È recente la decisione del parlamento ungherese di concedere al primo ministro Orbán una serie di poteri speciali, a tempo indeterminato de facto, e che molto praticamente sovvertono completamente tutto ciò che è uno stato democratico nella sua forma teorica. Ovviamente già il solo aver mosso in precedenza l’idea di questa totale presa di potere aveva mosso gli spiriti in Europa, sia a livello pubblico che di semplice riflessione teorica. Cosa vuol dire per una nazione democratica questo far convergere tutti i poteri dentro una sola persona? Cosa vuol dire, poi, per l’Europa? Il fallimento, detto molto brevemente. Ciò che Orbán ha fatto è un fallimento europeo su tutta la linea. Un fallimento europeo perché l’Europa non è stata capace di gestire i suoi confini, l’immigrazione legale e non. Un fallimento europeo perché, nonostante tutto ciò che come Unione ha fatto per paesi come l’Ungheria, non è riuscita a disegnare una via precisa verso una maggiore europeizzazione degli spiriti, divenendo di fatto un portafoglio da cui attingere e verso cui scaricare le colpe.
Ovviamente non possiamo ricondurre tutto all’Unione Europea: populisti come Orbán hanno la loro grande, massiccia dose di responsabilità. Né tanto meno possiamo addossare all’Europa le cause, che sono storiche, sociali e culturali, per cui così rapidamente in una situazione d’emergenza l’Ungheria ha preso la svolta della dittatura, nel termine più antico del termine. Come nell’antica Repubblica Romana, così anche oggi in Ungheria abbiamo assistito alla decisione, un po’ per paura, un po’ per incertezza sul futuro, di abdicare al proprio sistema per consegnare tutto nelle mani del classico uomo forte che, nell’idea popolare, è l’unico a poter affrontare e troneggiare la sfida del presente. Forse questa poteva essere una soluzione quando Roma doveva sfidare i Galli o lo strapotere Cartaginese, ma di certo non è la soluzione nel XXI secolo. Non è la soluzione, né tanto meno deve esserla. La situazione non è semplice, questo è indubbio. L’incertezza, la paura, l’ansia, troneggiano dai social media fino ai salotti e alle aree comuni di una qualsiasi abitazione. È naturale. Ciò non vuol dire che si possa cercare una scusa per decidere di rinunciare a ciò che si è faticosamente costruito. Molti diranno che, di fatto, questa è una posizione che non ha nulla a che fare né con le scienze sociali né con quelle politiche, ma che è un giudizio, una posizione morale. Lo è. Lo è perché nessun uomo è un’isola di granito. Gli uomini hanno ideali, e per gli ideali vale la pena battersi e scrivere. L’Unione Europea rappresenta un ideale, anzi, la base di un ideale che vede la sua prossima forma nella Federazione Europea. È l’obiettivo, ma è un obiettivo che non si può raggiungere se ci si concedono leggerezze come quella di Orbán non lo si può appesantire con il gravoso peso di ammettere la possibilità di una scelta come quella ungherese. Andava bene ai tempi di Roma, forse, ma oggi viviamo un mondo diverso.
L’Unione Europea si trova di per sé a un pericoloso bivio, come molti hanno già scritto più eloquentemente e più precisamente che in questa sede. L’Ungheria adesso ne ha offerto un altro che, però, senza tentennamenti, va affrontato di petto. L’Ungheria, se Orbán mantiene i suoi pieni poteri a tempo indeterminato e con tale estensione, non può trovare posto nell’Unione Europea. Non è in linea con nessuno dei nostri trattati fondamentali. Non è in linea con nessuno dei nostri principi. Così come una Polonia dove il potere giudiziario viene messo in ginocchio dinanzi la politica, così anche il potere assoluto di un individuo sono motivi di preoccupazione, causati da smarrimento, debolezza, fake news, tentativi di distorcere il sistema democratico ma non possono trovare posto nell’Europa né di oggi né di domani. Qui si deve disegnare una linea, una linea marcata, precisa. Una linea che a metà del XX secolo abbiamo cominciato a disegnare nel momento in cui le persone hanno preso le armi per combattere i regimi totalitari e che ci hanno condotto fuori dall’oscura era del fascismo e del nazismo. Così, oggi, senza arrivare a tali estremi, bisogna disegnare una linea. Se si vuole restare nell’Unione Europea, bisogna abdicare a tali movenze autoritarie e affrontare le sfide, dalle emergenze a quelle della routine, saldamente ancorati ai principi democratici. Non c’è un’altra via, non c’è nessuna alternativa a questo. Si può riflettere sulla forma della democrazia, su come affrontare le differenti sfide che come sistema pone, ma non la possiamo mettere in discussione. Per questo Orbán deve essere posto dinanzi a un bivio: dentro, ma ai nostri termini o fuori, con qualunque sistema egli voglia. L’Europa non può essere poliziotta del mondo, né tanto meno imporre la sua volontà in giro per il pianeta (non ne ha la forza, non ne ha il ruolo); ma può decidere, per iniziare a disegnare un mondo migliore, almeno la forma di ciò che è al suo interno, come base solida per il futuro. Può decidere di essere una democrazia o accettare queste pericolose disfunzioni. Nel secondo caso, non ha tanto senso di esistere.
Molti diranno che un gesto così audace potrebbe essere un’azione troppo pesante e dalle troppo pesanti ripercussioni. Forse però è proprio quello di cui l’UE, forse perfino il mondo, hanno bisogno. Covid-19 ha messo in luce tutti i problemi del sistema economico contemporaneo, le sue problematiche anche a livello sociale, culturale e psicologico individuale. Ha messo in luce la sempre maggior interconnessione del nostro globo, le sue fragilità. Così, ora l’Ungheria può mettere in luce qualcosa dell’Unione, ovvero che non si barattano i principi, per nessuna ragione al mondo. Che si disegna una linea e che quella è una linea oltre la quale non ci si può muovere, oltre cui non ci si può andare. Scendere a compromessi non vuol dire rinunciare alla propria anima e alla propria essenza. Non possiamo ogni volta stringere i denti, pensando così di trovare la forza per “ciò che conta”. Ciò che conta è questo, è nei nostri principi. L’Ungheria potrebbe soffrirne, così come l’Europea. A breve termine, molti nazionalisti grideranno allo scandalo, alla follia, all’idiozia, che l’Europa sta osando troppo e simili. Forse è quello che ci vuole. Dimostrare che l’Unione non accetta follie dittatoriali al suo interno, che ci sono limiti che non si valicano. Si può giocare in Europa finché si gioca con le regole comuni della democrazia. Oltre quello si può anche restare fuori. Solidarietà e democrazia. Questi sono i principi che dovremo dare alla futura Federazione, né di più né di meno di ciò di base. Potrà essere una Federazione basata sugli stati, a due velocità, sulle regioni, sulle province e contee, basata su città-stato. Non conta. Ciò che conta è che solidarietà e democrazia sono le basi del sistema europeo di oggi e di domani. Senza questi due elementi, non si va da nessuna parte. Non ha senso andare da nessuna parte. Tanto vale, a quel punto, ritornare agli stati nazione e ai loro conflitti.
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