Scenari futuri dell’Unione: quale politica estera? Intervista a Cecilia Sanna

, di Cesare Ceccato

Scenari futuri dell'Unione: quale politica estera? Intervista a Cecilia Sanna
Marek Slusarczyk, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/license...> , via Wikimedia Commons

Avvicinandoci al 9 maggio, osserviamo gli scenari futuri della nostra Unione europea. Un tema di particolare interesse e attualità è quello della politica estera, che approfondiamo con un’intervista alla professoressa Cecilia Sanna.

Ringrazio a nome di Eurobull la professoressa Cecilia Sanna, qui con noi oggi per parlarci della politica estera europea di oggi e possibilmente di domani, e a cui chiedo subito di introdursi personalmente per i nostri lettori.

Cecilia Sanna: Grazie dell’invito. Io sono professoressa associata all’Università degli Studi di Milano. Insegno diritto dell’Unione europea e ho un corso in materia di politica e di relazioni esterne dell’Unione europea, in particolare nelle relazioni con la Svizzera.

Iniziando dal punto zero, quali sono le competenze dell’Unione sulla politica estera, a partire dalla PESC, quella che è la strategia europea più riconosciuta?

Cecilia Sanna: Prima di approfondire quella che è la politica estera di sicurezza comune, è bene ricordare che l’azione esterna dell’Unione europea si declina in diversi aspetti che riguardano anche l’aiuto umanitario, la politica commerciale, l’allargamento. Nell’ambito della PESC e della possibile evoluzione nella politica di sicurezza e di difesa, va detto che ci troviamo in un ambito di competenze che si distingue da quello che viene considerato come processo di integrazione tipico comunitario; in questo settore agiscono quelle che sono le due Istituzioni che rappresentano gli Stati, il Consiglio europeo e il Consiglio dell’Unione europea, con le decisioni assunte all’unanimità. Si tratta di un processo decisionale che si differenzia in modo sostanziale da quello che è il processo tipico di tutte le altre politiche dell’Unione europea contenute nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e che compongono il mercato unico, qui non solo non abbiamo un riconoscimento di un ruolo della Corte di giustizia, che può solo sindacare l’eventuale interferenza con le decisioni assunte in questo settore e le altre politiche del processo di integrazione dell’Unione, ma vediamo che questo settore soggiace ancora a una forma di cooperazione intergovernativa. Credo che proprio le vicende più recenti, quelle della crisi ucraina, abbiano messo in evidenza come questa struttura, sebbene abbia portato a una forma di coordinamento delle posizioni assunte dai singoli Stati membri, quindi una sorta di centralizzazione delle decisioni, preveda decisioni sempre frutto di un compromesso dei Capi di Stato e di Governo. Capi di Stato e di Governo che, come giornalmente vediamo, assumono poi anche posizioni differenti sul panorama delle relazioni esterne, da ultimo sulle relazioni con la Cina viste con la presenza di Von der Leyen a Macron a dialogarci.

Avendo citato il conflitto tra Russia e Ucraina mi aggancio e le chiedo qual è stato e qual verosimilmente sarà il ruolo dell’Unione europea nel rapporto con questi due Paesi, tenendo conto che la Russia è la potenza globale più geograficamente vicina all’Europa e che l’Ucraina rientra nel partenariato orientale nella politica di vicinato dell’UE?

