In quest’ultimo anno si è molto parlato di Euro, Italexit e futuro dell’Unione Europea. La discussione è sicuramente stata spinta dalla salita al Governo e alla guida del Paese di forze politiche esplicitamente anti-europeiste. Tale dibattito non si è tenuto solamente nei salotti tv o sulle colonne dei giornali, ma ha riguardato anche livelli più alti. Ad esempio, in Italia in ambito accademico è stata elaborata una proposta di riforma del fondo Salva-Stati (di seguito ESM) presentata dal Dott. Marcello Minenna dirigente responsabile dell’ufficio Analisi Quantitative e Innovazione Finanziaria presso la CONSOB, dal Prof. Andrea Roventini docente dell’Istituto di Economia presso la Scuola Superiore Sant’Anna e dal Dott. Roberto Violi a capo del team Risk Management e Modelli Quantitativi presso la Banca d’Italia.
Due degli economisti sopra citati erano stati in passato in orbita Movimento 5 Stelle, ma se ne sono allontanati al momento dell’accordo con la Lega che ha portato alla formazione del nuovo Governo e alla svolta univocamente anti-europeista del movimento guidato da Luigi Di Maio. La premessa all’elaborazione di questo progetto deriva dall’evidenza che l’unione monetaria europea non sta funzionando, con molteplici situazioni di stress e crisi che si susseguono dal 2008, e dal fatto che nell’ultimo periodo diversi economisti stanno invocando l’uscita dall’Euro come panacea di tutti i mali e, in particolare, un gruppo di economisti tedeschi è arrivato a proporre una sequenza di meccanismi propedeutici all’Eurexit, da attivare quando uno dei 19 Paesi che ne fanno parte dovesse uscire dall’unione monetaria. Roventini ha definito questa possibilità “una sciagura dai costi immani” per l’Italia.
Secondo Minenna, allo stato attuale, l’Eurozona si presenta in modo analogo a un sistema a cambi fissi destinato prima o poi a rompersi, come già ripetutamente accaduto in precedenza (Bretton Woods e lo SME sono solo i due casi emblematici più recenti). Questo futuro poco roseo si potrebbe paventare perchè l’area valutaria europea non può tollerare ancora a lungo una struttura a termine dei tassi divergente tra i vari Paesi che la compongono, dovuta alla nazionalizzazione dei rischi, e un safe asset non comunitario. La soluzione proposta individua come strada maestra da seguire la condivisione dei rischi, che porti nel tempo (tra le altre cose) a una convergenza delle politiche fiscali e alla ridefinizione dei poteri in capo alla BCE.
Il fulcro della proposta riguarda la riforma del ruolo e del funzionamento dell’ESM. Il fondo dovrebbe diventare garante dei debiti pubblici dell’eurozona, con un’operazione a rate. Infatti, ogni anno circa il 10% del debito di ogni Stato scade e va rifinanziato, pagando una quota interessi che si può scomporre in due parti: una che va a remunerare il rischio medio dell’eurozona e l’altra che va a remunerare il rischio dei singoli Paesi che la compongono. Quest’ultima coincide con il premio di un Credit Default Swap sul debito sovrano dello Stato ed è ovviamente più alta per alcuni di essi come l’Italia e la Spagna, mentre per la Germania è pari a zero.
I tre economisti italiani propongono di far garantire dall’ESM ogni tranche di debito dei Paesi dell’eurozona, ogni volta che viene riemesso. In tal modo, nell’arco di 10 anni massimo, con varie velocità a seconda della duration dei titoli obbligazionari, tutti i debiti sovrani dell’eurozona saranno garantiti dal fondo. Ciò porterebbe a un azzeramento degli spread (anche in un periodo di tempo inferiore a 10 anni, perchè i mercati finanziari tendono ad anticipare gli andamenti) e a una convergenza verso un tasso d’interesse comune, che copra il rischio medio europeo.
