Voto favorevole del Parlamento europeo, la riforma dei Trattati non è più utopia

, di Cesare Ceccato

Voto favorevole del Parlamento europeo, la riforma dei Trattati non è più utopia
Diliff, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/license...> , via Wikimedia Commons

Con 291 favorevoli, 274 contrari e 44 astenuti, il Parlamento europeo, riunito in plenaria a Strasburgo, si è espresso a sostegno della proposta di revisione dei Trattati presentata dalla Commissione affari costituzionali. Ora tocca al Consiglio europeo decidere se dare o meno il là a questa storica riforma.

“Non perdiamo questa occasione”. È così che Guy Verhofstadt, uno degli autori della proposta di revisione dei Trattati, ha aperto il dibattito al Parlamento europeo, riunito in sessione plenaria a Strasburgo il 21 novembre. Le sue parole hanno ricordato a tanti quelle di Altiero Spinelli, padre nobile del federalismo europeo, quando questo, nel 1984, dagli stessi banchi e in riferimento a un altro progetto di Trattato, citò ai colleghi “Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway. “Quando voterà tra qualche minuto, il Parlamento avrà catturato il pesce più grosso della sua vita, ma dovrà portarlo fino a riva, perché ci saranno sempre degli squali che cercheranno di divorarlo. Tentiamo di non rientrare in porto con soltanto una lisca”. Come allora, anche quest’anno il Parlamento si è espresso favorevolmente, ma come allora, il lavoro non è ancora finito. Spinelli non ebbe fortuna e si dovette scontrare con le titubanze dei Governi nazionali, che alla fine si accontentarono di ratificare il povero Atto Unico Europeo. Per Verhofstadt e per chi con lui ha lavorato in Commissione affari costituzionali (AFCO), ossia Sven Simon, Gabriele Bischoff, Daniel Freund e Helmut Scholz, la partita è ancora aperta.

Il motivo per cui questi cinque Europarlamentari, provenienti da cinque gruppi diversi dell’emiciclo (Renew Europe, PPE, S&D, Verdi/ALE, GUE/NGL), hanno passato mesi al lavoro sul Trattato sull’Unione europea e sul Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ragionando articolo per articolo, comma per comma, su quali progressi l’organizzazione debba compiere, risiede in due aspetti principali.

Innanzitutto, il fatto che dal 2007, anno dell’ultima riforma dell’assetto istituzionale e delle competenze europee, avvenuta con il Trattato di Lisbona, il mondo sia cambiato. Allora ancora non si era assistito alla grande crisi economica di inizio millennio, non erano preventivabili le primavere arabe, Brexit non significava nulla, non esisteva una minaccia russa verso Ucraina o Georgia e l’ipotesi di una pandemia globale era quantomeno improbabile. Le crisi da affrontare unitamente sono molto più tangibili, e ogni tentennamento, ogni rallentamento, ogni veto rischia di mancare lo strumento migliore per contrastarle.

C’è poi la questione della Conferenza sul Futuro dell’Europa. Per alcuni un successo, vista la serie di proposte, dibattiti ed eventi che hanno coinvolto - dalla primavera 2021 a quella 2022 - la società civile nel disegno dell’Unione europea di domani. Per altri un fallimento, data la scarsa partecipazione in relazione al quasi mezzo miliardo di abitanti dell’Europa comunitaria. Sicuramente una grande occasione perché la politica non si rinchiuda nei freddi palazzi di Bruxelles ma si riversi nelle strade e nelle piazze di ogni piccola o grande città. Anche solo per questo, come dettato dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel Discorso sullo Stato dell’Unione dello scorso anno, dopo aver ascoltato la voce dei suoi cittadini e delle sue cittadine, l’Europa deve dare risposte concrete.

Il documento di proposta di riforma ha voluto eliminare nelle procedure istituzionali europee il vincolo del voto all’unanimità, che negli attuali Trattati viene attribuito su numerosi aspetti al Consiglio europeo e al Consiglio dell’Unione europea, i due organi intergovernativi dell’Unione. D’altro canto, ha voluto potenziare l’Istituzione che più direttamente è espressione della volontà dei cittadini, il Parlamento europeo, dotandola del potere di iniziativa legislativa e della facoltà di aprire una procedura di infrazione davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea nel caso in cui uno Stato membro violi il diritto europeo o i principi sanciti in apertura dei Trattati. Riguardo la Commissione, ribattezzata esecutivo, il documento ha previsto una sua composizione di soli quindici membri, ciascuno con la propria specifica materia di competenza, scelti dal Presidente della Commissione - per il documento, Presidente dell’Unione europea - tenendo conto dell’equilibrio demografico e geografico, nonché di genere. Inoltre, il documento ha previsto un ampliamento delle competenze dell’Unione, nel migliore dei casi esclusive, nel peggiore concorrenti con quelle degli Stati membri. Da quelle più rivoluzionarie, ma allo stesso tempo più necessarie visto il periodo storico, quali la dotazione di una difesa comune finanziata con fondi propri e una politica estera concreta ed efficace, a quelle meno eclatanti, ma la cui importanza è tutt’altro che irrilevante, si parla di energia, protezione civile, industria, educazione, salute, lotta al crimine internazionale.