Cecilia Sanna: Partendo da quest’ultimo punto, l’Unione europea sviluppa, sempre per parlare della sua dimensione esterna, una politica di vicinato, la cosiddetta PEV. Si relaziona cioè con quelli che sono gli Stati limitrofi attraverso due particolari partenariati: quello orientale con Armenia, Azerbaigian, Georgia, Moldova e, appunto Ucraina, e quello con i Paesi del Mediterraneo. Partenariato vuol dire sostanzialmente la sigla di accordi quadro di cooperazione attraverso cui si rafforza l’integrazione economica e l’associazione politica. In particolare, è divenuto prioritario per l’Unione europea nei rapporti con i Paesi di questi due partenariati ma anche in generale con tutti i Paesi terzi agevolare dei processi di democratizzazione, di rispetto dei valori fondamentali, dello Stato di diritto e dei diritti umani, i valori insomma fondanti menzionati all’articolo 2 del TUE. Il partenariato orientale ovviamente oggi è connesso alla crisi ucraina, il tema va considerato da un lato rispetto alla capacità dell’Unione di influenzare economicamente e politicamente questi Paesi - che evidentemente ha urtato la sensibilità del Governo russo - dall’altro rispetto a come l’Unione influenzi questi Paesi. Al di là del processo di democratizzazione, il carattere di queste relazioni è tipicamente economico, e uno strumento utilizzato per esportare i lavori sono le cosiddette clausole di condizionalità, punti che vengono introdotti negli accordi internazionali e che subordinano la vigenza dell’accordo al rispetto da parte degli Stati dei valori fondamentali dell’UE. Sull’Ucraina, l’intervento dell’Unione europea di febbraio dello scorso anno, con la decisione di aiutare la popolazione aggredita con l’invio di armi letali, è stato uno spartiacque; è stata la prima volta che l’Unione ha aiutato militarmente uno Stato non membro, ciò ha portato a interrogarsi e a discutere se questa sia entrata in guerra, essendo di fatto la situazione complessa e difficilmente collocabile nell’ambito del diritto internazionale, ma ha portato anche, in un momento particolare come quello di discussione sulla revisione dei Trattati, alla necessità di rivedere il tema della politica estera e di sicurezza comune che, allo stato attuale, non vede l’Unione agire come una entità portatrice di un interesse proprio. Difficile immaginare una modifica dei Trattati che implementi le competenze di questo settore, uno spiraglio si configura nella cooperazione rafforzata, meccanismo che consente ad alcuni Stati di strutturare una cooperazione più stretta in un determinato settore, in attesa che altri si uniscano, un po’ come accaduto con l’adozione dell’Euro. Un ruolo potrebbe averlo la Francia, visto che ha il diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ed è una potenza nucleare. Se la Francia ragionasse di mettersi al servizio dell’UE, si potrebbe creare una forma di cooperazione stretta, risolvendo anche la questione delle trattative diplomatiche, per cui chi si siede al tavolo in rappresentanza dell’Unione europea di fatto non c’è, non si trova.

Tenendo conto di tutti i limiti che ha oggi l’Unione europea in campo di politica estera, ricorda un evento che possa essere indicato come un successo di diplomazia a livello unitario nella storia europea? E un fallimento?

Cecilia Sanna: Il fallimento è certamente la CED, la Comunità europea di difesa, fallita ancora prima che nascesse la Comunità economica europea per forte opposizione della Francia. Per quanto riguarda il successo, io credo che di per sé l’Unione europea sia frutto di una capacità diplomatica, non dimentichiamo che noi se ragioniamo sul piano esterno vediamo delle carenze ma se guardiamo sul piano interno abbiamo oggi una capacità di dialogo strutturata che porta anche a risultati normativi di enorme portata e che vede al tavolo 27 Stati. Questo è l’intuito dei grandi statisti che sono i padri fondatori dell’Unione europea, la capacità di vedere in un’ottica futura, di grande lungimiranza, la possibilità che quegli Stati belligeranti potessero sedersi a un tavolo e dialogare anche in situazioni di conflitto. La crisi energetica che ci ha visto affrontare il tema dell’approvvigionamento nei mesi scorsi è avvenuta su dei tavoli di trattativa, o la crisi sanitaria che ha portato a un coordinamento anziché a un conflitto, questo lo dobbiamo a quella che è l’Unione europea stessa, un successo diplomatico strutturato. Sta a noi, agli operatori, a tutti quelli che in qualche modo possono diffondere cosa sia e cosa possa fare l’Unione europea fare di questa qualcosa di meglio.

Per concludere, uno sguardo al futuro. Cosa pensa che si dovrebbe cambiare in questo macromondo perché l’Unione sia fornita di una politica estera che sia davvero funzionale agli interessi dell’intera organizzazione?

Cecilia Sanna: Credo sia difficile che la prossima riforma dei Trattati possa ampliare le competenze in questo settore. Abbiamo visto qualcosa già a Lisbona, dove è stata resa coordinata l’azione esterna dell’Unione europea, cioè ci deve essere un’azione unitaria che tenga conto di tutti gli interessi globali, peraltro supportata dal Servizio europeo dell’azione esterna, struttura che vede la partecipazione di funzionari nazionali e di funzionari della Commissione e che costituisce una piattaforma eccellente unitaria, non frutto di decisioni intergovernative. Anche per la presenza di Paesi neutrali, la soluzione potrebbe più verosimilmente passare da una cooperazione rafforzata, sulla quale potrebbe vigilare la Corte di giustizia.

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