Unione europea e Federazione europea: a che punto siamo?

, di Michelangelo Roncella

Unione europea e Federazione europea: a che punto siamo?
Foto di Deniz Anttila da Pixabay

Come è strutturata l’Unione europea? E cosa le manca per essere una Federazione? In questo articolo, un’analisi approfondita, concentrata sui concetti chiave di territorio, sovranità e popolo.

Per molti decenni, i federalisti si sono battuti per creare un’Europa libera e unita, che sia una “Federazione europea”, gli “Stati Uniti d’Europa”, una “Unione Federale Europea”, una “Europa Federale” o - più accattivante - una “Repubblica Federale Europea”.

Contemporaneamente alla lotta federalista è avvenuto e continua ad avvenire il processo di integrazione europea. L’intreccio di questi due percorsi hanno spesso generato confusione tra “europeismo” e “federalismo”

La federazione è un articolato sistema politico istituzionale in cui diverse comunità (gli Stati, ma non solo) si uniscono sotto un’autorità “centrale” legittimata dai cittadini. Questo assetto si basa sulla divisione dei poteri, sia “orizzontale” sia “verticale”.

Si prevede quindi un sistema a “più livelli di governo”, con una condivisione di compiti: al livello federale il governo ha poche ma importanti competenze (difesa, politica estera, moneta, ecc.), mentre altre questioni altrettanto importanti come i servizi possono essere affidate alle amministrazioni che fanno parte della federazione - gli Stati, le Regioni, e gli enti locali, che sono i più vicini ai cittadini. - Il cosiddetto principio di sussidiarietà.

A questa “divisione verticale” si affianca una divisione “orizzontale”, la teoria di Montesquieu che limita il potere dell’esecutivo (il Governo), controllato dal potere legislativo (il Parlamento) eletto a suffragio universale e dal potere giudiziario (la Magistratura) che applica le leggi ed è indipendente dal potere politico. A questi si aggiungono gli organi di garanzia che sono la Corte Costituzionale e (in alcuni Paesi) il Capo dello Stato. Insieme ai diritti dei cittadini, questo complesso sistema ha il compito di garantire lo “Stato di Diritto”, volto a tutelare i “governati” dagli abusi di potere. Un sistema che deve valere per tutti i livelli di governo. Ancora, il Parlamento è “bicamerale”, con un ramo che rappresenta tutti i cittadini (la “Camera Bassa”) e un altro ramo che rappresenta gli Stati federati (la “Camera Alta”).

In Europa, dopo la Seconda Guerra Mondiale, per porre fine alla serie di conflitti armati che hanno devastato il vecchio continente, si sono confrontate - e scontrate - personalità con idee diverse di unificazione europea, facendo iniziare negli anni ‘50 il processo di integrazione che ha portato - non senza ostacoli - all’attuale Unione europea.

Ma l’attuale Unione europea è una federazione? La risposta è un “nì” tendente al “no”. Si tratta di un’organizzazione internazionale a carattere sovranazionale, con solo alcuni - e poco conosciuti - elementi federali. In più, il processo di integrazione europea è stato costruito su una serie di Trattati e vertici tra rappresentanti dei Paesi membri, che hanno deciso gli ambiti in cui cedere sovranità, tenendo ben stretta quella su temi cruciali quali politica estera e difesa. E sono sempre i rappresentanti dei Paesi membri, i Capi di Stato e di Governo, a essere punti di riferimento per i più quando si pensa all’Europa.

Eppure le Istituzioni dell’Unione europea sono plurime. Ci sono il Consiglio europeo,la Commissione europea, il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea, la Corte di Giustizia dell’Unione europea e, per i Paesi dell’eurozona, la Banca Centrale Europea (BCE).

Quasi tutti questi organi erano già previsti nel Trattato di Parigi del 1952 che istituì la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. La BCE invece è stata istituita con il Trattato di Maastricht, mentre il Consiglio Europeo è emerso decenni prima come insieme di riunioni più informali ma influenti dei Governi degli Stati membri (grazie alla regola dell’unanimità) per poi essere “ufficializzato” con il Trattato di Lisbona che introdusse anche la figura del Presidente del Consiglio Europeo.

