Verso quale federazione europea?

, di Roberto Castaldi

Verso quale federazione europea?

Pochi giorni fa il think tank parigino Notre Europe – Jacques Delors Institute ha pubblicato un policy paper dal titolo «Heading Towards a European Federation. Europe’s Last Chance» (Andare verso la Federazione europea. L’ultima possibilità per l’Europa). Il paper mette in evidenza la drammatica crisi in cui versa l’Europa e l’impossibilità di superarla nel quadro intergovernativo dell’Unione europea a 28 membri, paralizzata dai veti nazionali. Sottolinea che solo un salto qualitativo verso l’unità politica in forme democratiche può permettere all’Europa di mantenere un ruolo economico e politico sul piano mondiale. Ad un’analisi complessiva condivisibile, non seguono però proposte costruttive all’altezza sia rispetto agli Stati cui rivolgono la loro proposta, sia rispetto al quadro istituzionale proposto.

Gli autori propongono di creare una Federazione di Stati Nazionali – celebre formula di Jacques Delors – a partire da 6 Paesi o poco più : Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda, Spagna, ed eventualmente Polonia e forse Lussemburgo. Le ragioni della scelta di ridurre il numero di Paesi cui una simile proposta dovrebbe essere rivolta sono poco comprensibili. La loro stessa analisi infatti sottolinea la necessità di dare una base più solida all’unione monetaria, che riunisce 18 Paesi! E l’idea che bastino quei 6-7 Paesi per arrivare a quasi 2/3 del PIL dell’UE non sembra una ragione valida per escludere gli altri Paesi che già condividono la moneta unica, specialmente se si include la Polonia, che è fuori dall’Euro anche se ha dichiarato di volervi aderire.

Ma è soprattutto sul piano delle proposte istituzionali che il paper propone delle soluzioni stravaganti, e soprattutto contraddittorie rispetto alla necessità di garantire efficaci meccanismi democratici, pur sottolineata nell’analisi dei due autori. Il loro modello istituzionale non prevede infatti un organo eletto direttamente dai cittadini della Federazione in quanto tali, ma solo un Congresso bi-camerale di secondo grado, i cui membri sarebbero designati dalle camere alte e basse degli Stati membri, in un numero stabilito in funzione della popolazione nella camera bassa, e in funzione del PIL nella camera alta – una sorta di ritorno al voto di censo. Il Congresso sarebbe affiancato da un Consiglio degli Stati nazionali, composto da 3 rappresentanti per governo nazionale con un sostanziale potere di veto sulle deliberazioni del Congresso, e in quel caso il Presidente potrebbe indire un referendum sulla questione oggetto della disputa. Il congresso eleggerebbe poi un presidente della Federazione, di cui non sono chiari i poteri, che nominerebbe un primo ministro che formerà un governo – i cui poteri rimangono indeterminati – che dovrà avere la fiducia di entrambe le camere del Congresso. Curiosamente, la moneta della Federazione è l’Euro, che sarebbe quindi gestita da un organo esterno alla Federazione, dal momento che la BCE è un organo dell’Unione europea, cui partecipano tutti gli Stati membri che hanno adottato la moneta unica.

La democrazia è la possibilità per i cittadini di scegliersi – e cambiare – i governanti. Per questo distinguiamo i sistemi democratici in presidenziali e parlamentari secondo che la scelta dell’esecutivo dipenda dall’elezione del presidente o discenda da quelle del Parlamento. Nel sistema proposto in questo paper non si avrebbe né l’una né l’altra forma di democrazia – lo stesso limite che caratterizza l’attuale UE, ma che potrebbe iniziare ad essere sanato con le prossime elezioni europee, cui i partiti europei si presentano con propri candidati alla Presidenza della Commissione, prefigurando un sistema democratico di tipo parlamentare.

Il paper mostra la difficoltà per i francesi, inclusi alcuni europeisti, di pensare una democrazia multi-livello, e quindi anche una democrazia europea sovra-nazionale. Al contempo mostra che la portata della crisi sta spingendo i think tanks a interrogarsi su quali forme di governo è necessario e possibile dare all’Europa e attraverso quali percorsi arrivarci. È evidente che l’Unione europea a 28, con la Gran Bretagna che minaccia un referendum sull’uscita, e la regola dell’unanimità per la riforma dei Trattati, non è in grado di compiere il salto federale, ormai necessario per superare la grave crisi in corso. Ma il nuovo quadro non può che essere quello dell’Euro, e aperto all’adesione degli Stati che vorranno aderire, così come avvenuto per il Fiscal Compact. Al contempo il perseguimento delle unioni bancaria, fiscale, economica e politica pone la questione di un sistema di governo democratico dell’Europa. La risposta non può essere di privare i cittadini europei del loro voto europeo. Al contrario è necessario rafforzare il Parlamento europeo e il meccanismo di fiducia tra il Parlamento e la Commissione, dotata di veri poteri di governo, o imboccare la via della fusione delle Presidenze della Commissione e del Consiglio europeo, insieme all’elezione diretta di tale Presidenza.

Il meccanismo democratico europeo può avere una forma parlamentare o presidenziale, ma deve esserci o non ci sarà nessun progresso nel processo di unificazione europea.

1. Articolo pubblicato originariamente Noi, Europei, blog di Roberto Castaldi su l’Espresso

2. Fonte immagine Flickr

Tuoi commenti
  • su 20 febbraio 2014 a 10:35, di carlo pelizzo In risposta a: Verso quale federazione europea?

    E’ inutile nasconderci che questa Europa è il frutto di un parto distocico, di cui , ora, stiamo pagando le conseguenze. Non è pensabile abitare una casa fatta senza adeguate fondamenta e priva di ogni criterio di abitabilità. Fuor di metafora sarebbe opportuno che paesi come l’Inghilterra, decidessero, una buona volta, se intendono stare dentro o fuori di questa unione perché è inconcepibile avere un commensale che con la testa sta in casa, mangiando nel piatto dell’ospite, e con il resto del corpo da un’altra parte. Non è poi che si migliora la situazione con l’aggiunta di ulteriori camere, perché ciò non farebbe altro che appesantire ulteriormente il bilancio dell’unione, rallentandone la concreta produttività. Nessuno stato membro dovrebbe avere diritto di veto, perché le risoluzioni prese a maggioranza ed in modo democratico, o si accettano o si esce di casa, se ritenute indigeste. E’ indubbio che il parlamento dovrebbe poter legiferare, su tanti argomenti, ad una sola voce perché diversamente c’è da chiedersi a cosa possa servire una unione sterile.

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