Non la trasformazione in un super Stato dunque, anche tenendo conto del fatto che il bilancio dell’Unione rappresenta solo l’1% del PIL europeo, ma una svolta importante in un processo di integrazione che sembrava essersi arreso.

Tuttavia, le voci di dissenso nel corso del dibattito al Parlamento europeo non sono mancate. In risposta allo spagnolo Domènec Devesa, di S&D, che ha invitato l’emiciclo a pensare a quanto sarebbe difficile l’allargamento se, di conseguenza, l’Unione si dovesse dotare di un nuovo Commissario per ogni nuovo Paese aderente, Jacek Saryusz-Wolski, polacco del PPE, ha parlato di un’Europa oligarchica, in cui tanti piccoli Stati subirebbero la volontà di pochi grandi Paesi al potere. Gerolf Annemans, belga di ID, ha addirittura indicato gli artefici della riforma come una lobby federalista volenterosa di allontanare l’Europa dagli Stati per accentrarla a Bruxelles, trovando man forte in Carlo Fidanza, italiano di ECR.

I forti dubbi su quale esito avrebbe avuto il voto li ha messi Andrzej Halicki, sempre polacco, sempre del PPE, ma appartenente a un partito (Coalizione Civica) in opposizione a quello di Saryusz-Wolski (Diritto e Giustizia). Per Halicki, un testo del genere indebolirebbe l’Unione europea, in quanto la facilità nell’adozione di decisioni non sempre è un sinonimo di forza, e certo, una difesa comune, una politica energetica comune, una cybersicurezza comune sono decisamente passi che l’Europa deve compiere, ma forse tale riforma non è il metodo adatto per raggiungerle nella loro forma migliore. La chiusa del suo intervento è stata da brividi: “non so cosa voterò domani”.

Al voto del 22 novembre si è arrivati con la certezza che due blocchi dell’emiciclo avrebbero votato in modo coeso: Renew Europe, S&D e Verdi a favore, ID e ECR contrari. Sotto stretta osservazione sono dunque stati gli Europarlamentari di GUE/NGL e del PPE, il gruppo più numeroso, oltre ai quarantacinque cani sciolti dei non iscritti.

Nel corso del voto sugli emendamenti preliminari è stata bocciata la proposta di referendum paneuropeo previsto dai proponenti, come è stata bocciata quella di abolizione del voto all’unanimità del Consiglio europeo in materia di allargamento e di revisione dei Trattati. Anche i nuovi calcoli sul voto a maggioranza semplice e qualificata non hanno ottenuto il benestare. Sul ruolo delle Istituzioni europee nel contrasto al crimine si è compiuto un passo a metà, accertandone la competenza ma vincolando questa al rapporto con le forze investigative degli Stati membri e con l’Europol.

Per il resto Verhofstadt & co. hanno potuto sorridere. Specialmente quando, alle 14.57, sugli schermi dell’aula i seggi illuminati in verde sono stati più di quelli illuminati in rosso. Al momento di esprimersi sul documento per intero, GUE/NGL e PPE si sono spaccati. Il risultato, in ogni caso, è stato chiaro: 291 favorevoli, 274 contrari, 44 astenuti. Il Parlamento ha approvato la proposta di revisione dei Trattati.

Ora è tutto in mano al Consiglio europeo. Ai sensi dell’articolo 48 dell’attuale Trattato sull’Unione europea, l’Istituzione composta di Capi di Stato e di Governo dovrà votare favorevolmente perché la procedura di revisione prosegua. A quel punto, verrebbe convocata una convenzione, composta di rappresentanti dei Parlamenti nazionali, di Capi di Stato o di Governo dei Paesi membri, del Parlamento e della Commissione europea, che, esaminata la proposta, adotterebbe per consenso una raccomandazione a una conferenza di rappresentanti degli Stati membri. Sarebbe quest’ultimo organo a stabilire di comune accordo le modifiche da apportare ai Trattati, che entrerebbero in vigore dopo essere ratificate da tutti gli Stati membri.

La riforma dei Trattati non è più utopia. E se il tempo davvero è galantuomo, stavolta, potrebbe anche essere realtà.

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