La strana, duplice, natura dell’Unione europea è quindi dovuta al continuo scontro di lotta libera tra la componente «intergovernativa», cioè l’Europa degli Stati rappresentata dal Consiglio europeo e il Consiglio dell’Unione europea e la logica “sovranazionale” (e talvolta federale) rappresentata dal Parlamento europeo e la Commissione europea.

Da un punto di vista istituzionale la Federazione è considerata una forma di Stato, i cui elementi essenziali sono il territorio, la sovranità e il popolo.

Per quanto riguarda il territorio, ogni Stato membro dell’Unione europea ne ha uno proprio delimitato da dei confini - incluse le acque territoriali, lo spazio aereo, ecc. - dove le merci sono sottoposte a controlli doganali e le persone che vogliono o devono attraversare queste frontiere devono avere un passaporto.

Con il Trattato di Roma del 1957, furono aboliti i controlli doganali “interni” (cioè tra Paesi membri) e garantita la libertà di circolazione di merci, servizi, capitali e lavoratori. Tutto in funzione del Mercato Comune. Nel 1985 alcuni paesi dell’allora Comunità europea firmarono l’Accordo di Schengen che garantisce una libertà di circolazione “più generale” non solo lavoratori, ma anche tutti i cittadini comunitari che non hanno più bisogno del passaporto.

Benché gli accordi di Schengen siano inclusi nella normativa dell’Unione europea dal 1990, il “territorio dell’Unione europea” non coincide proprio con l’Unione stessa: si pensi al Regno Unito e all’Irlanda che hanno ottenuto l’opt-out di applicare questo accordo. Adesso, con la Brexit, questa esenzione è stata messa in discussione non senza preoccupazioni per l’Irlanda del Nord. Inoltre Romania e Bulgaria, Paesi membri dell’Unione dal 2007, sono entrati solo di recente (e parzialmente) nello Spazio Schengen, mentre Cipro è ancora fuori. Ancora, questa area di circolazione include paesi extra-UE come la Norvegia, la Svizzera, l’Islanda e il Liechtenstein, appartenenti all’Associazione europea di libero scambio (EFTA. A questa “stranezza”, rimangono alcuni aspetti problematici come la questione dei confini esterni, la gestione dei flussi migratori e i limiti legati alla cittadinanza europea.

Il secondo elemento, la sovranità, è il più complesso ed è considerato inseparabile dallo Stato. Infatti, gli Stati sovrani sono riconosciuti con la Pace di Westfalia del 1648, dopo secoli di lotte con altri centri di potere - principalmente l’Impero e il Papato. La sovranità è un medaglione: il lato “interno” che raffigura la capacità attraverso norme (in genere, le Leggi) di organizzarsi ed esercitare poteri sulla comunità dentro il territorio. Il lato “esterno” interferenze da altri soggetti al di fuori dello Stato. In parole povere lo Stato è “padrone a casa propria”. Si crea così una politica internazionale senza arbitri. Con la rivoluzione francese e i nazionalismi nel romanticismo, lo Stato diventò “nazionale”, dando alla sovranità anche un carattere identitario e culturale. Grossolanamente, “Stato” e “nazione” sono diventati praticamente sinonimi.

Nell’ultimo secolo questa sovranità statale-nazionale è stata messa in crisi non solo formalmente (la presenza di norme internazionali e quelle dell’Unione europea), ma anche di fatto per l’affermarsi di fenomeni di portata globale, nonché la cessione di sovranità militare (precisamente sull’arsenale nucleare) di alcuni Paesi appartenenti alla NATO.

Questa idea monolitica della sovranità fu già messa in discussione da Immanuel Kant, il quale immaginò una “Repubblica universale dei Popoli” nella quale la sovranità è divisa in “orizzontale” - i tre poteri di Montesquieu - e in verticale tra i “livelli di governo”. Questa divisione verticale si collega al Principio di sussidiarietà, con il quale il potere pubblico prende decisioni più vicine ai cittadini e ai territori in proporzione all’entità del problema da affrontare - Es., gli enti locali possono garantire alcuni servizi, mentre un ipotetico governo mondiale può adottare o imporre politiche legate all’ambiente o alle questioni digitali. In poche parole, questo principio può essere riassunto (con la dovuta attenzione) come una sorta di divisione dei compiti.

