Uno sguardo sull’accordo tra Italia e Cina

, di Walter Rapetti

Uno sguardo sull'accordo tra Italia e Cina

Come già ricordato da L’Unità Europea (cfr. nr.6/2017, articolo di Carlo Maria Palermo), la Belt and Road Initiative (BRI), nota giornalisticamente anche come “Nuova Via della Seta”, è una vasta operazione economica e politica promossa a partire dal 2013 dal presidente cinese Xi Jinping che dovrebbe coinvolgere 67 Paesi dell’Eurasia e del Nord Africa in un legame di cooperazione commerciale, economica e di sicurezza indirizzato da Pechino. Nel caso specifico dell’Italia la cooperazione fra le due realtà è sancita da un memorandum d’intesa (MoU) che fornisce la cornice giuridica a 29 accordi bilaterali (dieci intese fra aziende private e diciannove istituzionali) tra aziende italiane e cinesi per un controvalore di circa 7 miliardi di euro. Cassa Depositi e Prestiti interverrà direttamente a supporto degli investimenti che, da parte italiana, hanno lo scopo di tentare di riequilibrare la passività nella bilancia commerciale (che presenta un disavanzo di oltre 18 miliardi di euro annui) mentre, da parte cinese, hanno lo scopo di aumentare il livello di penetrazione nel settore tecnologico e industriale. Non è un caso infatti che tra le aziende che hanno siglato delle collaborazioni con gruppi cinesi nell’ambito dei colloqui per il memorandum sulla Via della Seta ci sia anche Ansaldo Energia, il gruppo di Genova tra i maggiori produttori al mondo di centrali elettriche, il quale dovrebbe ricevere delle commesse in affidamento diretto da Shanghai Electric, già azionista con il 40% di Ansaldo, in cambio della condivisione del proprio know-how tecnologico.

Gli accordi tra Italia e Cina non sono limitati all’aspetto industriale: si prevedono accordi nell’ambito della gestione degli scali ferroviari interni all’area portuale di Trieste e Genova, tramite la China Communications Construction company (CCCc) oltre ad accordo tramite la Ctrip (agenzia di viaggi di Pechino) per rafforzare la promozione del turismo cinese in Italia tramite accordi con Aeroporti di Roma, Trenitalia e Musei Ferrari. Il temuto ingresso della Cina nel mercato del 5G e nel piano di sostituzione e innovazione delle antenne e dei nodi di collegamento nel settore delle telecomunicazioni, che sta attraversando una nuova fase di sviluppo e crescita al suo interno, sembra per il momento evitato grazie alle pressioni di numerosi attori del settore, sia italiani che del resto del mondo occidentale. Non risulta invece definita, essendo legata in gran parte ad auspici di successivi incontri e accordi dettagliati, la reale portata economica degli accordi legati al settore turistico e della movimentazione mercantile che, al momento attuale, sembrano dipendere piuttosto da auspici e dall’esercizio della libera volontà delle parti. Se l’importanza dell’aspetto economico e commerciale risulta evidente, meno evidente ma forse ancor più rilevante è l’aspetto politico. L’Italia è l’unico Paese del G7 ad aver aperto le porte alla proposta di Xi Jiping ed è anche l’unico Paese fondatore dell’Unione Europea che ha accettato di siglare il memorandum d’intesa.

Se, dalla prospettiva italiana, l’atto ha destato perplessità (quando non aperta preoccupazione) nei nostri partner e alleati storici, dalla prospettiva cinese segna un indubbio successo della politica di penetrazione di Pechino volta a trattare bilateralmente coi Paesi delle aree di suo interesse economico, scavalcando e delegittimando le organizzazioni sovranazionali. È bene cogliere la diversità dell’accordo firmato da Roma rispetto a quello siglato da Parigi: non tanto nel volume d’affari (l’accordo francese ammonta a 30 miliardi di Euro, oltre 4 volte il volume d’affari dell’omologo italiano) bensì nelle modalità con cui è stato siglato e per il significato politico che lo accompagna. In contrapposizione alla logica esclusivamente bilaterale e commerciale del presidente americano Trump, il presidente francese Macron affiancato dalla cancelliera tedesca Merkel e dal presidente della Commissione UE Juncker hanno scelto un approccio multilaterale e hanno provato a costruire un’intesa politica di fondo con Xi Jinping aprendo alla cooperazione commerciale ma senza aderire al progetto politico della nuova Via della Seta.

