Quest’anno durante il Seminario di Ventotene, che ogni anno vede 150 ragazzi e ragazze dall’Europa e dal mondo riunirsi sull’isola per fare formazione e dibattito sul federalismo europeo e mondiale, è accaduto qualcosa di unico. Tra grandine, vento e pioggia, durante una “tempesta perfetta”, giovedì 5 settembre, nella terrazza di un bar tra i vicoli della piccola isola, la JEF e la GFE hanno promosso un incontro tra due attivisti per la pace: Ahmad L. [1], palestinese di Ramallah, e Dvir, israeliano-olandese residente in Germania.
È interessante ed emozionante rintracciare una “genealogia”, come ci insegna Foucault, del federalismo: non una catena cronologica di teorie e pratiche ma un sentire comune che, in alcuni momenti della storia e in alcune parti del mondo, è emerso come risposta a conflitti, crisi e a un passato e a un presente dolorosi. La genealogia ricostruisce le intermittenze del passato senza ordinarle in modo lineare, conseguente e definitivo. Per questo è una lente perfetta per ricostruire la coesistenza del mondo di orizzonti condivisi di pensiero e d’azione.
Possiamo rintracciare diversi federalismi nel mondo, dal Sudamerica al Kurdistan, dagli Stati Uniti d’America all’India o al Giappone, che hanno disegnato e disegnano ancora oggi costellazioni a volte inconsapevoli: voci che cantano insieme in “polifonia” pur non essendosi - a volte - mai incontrate. Prospettive, disuguaglianze, sofferenze diverse che hanno indicato una stessa idea di futuro, di lotta, di speranza.
Il federalismo europeo ha una sua specificità storica, nasce come progetto politico concreto e come movimento durante la Resistenza, ma la storia del suo pensiero ha un corso molto più lungo. Allo stesso modo, altri federalismi sono nati in seno ad altre Resistenze, fiorendo da altri percorsi storici e sociali.
Tutto questo è affascinante perché suggerisce l’esistenza di una comunità di destino non solo proiettata verso il futuro, ma che si irradia intorno a noi. Non si tratta di una visione deterministica del cammino dell’umanità, che sappiamo essere incerto e imprevedibile, ma della possibilità che la storia del mondo possa essere, in fondo, una storia condivisa, capace di attraversare e talvolta superare le nostre identità nazionali, linguistiche e geografiche. È una forza più profonda, che può alimentare una piccola, ma significativa speranza: quella di costruire un mondo migliore, fondato sulla coesistenza e sulla pace per il mondo intero.
L’intervista
Raccontaci qualcosa di te. Come sei diventato federalista?
Dvir: Sono Dvir, ho 27 anni, sono israeliano-olandese, avvocato, dottorando all’Università Goethe di Francoforte, attivista per la pace, federalista, caporedattore del TNF, più qualche altro titolo non importante. Alla fine, sono un essere umano, ed è questo che conta, no?
Sono nato vicino a Tel Aviv, in una famiglia prevalentemente di origine europea (da cui la mia doppia cittadinanza). Fin dall’età di 13 anni ho iniziato a partecipare a manifestazioni per la pace e contro l’occupazione in Israele, lavorando con partiti politici e iniziative locali per la pace (come Peace Now, Gush Shalom, One Land Two People, Free Jerusalem e Wahad al Ehad) per facilitare il dialogo israelo-palestinese come unica via per la pace.
Dopo essermi trasferito in Europa all’età di 22 anni, ho continuato a essere coinvolto nel movimento per la pace, partecipando a manifestazioni quando mi trovo in Israele e sostenendolo anche dall’estero.
Penso che, concettualmente, io sia sempre stato federalista. Il libero scambio e le frontiere aperte mi hanno sempre attratto fin da giovane. Quando visitavo l’Europa da bambino con i miei genitori, ero affascinato dalle frontiere aperte europee, mentre nel Medio Oriente potevano volerci 10 ore per attraversare una frontiera. Ho anche capito come questa apertura abbia contribuito alla consapevolezza paneuropea dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, fornendo un’alternativa all’ordine mondiale nazionalista.
Ma solo dopo essermi trasferito in Belgio per lavoro, cinque anni fa, ho compreso appieno cosa significa essere federalista. Vivendo a Bruxelles, mi sono subito unito alla JEF Belgio, prima come iscritto, poi come membro della Direzione Nazionale e infine come policy officer e delegato al Federal Committee della JEF. Essendo sempre stato interessato alla politica, alla scrittura e all’esplorazione delle ideologie, il federalismo è per me un viaggio in continua evoluzione. Come caporedattore di The New Federalist, il mio obiettivo è offrire una piattaforma ai giovani federalisti di tutta Europa e del mondo per scambiare opinioni e prospettive. E sono ovviamente grato per tutte le opportunità di formazione (come il Seminario Internazionale di Ventotene) per crescere come attivista e federalista.