Nella pratica, il concetto di sussidiarietà si può trovare nella Costituzione italiana all’articolo 118, che aggiunge anche i principi di differenziazione e adeguatezza, nonché la “sussidiarietà orizzontale” in riferimento ai cittadini, sia come singoli sia come associati nei corpi intermedi. Il principio di sussidiarietà è anche disciplinato nel Diritto dell’Unione europea, all’articolo 5 del Trattato sull’Unione europea (TUE): l’Unione e gli Stati Membri hanno rispettivamente delle competenze “esclusive”, mentre in quelle “concorrenti” sono gli Stati a prendere decisioni, ma se le loro azioni fossero insufficienti, allora l’Unione può intervenire. I principi di proporzionalità e di attribuzione, rendono questa divisione delle competenze “più a favore” degli Stati membri. Questa spartizione, apparentemente facile, è disciplinata dagli attuali Trattati: mentre l’Unione ha competenza esclusiva sul commercio e sulla moneta unica, gli Stati Membri mantengono la politica estera e la difesa.

Infine, il popolo, l’elemento che va oltre l’aspetto giuridico-istituzionale. Quell’insieme di persone che vivono in un determinato territorio e su cui viene esercitata la sovranità. Un concetto molto complesso che si relaziona con i termini “popolazione”, “persone”, “cittadini” e “etnia” - o “identità”, spesso associata a “nazione” [1], nonché al “populismo” e alla “demagogia”.

Sul concetto di “popolo” è in corso un dibattito lungo secoli (se non millenni) da cui sono emersi molti significati che si collegano all’intera comunità, alle maggioranze (e le minoranze), ai gruppi e agli individui. Ancora, gli individui possono essere riferiti come cittadini, ma anche come persone in senso più esteso, inclusi gli stranieri e gli apolidi, i quali hanno diritti fondamentali ma - al contrario dei cittadini - non quelli politici.

“Popolo”, “cittadinanza” e “diritti politici” - hanno avuto le proprie evoluzioni - sono infine legate al concetto di “Democrazia”, da non dare per scontato, soprattutto per le derive autoritarie di alcuni Paesi (non solo in Europa), l’avanzata dei populismi, la polarizzazione esasperata del dibattito pubblico e un senso civico tutt’altro che diffuso.

Per quanto riguarda l’Unione europea, se si volesse paragonarla ad uno Stato, questo strano soggetto politico-istituzionale ha una propria moneta (l’Euro) e un proprio “territorio” (l’Area Schengen). Riguardo le Istituzioni, il Trattato di Lisbona, anche se se stabilito dagli Stati Membri, si avvicina parecchio ad una Costituzione in quanto indica i valori dell’Unione (l’articolo 2 del TUE), descrive le Istituzioni europee e integra la Carta dei Diritti Fondamentali (o “Carta di Nizza” del 2000).

La Commissione europea potrebbe essere l’organo esecutivo (il Governo), affiancato dal Servizio Europeo per l’Azione Esterna, il corpo diplomatico europeo guidato dall’Alto Rappresentante, che sarebbe il Ministro degli Esteri, così come sarebbero “ministri” i Commissari che compongono il resto del Collegio. Per non parlare di embrioni di “esercito europeo” come le Forze di Azione Rapida o i Battlegroups. Questo “Governo europeo” ha un rapporto di fiducia con il Parlamento europeo, l’unica Istituzione dell’Unione eletta direttamente dai cittadini europei che condivide con il Consiglio dell’Unione europea il potere legislativo, la politica di bilancio e la funzione di controllo. A ciò si aggiunge la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) che garantisce il rispetto del diritto dei Trattati gestendo le controversie tra le Istituzioni Europee e gli Stati Membri.

Infine, c’è il Consiglio Europeo, che rappresenta i governi dei Capi di Stato e di Governo, i leader politici con incarichi istituzionali più conosciuti dalle persone. Questo soggetto particolare contende con la Commissione Europea il ruolo di indirizzo politico (che è un po’ come il capitano di una nave che stabilisce la rotta) e interferisce sul processo decisionale dell’Unione europea attraverso il potere il veto.

