Sul governo dell’Europa vediamo di capirci

, di Michele Ballerin

Sul governo dell'Europa vediamo di capirci

Un paio di giorni fa un articolo apparso sull’Huffington Post ha fermato la mia attenzione. Il titolo (Europa senza governo) mi è parso subito azzeccatissimo, ma, stranamente, il resto del pezzo mi è riuscito indigesto. Non poi così stranamente, in fondo: l’autrice, Angela Mauro, è scivolata in un solco ormai molto battuto da chi segue la politica europea, e, certo senza rendersene conto, contribuisce ad alimentare un groviglio di equivoci su come l’Unione europea funziona, e soprattutto su come non funziona.

La tesi dell’articolo è che «il governo dell’Europa è fermo, saltato, non c’è». Muove dal presupposto che il governo dell’Europa sia la Commissione europea, e che, dunque, dovremmo aspettarci dal suo nuovo presidente, Ursula Von der Leyen, una serie di politiche risolutive su Brexit, ambiente, crisi catalana, curda, cilena ecc. Purtroppo la nuova Commissione appare già in stallo, «bloccata dalle ‘bizze’ - chiamiamole così - della democrazia, dagli sgambetti tra le famiglie politiche europee». «Eppure», prosegue Mauro, «il Parlamento è l’istituzione più attiva in questo momento».

Vediamo di fare chiarezza. Non è affatto vero che la Commissione è il governo dell’Europa. È vero quanto afferma il titolo dell’articolo: un governo europeo non esiste (non per nulla si parla abitualmente di «governance europea»); ma dal momento che qualcuno sta comunque cercando di governare l’Europa, bisogna chiedersi chi tenga in mano il timone, anche se poi non ci combina granché. La risposta dovrebbe essere immediata: sono i governi dei paesi membri a prendere le decisioni sulle materie che l’articolo chiama in causa. Lo fanno attraverso le istituzioni intergovernative dell’Unione: il Consiglio europeo e il Consiglio dei ministri.

E la Commissione? Prende atto, e cerca di eseguire. Tutt’al più propone, ma in nessun caso - si badi - impone. Non può farlo, non su questioni come la Brexit, il conflitto in Catalogna o la sporca guerra della Turchia contro i curdi, perché qui l’ultima parola spetta ai governi, che deliberano all’unanimità. E il Parlamento europeo sarà anche «attivo», ma partecipa della stessa identica impotenza, dato che le sue risoluzioni non hanno potere vincolante e ne fanno - come denunciava Spinelli negli anni Ottanta - più un «parlatoio» che un parlamento vero e proprio (così come la Commissione è più un «esecutore» che un esecutivo).

Sarà meglio che su questo non sussistano fraintendimenti, perché io credo che noi europei non possiamo permetterceli. Dobbiamo sapere come stanno le cose: dobbiamo sapere che il Parlamento europeo, l’unica istituzione eletta dell’Unione, non ha poteri sostanziali (penso soprattutto alla politica fiscale e alla politica estera, le due «gambe» della sovranità); che l’unico organo a cui lo lega un rapporto di fiducia, la Commissione, è anch’essa priva di sovranità effettiva, mentre le grandi decisioni europee, si tratti di gestire la crisi economica o affrontare le altre formidabili sfide geopolitiche che un mondo sempre più instabile ci presenta, vengono prese a porte chiuse da un gruppo di governi, riuniti in un conclave che nessun parlamento può sfiduciare, e che, di fatto, non deve rendere conto a nessuno delle proprie decisioni, dei propri rinvii o delle proprie omissioni.

Dunque non sono affatto le «bizze della democrazia» a legare le mani alla signora Von der Leyen. È esattamente il contrario: la sua impotenza è decretata sul nascere dallo stesso assetto istituzionale che fa dell’Unione europea un sistema sostanzialmente intergovernativo, opaco e poco democratico nelle sue deliberazioni e inefficace come può esserlo una qualsiasi assemblea composta da 28 membri che decidono all’unanimità. Che un nuovo presidente della Commissione al momento di insediarsi sciorini con la dovuta enfasi l’elenco delle sue buone intenzioni è semplice prammatica; sbaglia grossolanamente chi si aspetta che possa anche realizzarle.

Dopo avere dettagliatamente deprecato l’inevitabile, l’articolo termina con l’auspicio che la Commissione «riesca a conquistare terreno e potere decisionale dagli Stati membri», perché «è questa la sfida, è lì il vero blocco, è lì che manca il governo dell’Ue».

Ci siamo, dunque: non si può che concordare. Ma aspettarsi che la Commissione «conquisti potere decisionale» dai governi degli stati membri è come aspettarsi che la regina Elisabetta sciolga il parlamento britannico e risolva il problema della Brexit. Non può farlo, perché i Trattati europei non glielo consentono. Ed è per questo che i federalisti invocano (mica da tanto: solo dal 1943) una riforma istituzionale che dia i necessari poteri al parlamento europeo e al governo che dovrà esprimerne la maggioranza politica. Se non si passa da qui non si avrà nessun governo europeo, quali che siano il presidente della Commissione e i suoi propositi.

È decisamente meglio dire le cose come stanno, invece di alimentare false aspettative. Dal 1950 il re europeo se ne va spasso nudo come un verme, mentre tutt’intorno si finge di ammirarne o criticarne la mise. Ma l’unico presupposto per migliorare e progredire è affrontare la realtà: o si cambiano i trattati, consentendo una vera unione politica fra gli stati che vorranno aderirvi, o l’Unione europea resterà quello che è, una messinscena che mima una democrazia sovranazionale mentre lascia il potere in mano a 28 governi del tutto incapaci di rappresentare 500 milioni di cittadini e curarne gli interessi.

Articolo pubblicato sul blog L’Espresso «European Circus» curato dall’autore.

Fonte immagine: Public Domain.

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