Ahmad L.: Credevo nel boicottaggio dei prodotti alimentari israeliani in Cisgiordania anche prima che il BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni ndr) diventasse popolare. In seguito, ho iniziato a discutere con persone israeliane dell’occupazione, scoprendo che alcune di loro desiderano la pace e una soluzione giusta. Nello stesso periodo, ho avuto la possibilità di visitare per la prima volta la spiaggia di Jaffa, incontrando palestinesi che hanno la cittadinanza israeliana, rendendomi conto quindi che una convivenza è possibile.
Ma allora perché non vivere tutti insieme? Questo realizzerebbe anche tutte le aspirazioni palestinesi. Più avanti nel mio percorso di discussioni approfondite e riflessioni politiche, è diventato evidente che gli ebrei israeliani non accetteranno mai collettivamente un’unica nazione a causa delle paure di squilibri demografici futuri, poiché per loro questo contraddice il senso di avere uno Stato e l’autodeterminazione. Anche noi palestinesi abbiamo bisogno di uno Stato, di autodeterminazione e di liberazione, ma non possiamo permetterci una separazione totale dal resto del Paese in caso di creazione di uno Stato palestinese.
Di conseguenza, mi sono imbattuto in federalisti palestinesi e israeliani che hanno una visione diversa, ma più pratica, per una soluzione duratura rispetto allo Stato unico, ossia una confederazione/federazione israelo-palestinese che tenga conto di tutti i problemi sopracitati. È anche più razionale, poiché si basa sugli Accordi di Oslo.
Perché il federalismo è rilevante nella situazione attuale in Palestina e Israele?
Dvir: Tra il 1967 e il 1993, nonostante l’impatto terribile dell’occupazione israeliana, la comunicazione tra israeliani e palestinesi era comune. Gli israeliani e i palestinesi spesso viaggiavano per incontrarsi, commerciare e lavorare insieme. Tel Aviv era aperta ai palestinesi e Ramallah agli israeliani.
Gli Accordi di Oslo del 1993, pur con buone intenzioni, cambiarono tutto questo. Anziché impegnarsi in un dialogo profondo per risolvere questioni controverse e narrazioni conflittuali, gli accordi, nati come soluzione provvisoria a causa del deterioramento della situazione di sicurezza, hanno istituito una separazione permanente tra israeliani e palestinesi.
Ora le persone si incontrano soprattutto ai posti di blocco militari o sotto controlli molto rigidi. Il dialogo diretto è praticamente scomparso, e l’occupazione e gli insediamenti continuano senza ostacoli.
La vera pace non è separazione. Le persone sono troppo intrecciate per essere separate e divise in categorie. La tradizionale soluzione dei due Stati dovrebbe essere modificata in un quadro di frontiere aperte, sicurezza per tutti e pari diritti politici, ovvero soluzioni confederative o federative.
Ahmad L.: È rilevante perché il federalismo è l’unica garanzia per una pace duratura. Abbiamo disperatamente bisogno di una soluzione e di una struttura che consideri le aspirazioni nazionali di entrambe le nazioni, palestinesi e israeliani. Gerusalemme è sacra per entrambi e nessuno dei due la abbandonerà, i rifugiati hanno bisogno di una soluzione praticabile, e, soprattutto, siamo sul punto di creare uno Stato palestinese grazie ad un crescente riconoscimento internazionale.
Uno Stato del genere può prosperare al meglio solo in una confederazione/federazione con Israele e altri Paesi vicini, se lo desiderano.
Puoi condividere qualcosa sui tuoi sforzi per costruire reti di attivisti israeliani e palestinesi?
Dvir: È un compito molto difficile. È facile per gli attivisti per la pace più convinti incontrarsi e andare d’accordo, ma i tentativi di sviluppare un movimento più ampio spesso incontrano difficoltà ideologiche e pratiche. Praticamente, è molto difficile incontrarsi, quindi gli incontri avvengono o nella piccola “Area B” in Cisgiordania (sotto controllo misto israelo-palestinese) o in Europa. Ma anche quando gli incontri avvengono, è difficile per persone cresciute con narrazioni storiche diverse e conflittuali capirsi.
Ricordo di aver partecipato a un “campo di dialogo” di due settimane con i palestinesi nel piccolo villaggio di Walberberg in Germania. Durante le attività, non ci siamo mai seduti insieme per i pasti, rimanendo volontariamente segregati. Le emozioni forti e persino le liti durante le sessioni erano difficili da sopportare, ma ricordo anche che durante l’ultima colazione ci siamo mischiati tutti. Raggiungendo una comprensione, anche se non un terreno comune completo.