Gli emittenti dovranno così pagare una quota interessi analoga, remunerativa del rischio complessivo dell’eurozona, agli investitori che sottoscrivono il debito e un premio per la copertura del rischio-paese al European Stability Mechanism, che ha garantito il debito. Tale premio si differenzierà a seconda della rischiosità, con i governi di Grecia, Italia e Spagna che dovranno versare al fondo importi maggiori, rispetto alla Francia e alla Germania (che non verserà nulla). Secondo alcuni calcoli del dott. Minenna, con questa operazione si avrà una riduzione del debito medio dell’eurozona al di sotto del parametro del 60% sul PIL fissato a Maastricht e in particolare l’Italia vedrà scendere il proprio rapporto Debito/PIL al di sotto del 90%, mentre la Germania si porterà molto sotto al 60%.
I premi incassati dall’ESM saranno usati come copertura dal default del debito dei Paesi che faranno parte dell’accordo, ma su un certo ammontare dei premi potranno essere emessi dei titoli, che saranno il primo safe asset europeo (andando a sostituire i BUND, che impropriamente lo sono allo stato attuale) e serviranno per effettuare degli investimenti ad alto moltiplicatore nei diversi Stati che compongono l’area valutaria. In questo modo, il fondo diventa il primo budget federale.
Al termine dei 10 anni indicati, quando tutti i debiti avranno una rischiosità analoga perchè garantiti dal fondo alla stessa maniera, con il roll-on successivo di rifinanziamento, si potrà dare il via all’emissione di titoli di debito comuni europei e si arriverà così, nell’arco di 18-20 anni alla condivisione del debito, oltre che dei rischi. In aggiunta a questi aspetti, essendoci un budget federale, ci dovrà essere un Ministro delle Finanze europeo, che dia il via a un’omologazione delle politiche fiscali, ma anche in ambito di lavoro, welfare, pensioni. A conclusione del percorso, l’eurozona si sarà trasformata in una vera e propria federazione, con il grosso dei poteri in capo al Governo e al Parlamento Europeo e i singoli Paesi che la compongono saranno degli Stati federali sul modello degli USA.
Il rischio di moral hazard sul debito (ovvero il fatto che i singoli Paesi avendo il debito garantito dal fondo inizino a fare politiche fiscali scellerate che aumentano a dismisura il debito) dovrebbe già essere mitigato dalla presenza di un unico Ministro delle Finanze europeo, ma al fine di eliminarlo del tutto sono state indicate alcune clausole molto stringenti sul debito garantito dall’ESM. Sono infatti previste delle covenant, che oltre a impedire la possibilità di ridenominazione dell’indebitamento in un’altra valuta (ad esempio la lira nel caso dell’Italia), fanno decadere dalla garanzia del fondo il debito di quei Paesi che facciano politiche fiscali a deficit. L’unico deficit consentito, a parte casi eccezionali ancora da definire, sarà quello necessario a pagare i premi all’ESM.
La riforma del fondo salva-stati è cruciale, perchè gli oneri a carico dello stesso non ricadranno più come ora sulle finanze dei singoli Stati che lo hanno costituito. Secondo Violi, il nuovo ESM si può configurare su base privatistica: può essere assimilato a una compagnia assicurativa, strutturata in forma di società a responsabilità limitata, nella quale i singoli soci non rispondono con le proprie finanze e con il proprio patrimonio delle obbligazioni societarie. Infatti, nel caso in cui uno Stato con debito garantito dal fondo, pur avendo rispettato i vincoli sul deficit sopracitati, dichiari fallimento, dovrà cercare di ristabilire la propria situazione finanziaria partendo prima dal default del debito non ancora garantito. Se quella tranche dovesse non bastare e il default riguarderà anche la parte di debito garantita dal fondo, verranno usati i premi raccolti per coprire tale necessità. Se ulteriormente i premi raccolti non fossero sufficienti, si può prevedere l’intervento della BCE, analogamente a quanto accaduto in passato per le gravi difficoltà delle banche spagnole. In ogni caso, il nuovo meccanismo mira a salvaguardare i conti dei singoli Stati, non intaccandoli in alcun modo.
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