Ultimo, ma non per importanza chi vive in questa particolare casa che è l’Unione europea: le persone, sia come individui (e cittadini) sia come gruppi (famiglie, associazioni, imprese, istituzioni, ecc.), con un particolare riferimento alla cittadinanza europea che conferisce ulteriori diritti (a cui sarebbe bene anche affiancare dei doveri), ma presenta anche dei limiti. Chi vive, lavora e studia nell’Unione e nei Paesi che la compongono non solo sono possibili beneficiari passivi come l’Erasmus, i fondi strutturali (o il Next Generation EU) o l’Area Schengen ma anche come soggetti più attivi a partire dal diritto di voto (o di candidatura) al Parlamento europeo, ma anche di partecipazione come l’Iniziativa dei Cittadini Europei, le petizioni rivolte allo stesso Parlamento europeo e il Mediatore europeo (o “Ombudsman” - Istituzione più conosciuto nei Paesi scandinavi).

Eppure manca qualcosa. Non solo manca, ad esempio, una difesa o una politica estera europea, ma anche un senso di vicinanza, vuoto: le Istituzioni europee non sono molto conosciute dalla maggior parte dei cittadini. E questo contribuisce ad alimentare un senso di distanza, disaffezione e disinteresse. Nonostante l’Unione (anche prima come Comunità) esista da parecchi decenni, questa è considerata il risultato di accordi tra i governi degli Stati membri, come se fosse una questione di politica estera, in precedenza di carattere economico. Mentre sono poco conosciute le azioni di “Europa dal basso” durante il processo di integrazione.

Per concludere, comprendere l’Unione europea non è semplice: le università si sono attrezzate solo negli ultimi anni. Sono diffuse diffidenza e scetticismo, ma anche interesse, prima alimentato da entusiasmo, ma adesso è anche dovuto a preoccupazione e necessità: ad esempio, si parla di “Europa con un’unica voce”, che riesca ad affermarsi come attore più forte. Ma non è scontato che si voglia un assetto federale.

Non è possibile (anzi, non è conveniente) conoscere l’Unione europea e una sua evoluzione di in senso federale in un unico discorso. Ma è anche limitante trattare un’Istituzione Europea in modo isolato senza considerare le altre. Per non parlare dei tecnicismi, veri o presunti. Perciò è necessario adottare un approccio più abbordabile con un linguaggio un più semplice possibile e atteggiamenti meno saccenti e più comprensivi.

Non si può accettare il fatto di stare in un soggetto politico senza conoscerlo e senza sapere gli strumenti che offre per fronteggiare vari problemi e questioni i quali ora, come non mai, devono essere gestiti in modo efficace.

Da un articolo degli anni ‘70 [2] a proposito dell’elezione diretta del Parlamento europeo, si parla della necessità del “consenso politico” (inteso come democratico) per cambiare l’Europa:

“[Lo] sviluppo della costruzione comunitaria ci induce infatti a tener presente che esso non può non andare di pari passo con sempre più evidenti progressi di carattere democratico. La Comunità non può affermarsi, [...] senza il consenso del popolo europeo. Le costruzioni di vertice hanno fatto il loro tempo, occorre l’adesione dei cittadini per portare avanti un processo, quale quello comunitario.

Modificando qualche parola, la questione non è cambiata molto.

Note

[1Una delle critiche al raggiungimento della Federazione Europea è che i Paesi (e i popoli) hanno storie molto diverse tra loro. Qui è evidente che si dia per scontato che per una comunità politica - nello specifico, lo Stato - sia necessaria una precisa identità nazionale, con la conseguenza di escludere - volente o nolente - determinati gruppi sociali (come le minoranze etniche o linguistiche, oppure le comunità LGBT, ecc.). Questo è frutto dell’intreccio di quei due processi plurisecolari, cioè lo Stato-nazione, considerato spontaneamente come la massima comunità politica esistente.

[2Marcello Dell’Omodarme, Ruolo e azione del Parlamento europeo per l’elezione a suffragio universale diretto dei sui membri, Il Politico, Vol. 36, No. 4 (DICEMBRE 1971), pp. 775-781. Il numero di Il Politico include anche la relazione di Mario Albertini e un intervento di Luigi Vittorio Majocchi, detto “Gino”.

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