Il 16 luglio 2019 il Parlamento Europeo ha votato e concesso la fiducia a Ursula Von der Leyen, classe 1958, nata in Belgio ma con cittadinanza tedesca e ministro alla difesa della Germania.
Come ben risaputo, questa Frau sarà la prima donna a ricoprire la carica di Presidente della Commissione Europea, ma è anche la seconda personalità tedesca a ricevere questo incarico, a distanza di ben 52 anni, dopo Walter Hallstein, primo Presidente della Commissione delle Comunità Europee (1958-1967), nonché protagonista (e vittima) della “crisi della sedia vuota” provocata da Charles De Gaulle a metà anni ’60.
In quel periodo, l’allora Comunità Europea era composta dai sei paesi fondatori, il nuovo Parlamento Europeo (non ancora direttamente eleggibile) aveva pochissimi poteri e presso il Consiglio vigeva prevalentemente la regola dell’unanimità. Le Général, non accettando l’aumento dei poteri della Commissione, sfruttò questo metodo decisionale, ordinando ai propri ministri di non andare alle riunioni del Consiglio. La crisi fu superata nel 1966 con il compromesso di Lussemburgo, che ha portato di fatto all’uso del voto unanime.
Questo episodio, è stato volutamente descritto come un fulgido esempio della contrapposizione tra un’Europa sovranazionale (e/o federale) e un’Europa degli Stati (o, allora, l’Europe des Patries), che ha plasmato e spiega la strana natura dell’Unione Europea. Inoltre, da questo scontro continuo tra il peso massimo (l’Europa intergovernativa) e il peso medio (l’Europa sovranazionale e/o federale – in precedenza peso piuma), ha quasi sempre prevalso il primo sfidante, il quale, tra molte cose, determina anche la nomina del Presidente della Commissione Europea.
Infatti, nel corso del processo di integrazione, a designare la carica di “capo dell’esecutivo” è sempre stato il Consiglio Europeo; il Trattato di Lisbona prevede che questo organo nomini il Presidente incaricato con voto a maggioranza qualificata, tenendo di conto del risultato delle elezioni per il Parlamento Europeo, il quale poi pone la fiducia alla personalità scelta dai governi. In altre parole, è un meccanismo simile alla forma di governo parlamentare, ma con una forte presenza intergovernativa.
Negli ultimi anni è stato proposto e applicato il meccanismo degli Spitzenkandidaten che punta (o puntava) a coinvolgere i Partiti a livello europeo nel proporre candidature per suddetta presidenza.
Su questo meccanismo, c’è stato il precedente del 2014 con Jean-Claude Juncker, allora candidato per il Partito Popolare Europeo, il quale, nonostante i primi “no” del Regno Unito, ha avuto la nomina e poi la fiducia del Parlamento Europeo con 422 voti a favore, 250 contrari e 47 astenuti con il sostegno del PPE, dei Socialisti e Democratici e dell’ALDE.
Diverso, ovviamente è il caso di Frau Von der Leyen per tre motivi:
1) Il Consiglio Europeo oggi conta un consistente blocco di governi “sovranisti” (Visegrad e l’Italia) che ha inciso sulla nomina, scartando Frans Timmermans, “colpevole” di aver contrastato la deriva autoritaria in quei paesi.
2) La composizione del Parlamento Europeo (escluso dal proporre un nome) continua a mantenere una maggioranza a favore dell’Europa, ma con concezioni (e quindi proposte) molto diverse sul processo d’integrazione, rendendo difficile la creazione di una maggioranza.
3) La stessa Von der Leyen non ha corso alle ultime elezioni.
Quest’ultimo punto, oltre a frustrare il meccanismo degli Spitzenkandidaten, che è stato messo in discussione, ha prodotto un riluttante “Sì” da parte del Parlamento Europeo, che ha dato la fiducia a Von der Leyen con una maggioranza risicata di 383 favorevoli e 327 contrari.
Un dato da non trascurare poiché la maggioranza comprende i Popolari, i Socialisti e Democratici, Renew Europe (ALDE e En Marche) e, curiosamente, il Movimento 5 Stelle appartenente al gruppo dei Non Iscritti, con posizioni sui temi europei molto ballerine, ma che comunque ha permesso di raggiungere il quorum richiesto. Notare che i tre gruppi non hanno votato in modo compatto, dato che complessivamente ammontano a 444 deputati.
Sul versante dei voti contrari, che sono molti, Von der Leyen si troverà davanti comunque diverse opposizioni:
– Un fronte euroscettico (diviso e che ha votato all’ultimo momento) composto dai conservatori dell’ECR (che paradossalmente, ricordiamolo, hanno proposto un candidato), da Identità e Democrazia e dal Brexit Party.
– Il gruppo di sinistra radicale GUE/NGL che vede nella neo-Presidente una rappresentante dello Status quo “supportata da alcuni governi di estrema destra” (GUE/NGL).
– Il gruppo dei Verdi, più favorevole a una maggiore integrazione in senso ecologista e federalista, che pur apprezzando i riferimenti di tipo ambientale nel discorso di Ursula, non ha notato nessuna proposta concreta. Ska Keller comunque, in un’intervista su Linkiesta, ha dichiarato che il suo gruppo adotterà un approccio di opposizione costruttiva.
A proposito di belle parole, è vero che la neo-Presidente della Commissione ha evidenziato molti punti (lotta al cambiamento climatico, difesa dello Stato di Diritto, una politica migratoria europea, Unione Europea della Difesa) che di per sé sono condivisibili dai Federalisti, i quali però si trovano perplessi, se non insoddisfatti, della scelta di Van der Leyen: ovviamente niente contro la persona, quello che non va è nel metodo.
Infatti, oltre al fatto che è stato messo da parte il sistema degli Spitzenkandidaten (che richiede comunque più di una revisione in senso istituzionale), il ruolo del Parlamento Europeo, eterogeneo e diviso, (anche dentro i gruppi), è stato messo ai margini e costretto a confermare il Presidente della Commissione proposto dal Consiglio Europeo, come ai vecchi tempi. In altre parole, mentre nel 2014 c’è stato un passo avanti verso la democratizzazione dell’Unione Europea, cinque anni dopo ci sono stati parecchi passi indietro.
Da notare infine qualcosa che sembrerebbe quasi un “karma” (più che un contributo, è uno sfizio): nel suo discorso pre-voto a Strasburgo, la prima donna Presidente della Commissione Europea ha citato Simon Veil, che tra l’altro è stata la prima Presidente del Parlamento Europeo eletto a suffragio universale diretto nel 1979. Peccato che frau Von der Leyen sia espressione dell’Europa intergovernativa, mentre per madame Veil si è trattato di una conquista non solo di parità di genere, ma anche di cammino democratico-federale. Davvero un’amara ironia.
Nonostante questo passo indietro e le scarse prospettive di riforme dell’Unione in senso federale, meglio aspettare i prossimi passi che saranno la nomina dei Commissari e il lavoro che la futura Commissione svolgerà con questa maggioranza delicata e poco omogenea. Staremo a vedere.
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