Unione dell’energia: un passo avanti e due indietro

, di Roberto Castaldi

Unione dell'energia: un passo avanti e due indietro

La schizofrenia dell’Europa in alcuni casi è legata al fatto che su certe materie i processi decisionali sono sostanzialmente federali, con un ruolo centrale per le istituzioni sovranazionali e il voto a maggioranza qualificata tra gli Stati membri (e quindi l’Unione riesce a decidere e agire efficacemente: perciò si dice che l’UE è un gigante economico), mentre su altre materie sono intergovernativi con decisioni unanimi dei governi nazionali (e allora spesso non si riesce a decidere e gli Stati membri fanno quel che vogliono e possono, cioè molto poco: e così l’UE è un nano politico ed un verme militare). Altre volte è legata al fatto che nel quadro di un determinato settore alcune decisioni sono di competenza europea e altre nazionali. Sul tema dell’energia e dei cambiamenti climatici in questi giorni abbiamo assistito a decisioni contraddittorie, frutto di queste situazioni.

La Banca Europea degli Investimenti - che è di proprietà degli Stati, è la più grande banca di investimenti del mondo, ed è quella che gestisce il Piano Juncker, cioè il Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici, che è riuscito a mobilitare più dei 315 miliardi inizialmente previsti ed è in linea con il nuovo obiettivo di arrivare a 500 miliardi entro il 2020 – ha appena deciso di non investire più sull’energia fossile. In sostanza ha compiuto una fondamentale svolta verde, e andrà quindi a contribuire in maniera importante al Green New Deal e agli investimenti sulle energie rinnovabili. Una buona notizia, coerente con la linea politica europea di leadership nel contrasto ai cambiamenti climatici.

Ma l’Unione dell’energia, intesa come una politica energetica unica europea, nei confronti dei fornitori di energia, rispetto alla rete energetica, alle riserve strategiche, ecc. è ancora lontana. Come dimostrano due mosse opposte appena decise da Polonia e Germania.

La compagnia energetica polacca ha notificato al colosso russo Gazprom l’intenzione di non rinnovare i contratti di fornitura in scadenza nel 2021. Un segnale della volontà polacca di cercare altri fornitori e di affrancarsi o comunque ridurre la dipendenza dalla Russia. Una scelta evidentemente legata anche a ragioni strategiche e di sicurezza. Al contempo la Germania ha approvato una legge per esentare dai vincoli della normativa europea il contestato gasdotto Nord Stream 2, che dovrebbe portare il gas dalla Russia alla Germania senza passare dall’Ucraina. La direttiva europea vieta che la stessa società abbia la proprietà sia di un gasdotto che del gas che deve condurre e la legge tedesca mira ad aggirare tale divieto - e potrebbe quindi essere impugnata dalla Commissione. La norma tedesca punta a rafforzare il legame con la Russia, e la dipendenza energetica da essa. Esattamente opposta a quella polacca.

È chiaro che nell’attuale situazione geopolitica - con il marcato disimpegno americano dall’Europa e dall’area di vicinato, e una situazione di straordinaria debolezza economica della Russia, che spinge il governo anche ad un maggiore avventurismo in politica estera per mantenere il consenso interno – l’Unione avrebbe interesse a ripristinare rapporti di collaborazione con la Russia, facendo leva sulla necessità economica russa, e al fine di favorirne la stabilizzazione, di ridurne l’aggressività e di collaborare nella soluzione dei conflitti e delle tensioni nell’area di vicinato. Nel contesto del negoziato – che dovrà includere una soluzione realistica alla situazione dell’Ucraina - la questione dei rapporti in materia energetica andrebbe trattato in modo unitario dall’Europa. Si tratta infatti di un tema centrale rispetto alla strategia europea per la transizione ecologica, e anche di una carta negoziale fondamentale nei confronti della Russia, la cui economia è incentrata sull’esportazione di energia.

La schizofrenia tra le decisioni di questi giorni della BEI, della Polonia e della Germania, è la stessa che spesso avvertiamo rispetto a temi come le migrazioni, le crisi internazionali, la Libia, l’atteggiamento rispetto alla via della seta e ai rapporti con la Cina, piuttosto che con gli USA, ecc. Cioè sui temi rispetto ai quali non esiste una piena competenza europea e una capacità di decidere e agire da parte delle istituzioni sovranazionali. L’ennesima dimostrazione di quanto sarebbe urgente completare l’unificazione europea, perché come ricorda Draghi l’unica sovranità efficace nel mondo globale è quella europea, non quella degli Stati membri. Ecco perché abbiamo bisogno di un vero governo federale, per avere un’Europa sovrana, democratica, solidale, in grado di rispondere ai bisogni di cittadini.

Articolo pubblicato sul blog L’Espresso «Noi, europei» curato dall’autore.

Fonte immagine: Commissione europea.

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