico, il fallimento politico nell’utilizzo di un luogo-simbolo come Ventotene, ispiratore del pensiero e dell’azione europeisti, quasi mitopoietico se volessimo un po’ esagerare!

A Ventotene è stata sciupata la possibilità di dare un colpo di reni serio, vero, per ritrovare quella dignità che noi europei non riusciamo più a scorgere, quella affidabilità della quale scrivevamo prima a proposito di Saladino, che adesso ci farebbe solo un gran bene.

E forse, se non la riusciamo a trovare un motivo c’è, ce lo siamo detti più volte: è sbagliato in partenza il modo di agire! Basta con le decisioni prese a livello intergovernativo. Basta con i direttorî, allargati o meno che siano al Governo italiano. Basta con le mediazioni esasperate di Tusk e Juncker. Di tutto ciò, l’unica cosa apprezzabile è data dalle foto, un po’ “off the record” di Filippo Sensi! (Sdrammatizziamo)

Serve un coinvolgimento del Parlamento europeo, serve un bilancio federale vero, sotto il diretto controllo della Commissione, che tra l’altro ha nel suo Presidente una figura legittimata nei confronti degl’elettori, grazie al sistema degli spitzen-kandidaten.

Parafrasando un altro Padre fondatore dell’Unione europea, se Renzi volesse davvero passare per statista e pensare alle prossime generazioni, farebbe bene a dare tutto il suo appoggio alla manifestazione di Roma del 25 marzo 2017, per la celebrazione del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma.

Un altro simbolo che non ci possiamo proprio permettere di sciupare, così come si è fatto con Ventotene.

A Roma ci sarà bisogno del popolo europeo, dell’opinione pubblica europea; ma anche della presenza delle Istituzioni. E non mi riferisco solo a quelle italiane. Ci sarà bisogno di tutto questo complesso di “partecipanti”, anche per evitare che la Civiltà europea nel suo complesso sia, tra venti o trent’anni, materiale da museo o da antiquariato, così come quella americana nel romanzo La svastica sul sole di Philip Dick. Mi vengono i brividi solo a pensarlo.

I cittadini dovranno capire, dovranno sapere, che non si può tornare indietro, che il benessere, la democrazia, il lavoro, il protagonismo europeo nel mondo, torneranno soltanto se decideremo di unire le forze, insieme.

Spetterà a noi federalisti fare da avanguardia politica e culturale, così da accompagnare il processo di congiungimento politico finale tra forma e sostanza che tanto è importante per tutti noi, e che così bene ha insegnatoci Saladino a tenere in considerazione.

Per non fallire. Per non finire. La soluzione sarà la federazione!

1. Fonte immagine Wikipedia

Tuoi commenti
  • su 4 ottobre 2016 a 13:48, di Jean-Luc Lefèvre In risposta a: Saladino, Ventotene e i Trattati di Roma

    L’importance des symboles en politique? Bien sûr! L’importance pour nos amis Italiens de commémorer en mars prochain le 50e anniversaire des traités de Rome? Bien sûr! Mais pourquoi taire la «Manifestation du 25 mars 2017 au-delà la péninsule, pourquoi ne pas y convier aussi le reste de l’Europe et, d’abord, de jeunes fédéralistes Européens? Pourquoi ne pas, amis Italiens, convoquer ici vos réseaux diplomatiques en Europe pour donner à l’évènement toute le retentissement qu’il mérite? Tant pis, donc, si un détour par Saladin et Ventotene s’impose ici pour faire comprendre l’importance de la chose , un détour très bien décrit d’ailleurs par un jeune historien, déjà familier avec la»longue durée" chère à BRAUDEL!

  • su 6 ottobre 2016 a 00:59, di Giuseppe Marrosu In risposta a: Saladino, Ventotene e i Trattati di Roma

    Il problema con la soluzione che propone Armellino in questo bellissimo articolo è che essa è affidata alla stessa gente che crea i danni: i rappresentanti di governi (nella commissione) e popoli (nel parlamento) che sono contrari a federare i Paesi Europei. Basti pensare che sia tra i commissari sia tra i parlamentari ci sono dei britannici. E prendono parte alle decisioni sul futuro della UE. Un futuro nel quale si suppone loro saranno assenti.

    Io propongo invece, soprattutto a questo punto, che i Paesi che ci stanno si uniscano, scegliendone uno tra di essi che si annetta tutti gli altri come la Repubblica Federale Tedesca fece con la Repubblica Democratica Tedesca nel 1990. Questo dovrebbe avvenire nel rispetto della volontà popolare, dei principi repubblicani e democratici e nel rispetto della diversità dei popoli.

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