Oggi, migliaia di attivisti rimangono impegnati per la causa e continuano a educare alla pace nonostante le sfide e la resistenza della società. Iniziative come scuole bilingue, villaggi misti, sessioni di dialogo e cooperazione economica e culturale persistono. Pur non essendo più in Israele per motivi personali e professionali, rimango impegnato e organizzo regolarmente incontri tra ebrei e musulmani nella mia attuale città di residenza, Francoforte.
Ahmad L.: Lavoriamo su due livelli: dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. Nel primo caso, ci incontriamo con i policy makers e presentiamo le nostre idee e la nostra comunità per aiutare a creare un consenso e approvazione futuri. Lavoriamo anche dal basso per costruire un movimento federalista in entrambe le società, palestinese e israeliana, per rafforzare i nostri federalisti e creare slancio affinché un giorno la federazione diventi realtà. Inoltre, teniamo workshop di trasformazione del conflitto e abbiamo in programma delle attività rivolte ai giovani. Inoltre, ispirati dal 40° Seminario Internazionale di Ventotene, ci rendiamo conto che replicarlo in Palestina e Israele porterebbe maggior supporto e slancio al nostro movimento.
Come possono contribuire le organizzazioni della società civile in Europa?
Dvir: Possono scegliere di impegnarsi con voci moderate e sensate da entrambe le parti. La sessione nel Seminario Internazionale di Ventotene, organizzata dalla GFE e dalla JEF, è stata per me fonte di ispirazione; sono stato onorato di discutere del conflitto accanto al mio amico e attivista palestinese Ahmad L..
Possono anche dimostrare il loro impegno per i diritti umani sostenendo posizioni di principio, ad esempio chiedendo la fine della guerra e dell’occupazione illegale israeliana in Cisgiordania, condannando anche l’uccisione di civili il 7 ottobre.
Le organizzazioni federaliste hanno un ruolo speciale perché il conflitto dimostra la nostra tesi: senza una governance regionale e internazionale efficace, non ci sarà sicurezza e i conflitti violenti come le ingiustizie continueranno a proliferare.
Ahmad L.: Europa e Palestina condividono molta storia e influenza, e l’Europa è il miglior esempio di potenza o unione federale a cui possiamo guardare. L’Unione europea è anche uno degli attori più influenti verso l’Autorità Nazionale Palestinese, oltre che il più grande sostenitore e donatore per il nostro popolo e governo sia in Cisgiordania che Gaza.
Le OSC e le realtà dal basso in Europa, in particolare, hanno molto da offrire ai federalisti palestinesi: abbiamo estremamente bisogno di un impegno, culturale e politico, europeo per motivarci a continuare (soprattutto i giovani), abbiamo bisogno di finanziamenti e di cooperazione per workshop, eventi e seminari al fine di ispirarci reciprocamente.
I federalisti palestinesi, per lo più attivisti per la pace che lottano in un ambiente così difficile, ispirerebbero anche gli europei. Le organizzazioni europee della scoietà civile non sarebbero in grado solo di aiutare i federalisti palestinesi, ma anche gli israeliani (federalisti e attivisti per la pace) che apprezzerebbero maggior cooperazione e incoraggiamento dai loro omologhi europei per allineare il movimento con l’equivalente palestinese. Oggi solo gli americani mediano tra israeliani e palestinesi per costruire la pace e avviare il dialogo, ma anche gli europei possono unirsi.
Lascia un messaggio per il futuro!
Dvir: Un giorno, spero di poter visitare la casa di mio nonno a Baghdad, in Iraq. L’Iraq, un tempo Paese prospero, è attualmente pericoloso e per me illegale da visitare, ma sono ottimista che nella mia vita, e con l’aiuto di giovani attivisti, potremo portare la pace e i diritti umani in Medio Oriente e nel mondo intero. Dipende solo da noi!
Ahmad L.: Nulla è impossibile! Possiamo fare tanto insieme, soprattutto in questo momento difficile che l’Europa, la Palestina e il mondo intero stanno attraversando dalla Seconda Guerra Mondiale. Costruiamo nuovi ponti e innoviamo per il futuro che vogliamo vedere.
La risoluzione JEF
Le ultime due domande poste a Dvir e Ahmad L. hanno costituito la base del lavoro che la JEF ha portato avanti per avere una posizione su quanto stesse accadendo in Medio Oriente.
La prima necessità è stata quella di avviare un confronto tramite una serie di incontri aperti per condividere impressioni, sentimenti e opinioni. Il percorso è poi continuato nel quadro dei lavori della Commissione Politica dedicata alla politica estera (PC3) della JEF. L’obiettivo era quello di arrivare ad una risoluzione politica che riassumesse una posizione unitaria dei giovani federalisti europei, partendo da idee, background e trascorsi personali molto diversi. Nonostante il militante federalista sia abituato per sua natura a questo tipo di esercizio, ci si è da subito resi conto di quanto la sfida, in questo caso, fosse difficile.