In questo il mantenimento dell’unità dell’Unione Europea è fondamentale per competere alla pari con la Cina e per arginarne la penetrazione in Africa. La pressione dell’azione di Pechino sull’Europa agisce, infatti, lungo due principali vie: la prima, diretta, è tramite la stipula di accordi di cooperazione commerciali bilaterali coi singoli Paesi europei, che non riescono quindi a far valere il proprio peso politico a causa dell’asimmetria economica, demografica e politica che qualsiasi Paese europeo patisce nella trattativa diretta col colosso cinese; la seconda, indiretta, è tramite la progressiva espansione della potenza cinese in Africa che vede una sezione specifica della Belt and Road Initiative dedicata ad accordi politici e commerciali con Sudan, Etiopia, Mozambico, Gibuti, Congo, Nigeria, Camerun, Senegal, Gambia e Angola.

Se l’incontro (e scontro) tra Europa e Cina è evidente nell’espansione settentrionale della “Nuova Via della Seta” e coinvolge tutti i Paesi dell’area euro-asiatica, meno evidente ma ben più forte è lo scontro tra Europa e Cina che si sta verificando sullo scacchiere del vasto mondo subsahariano: la politica di espansione della Cina, volta ad assicurare a Pechino il monopolio delle cosiddette “Terre Rare”, ovvero dei 17 metalli senza i quali è impossibile la costruzione di oggetti o componenti elettroniche e informatiche, è in diretta e aperta contrapposizione alla Strategia Europea per l’Africa che prevede un sostegno allo sviluppo economico in loco accompagnato dallo sviluppo sociale e democratico dei Paesi coinvolti, allo scopo di un consolidamento dei rapporti reciproci in un’ottica di mutuo beneficio e scelta valoriale e non di mero rapporto di forza. In questa partita è particolarmente rilevante il controllo del Congo, le cui miniere contengono il 54% della riserva mondiale di Cobalto e che stanno progressivamente entrando tutte sotto il controllo (diretto o indiretto) di società che rispondo al governo di Pechino, oltre alla realizzazione di infrastrutture viarie di rilevanza continentale (autostrade e ferrovie) finanziate dalla Cina per collegare i bacini metalliferi dell’Africa occidentale e centrale ai porti della porzione orientale del continente che costituiscono un centro di spedizione sicuro dei materiali preziosi lungo la direttrice marittima della “Nuova Via della Seta” che, dall’Africa, condurrà il materiale d’importazione tramite lo Sri Lanka, Singapore, la Malaysia ed infine a Pechino.

Dalla nostra prospettiva non può che risultare evidente, quindi, l’assoluta necessità di rilanciare un quadro europeo che affronti il progetto della “Nuova Via della Seta”, la cui trattativa deve essere coordinata dalla Commissione europea e a cui deve essere riconosciuta la competenza esclusiva sul commercio internazionale. Secondo l’ultimo rapporto del Fondo Monetario Internazionale (FMI) di rilevazione del PIL mondiale, pubblicato il 10 Aprile 2019, gli Stati Uniti d’America sono la prima economia del pianeta con 20.494.050 miliardi di dollari di PIL annuo, a cui seguono l’Unione Europea con 18.750.052 miliardi di dollari, la Cina con 13.407.398 miliardi di dollari. La quarta potenza economica mondiale, il Giappone, è piuttosto distante con i suoi 4.971.929 miliardi di dollari, mentre la tanto temuta Russia è solamente undicesima con 1.630.659 miliardi di dollari, un PIL inferiore pertanto sia a quello dell’India che del Brasile.

È evidente, quindi, come l’interesse di Pechino sia quello di trattare separatamente con i singoli Paesi europei – unico modo di poter far valere il proprio gigantismo socio-economico – ed è altrettanto evidente come sia cruciale, per il nostro futuro di lungo termine di europei, riuscire a consolidare un nucleo governativo europeo, necessario anche per la partita strategica che l’Unione Europea deve giocare in Africa non solo per fermare l’espansionismo cinese ma anche per offrire ai Paesi africani uno sviluppo equo ed integrato con l’economia europea, oltre ad evitare una posizione marcatamente predominante di Pechino nella produzione dei dispositivi ad alto valore tecnologico nei prossimi quarant’anni.

Articolo pubblicato da L’Unità Europea N. 2019/2.

Fonte immagine: Government.ru

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