Una fortezza senza democrazia: dove si incrina il progetto europeo

, di Sofia Terracina

Una fortezza senza democrazia: dove si incrina il progetto europeo
Foto di günter da Pixabay

A un giorno dall’inizio della diciassettesima edizione della campagna #DemocracyUnderPressure, un’analisi dello stato della democrazia in Europa. Un percorso tra le sfide che la Unione ha affrontato e quelle che ancora deve affrontare, e un focus sulle falle interne che le impediscono di essere pienamente efficace nel raggiungimento dei suoi obiettivi.

La democrazia è in crisi. L’Europa sembra essere tornata dalla luna di miele. Si è scoperta debole, la famosa pax europea non è più così inespugnabile.

È un decennio tumultuoso per la democrazia europea, e l’elenco delle sfide che ha affrontato e che la aspettano in futuro è lungo. In poco più di un decennio, le preoccupazioni economiche preesistenti, che già avevano provocato un aumento delle disuguaglianze economiche e sociali, si sono intrecciate ai timori della pandemia da COVID-19 portando in tutta Europa un trasversale sentimento di ingiustizia sociale, determinando una nuova ondata di proteste e una situazione di radicalizzazione sociale e instabilità politica. Il tutto direzionato verso una inevitabile ascesa di movimenti portatori di sentimenti antieuropeisti che hanno alimentato spinte alla disgregazione.

L’esistenza dell’Unione europea e del suo sistema di modello sociale - elemento fondante del sistema di valori europeo - sono stati garanzie di sicurezza sociale per decenni, almeno finora. Il modello sociale europeo, alla fine dei conti è basato sul binomio prosperità economica-redistribuzione, senza dimenticare che non è nemmeno un modello unico, vista la sussistenza di profonde differenze tra i sistemi di welfare nei vari paesi europei.

Al momento il modello sociale europeo è un insieme di valori con diverso grado di attuazione nei vari Stati europei. Vero è che ha limitato gli effetti della crescita delle diseguaglianze tra gli stati membri e al loro interno, ma ci sono stati ritardi, errori, incapacità, inefficienze sia da parte dei Governi nazionali e locali che delle Istituzioni europee.

Il modello sociale europeo e l’Unione stessa sono figlie di un mondo bipolare, ma grossi avvenimenti, tra cui la caduta del muro di Berlino, una globalizzazione sempre più accelerata, il tutto abbinato all’allargamento senza solide basi di democrazia partecipativa, hanno provocato una crisi d’identità che ancora non si è risolta. Il mercato unico e l’introduzione dell’euro, senza alcun seguito di politiche realmente unitarie ed europee, hanno esaurito oramai da tempo i loro effetti benefici sull’economia europea.

Siamo in assenza di reali proposte sovranazionali che abbiano come obiettivo una reale democratizzazione delle Istituzioni economiche e finanziarie. Il Next Generation EU, è solo la punta dell’iceberg. La realizzazione di un vero Piano europeo per lo sviluppo sostenibile e l’occupazione, rientrerebbe in una vera pianificazione democratica.

Ma non basta l’economia, anche la politica deve far fronte a sfide che non sono più solo interne ai singoli stati e superano di gran lunga i confini nazionali.

Occorre ripensare le priorità e ripartire dal deficit di democraticità oramai strutturale interno all’Unione europea.

Il fronte governativo però non batte colpi

L’assetto attuale dell’Unione – con un evidente gap – oltre a essere inefficiente, contribuisce a un’evidente disaffezione per il progetto europeo. Il deficit di democraticità, oramai non è strutturale solo in ambito economico, ma è cronico anche sul piano governativo e aiuta la crescente insoddisfazione sociale già minata da una perdurante crisi economica. Semplice valutazione, se si prendono le mosse dalla partecipazione politica dell’UE.

Non si può cancellare la realtà, economica e politica, di un processo e di un assetto istituzionale strettamente controllato dagli Stati, ma che se poteva prima funzionare, da un decennio a questa parte è fuori controllo.

Il processo decisionale rimane ancora saldamente nelle mani di due organismi difficilmente considerabili “democratici” - Consiglio europeo e Commissione. Non godono dei crismi di un’elezione popolare diretta, ma non peccano completamente di carenza di democraticità visto che la loro legittimità deriva, seppur in maniera indiretta, dai cittadini degli Stati membri.

La carenza alla quale si fa riferimento è che effettivamente nessuno abbia mai condotto, realmente, le proprie azioni secondo interessi europei. Di conseguenza la legittimità democratica europea è indiretta.

Al momento questa formula a trinità non convince nessuno.

L’UE è un sistema politico incompiuto che a ogni allargamento, a ogni crisi, ha visto aumentare il gap democratico tra cittadini e Istituzioni.

Il bilancio sul deficit democratico è qui. Sulle procedure di elezione, il Parlamento si piazza in testa, se non fosse che le sue elezioni sono usate dai partiti nazionali non per discutere tematiche europee ma per valutare il loro consenso nazionale. Con loro buona pace, nessuna delle tre può decantare un alto livello di democrazia e partecipazione popolare. Tuttavia, il punto critico è che in situazioni non emergenziali, l’Unione viene usata come ring tra interessi nazionali e non come cuore della reale espressione e volontà dei cittadini europei.

Questo continuerà a influenzare negativamente la possibilità di riformare l’UE in maniera tale da renderla più democratica, maggiormente rappresentativa del popolo europeo.

Soltanto incisive riforme istituzionali mirate a produrre una reale democrazia sovranazionale federale, compenseranno il divario tra Istituzioni e cittadini europei.

Il vanto di decenni di pace non basta più.

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