Per mesi l’opinione pubblica europea e mondiale si è polarizzata, rendendo il dibattito sempre più ideologico. Intanto le tragiche conseguenze del conflitto lasciavano i loro strascichi nel mondo, con un bilancio agghiacciante di vittime [2] e crescenti attacchi antisemiti e islamofobi. Alla luce di questa consapevolezza, la JEF ha impostato il suo lavoro prestando particolare attenzione al metodo, con una domanda centrale a guidare il processo: qual è e quale deve essere il ruolo di un movimento come il nostro in questo conflitto?
I numerosi incontri di formazione e dibattito hanno innanzitutto affrontato la sfida di una necessaria decolonizzazione del pensiero, consapevoli delle problematiche rappresentate da un’impostazione eurocentrica. Per questo esperti e attivisti locali, inclusi Dvir e Ahmad L., hanno partecipato ad ogni fase del percorso. La convinzione dell’importanza di arrivare ad un risultato è stata un fattore determinante. Ogni questione è stata affrontata provando sempre a convergere su opinioni comuni. Quando tale convergenza non era possibile, si tornava indietro cercando di comprendere se la domanda fosse ben posta e provando, se necessario, a scomporre ulteriormente la problematica. Tutto il processo è frutto di una premessa fondamentale: i cittadini e la società civile di tutto il mondo possono e devono costruire azioni e percorsi indipendenti contro le aberrazioni dei loro governi e come alternativa alle soluzioni di organizzazioni radicalizzate.
Grazie a questo sforzo, ad aprile 2024 a Tartu il Comitato Federale della JEF ha approvato la risoluzione JEF Europe’s Position on the Future of the Israeli–Palestinian Peace Process con pochi voti contrari e astenuti.
Tra i punti punti chiave, la risoluzione:
- Chiede il cessate il fuoco immediato, il rilascio di tutti gli ostaggi e il ripristino degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza.
- Sostiene il rispetto delle decisioni della Corte Internazionale di Giustizia e condanna le violazioni del diritto umanitario internazionale.
- Condanna fermamente l’attuale offensiva militare israeliana a Gaza, criticando l’alto numero di vittime civili, in particolare nei campi profughi, negli ospedali e nelle scuole. La risoluzione chiede indagini sulle violazioni delle Convenzioni di Ginevra da parte delle Forze di Difesa israeliane.
- Chiede a Israele di fermare gli insediamenti illegali nei territori palestinesi occupati e a combattere la violenza dei coloni.
- Condanna fermamente gli attacchi del 7 ottobre condotti da Hamas, che hanno portato alla morte di 1.200 persone e al sequestro di oltre 100 cittadini israeliani. Sottolinea l’uso da parte di Hamas di civili come scudi umani e condanna l’organizzazione per la violazione del diritto internazionale.
- Sostiene iniziative che rispettino il diritto di esistere di entrambe le nazioni, compresi approcci innovativi come una confederazione binazionale o una federazione israelano-palestinese.
- Incoraggia l’Unione europea a svolgere un ruolo attivo nella ricostruzione post-bellica, promuovendo pace, giustizia, diritti umani e la ripresa del processo di pace, sostenendo sforzi multilaterali per ricostruire la regione e garantire la protezione dei civili.
C’è un aspetto che più di tutti ci sembra rilevante: sono più divisive le analisi del contesto presente rispetto alle proiezioni sull’azione futura. Grazie a questa risoluzione, infatti, il Comitato Federale ha dato una missione chiara alla JEF: spingere per una depolarizzazione del dibattito, creando le condizioni per un dialogo che sappia includere la società civile di entrambe le parti e che lasci spazio a idee innovative per la risoluzione del conflitto, inclusa quella federale, purché rappresenti la volontà della popolazione coinvolta.
L’esperienza di Ventotene e l’incontro con le vite di Dvir e Ahmad L. rappresentano quelle occasioni che fanno riflettere sulla forza delle idee come motore della storia: due attivisti per la pace da territori sconvolti dalla guerra hanno fornito la stessa risposta a cui Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi arrivarono nel 1941 davanti a un’Europa in fiamme. Questa continuità di pensiero, anche se in epoche e contesti geografici così diversi, rappresenta forse la forza più grande del messaggio federalista. Dvir e Ahmad L. ci insegnano che anche nei tempi più bui, in cui la violenza del nazionalismo sembra prevalere, la costruzione della pace resta il nostro obiettivo per liberare l’umanità dall’oppressione della guerra.
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